π sta per Piano Inclinato

Tra una pagina dedicata al calciomercato ed una di cronaca agostana mi sono imbattuto nella periodica pagina di indignazione per il basso montante di imposte che i big del web pagano in Italia. Amazon, ad esempio, fattura cifre con diversi zeri vendendo ormai di tutto e consegnando con grande efficienza, ma il fatturato ricade sulla capogruppo irlandese che rigira alla succursale italiana delle “provvigioni” poco più che simboliche, preferendo le comode aliquote di Dublino a quelle italiane.

L’indignazione prosegue su altre pagine, dove viene riportato come Uber abbia coinvolto (in altri contesti si direbbe “sensibilizzato”) i propri utenti in una battaglia contro le limitazioni ai suoi servizi imposte dall’amministrazione di New York, che -vivendo di consenso- ha dovuto prendere atto della scontentezza dei suoi cittadini verso le restrizioni che intendeva imporre.

Quello che accade a NY viene vissuto forse come “colore e folklore” da queste parti, ma la questione fiscale è senza dubbio ben più sentita; non per niente il tema web-tax è già stato oggetto di discussione parlamentare (ed extra-parlamentare).
La diatriba si risolverà quando chi scrive le regole prenderà atto del fatto che Amazon, Google, Facebook etc. quelle regole le rispettano, occorre semplicemente scriverle “meglio” e chiarirsi gli obiettivi. Non è colpa di Amazon se gli Stati europei si fanno concorrenza fiscale l’uno con l’altro e se quella delle imposizioni ai giganti del web assumesse le dimensioni di una vera emergenza fiscale forse ci ritroveremo con un po’ più di benzina nel motore che dovrebbe spingere verso l’unione fiscale, e non solo monetaria, e che al momento sembra avere troppi pochi cavalli per la massa che dovrebbe muovere. Il potere legislativo risiede negli Stati, sta a loro scrivere le regole, come sta a loro scoprire e colpire chi non le rispetta. Mentre è di cattivo gusto riservare indignazione a chi, cercando di cogliere gli aspetti più favorevoli che le regole offrono, evidenzia il cattivo funzionamento delle stesse.

Nel frattempo, mentre il legislatore-Achille si interroga su come colmare il gap con le corporation-Tartaruga, il rischio è che -proprio come nel celebre paradosso- l’inseguimento non si esaurirà mai: se prendiamo il caso di Google e Facebook appare chiaro come sia sempre più difficile interagire fiscalmente con il loro modello, che si basa sulla profilazione degli utenti per il collocamento di “pubblicità intelligente” (si spera più di certe bombe, quantomeno). Il patrimonio che accumulano è sempre più impalpabile, è difficile definirne il perimetro ed è de-monetizzato, pertanto refrattario al concetto di “fatturazione”.

Ma soprattutto, ed è ciò che induce a pensare ad Achille e alla tartaruga, rischia di essere un business con poca vita davanti.

Il costo per acquisire dati dagli utenti continua a salire: occorre proporre sempre più servizi, quasi tutti gratuiti, potenziandoli ed innovandoli costantemente allo scopo di farsi preferire ad altre piattaforme. Viceversa i proventi derivanti dalla profilazione degli utenti rischiano di decrescere anno dopo anno: nel mondo in cui viviamo, incentrato sull’allargamento dei mercati, con conseguente competizione sui prezzi, e sulla crescente automazione, con conseguente compressione del numero degli occupabili, i margini di profitto dalle vendite sono destinati a comprimersi in tutti i settori. Poiché la pubblicità viene pagata con i proventi che dovrebbe generare stimolando i consumi, è chiaro che il business della profilazione degli utenti mirato a collocare la pubblicità in modo efficiente potrà proliferare per ancora qualche tempo, ma è destinato a diventare un business inefficiente.

La prova? La stessa Google si riorganizza, “partorendo” una capogruppo -Alphabet- e assegnando a Sundar Pichai ed altri top manager ruoli nuovi e più definiti.
Google si ridimensiona e si “normalizza”, focalizzandosi sulle sue attività caratteristiche, diventando parte di un conglomerato più grande ed ambizioso: tutta la parte finanziaria, di sviluppo idee e progetti, tutta la potenzialità di acquisizioni e lo spazio per fare leva si sposta in cima al gruppo, in Alphabet, insieme a Larry Page e Sergej Brin.
L’efficienza finanziaria di un gruppo organizzato in maniera più ordinata è superiore: la situazione promiscua con Google mischiata insieme ad avveniristiche e pionieristiche imprese creava un mix di rischi ed opportunità che generava un costo del debito superiore. Ora Alphabet (“alpha-bet” nel senso di scommessa di maggior rendimento, secondo la definizione dello stesso Page) potrà raccogliere denaro a tassi più bassi e con questo finanziare le divisioni interne o le acquisizioni esterne del gruppo.
Ma senza dubbio la mossa testimonia la volontà/necessità di non interrompere l’innovazione, di non sedersi (lo dice proprio Larry Page nella sua lettera) sugli allori, di non dare per scontate le conquiste fin qui raggiunte, perché gli scenari mutano di continuo. E per restare rilevanti non ci si può fermare mai. Google sarà quindi una parte, importantissima, del bilancio di Alphabet. “G is for Google” è il titolo -non casuale- del messaggio di annuncio. Altre parti verranno. Intanto ci prenotiamo, perché non ci piace l’idea di una azienda monopolista: π sta per Piano Inclinato

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Pubblicato da L'Alieno Gentile

Precedentemente conosciuto con il nickname Bimbo Alieno, L'Alieno Gentile è un operatore finanziario dal 1998; ha collaborato con diverse banche italiane ed estere. Contributor OCSE nel 2012, oggi è Global Strategist per l'asset management di una banca italiana.

2 Risposte a “π sta per Piano Inclinato”

  1. D’accordissimo su tutta la linea, anche se l’orizzonte della convenienza, sia per il legislatore, che per le imprese rischia di essere visuale di corto raggio. Provo a spiegarmi.

    Dal lato UE, sembra che necessità fiscale/economica/finanziaria non affabuli più di tanto cittadini (=elettori) e quindi ogni riflessione, come la tua, che parta da valle, dall’economico, per spingere verso la sorgente, cioé verso un’ideale Europeista e di caduta dei nazionalismi, che so abitarti sinceramente, rischia di essere vana, perché non ha consenso e non è stata compresa, soprattutto ora in una fase politica che ha al centro demagogia e populismo.

    Dal lato delle imprese, l’azione di approfittare delle incongruenze mi pare una politica a corto raggio e che filosoficamente non può essere risolta solo ne “mi conviene e lo faccio”, una logica un pochetto riduttiva non trovi? Fra l’altro condizioni di lavoro in Amazon, azienda che evidentemente risponde esclusivamente a questa logica, sono discutibilissime.

    Possiamo affiancare a criteri di ordine economico anche altri criteri? Possiamo scomodare Adriano Olivetti?

  2. Post bello e interessante.

    Ho notato il tuo concentrarti sui big del web.
    Ma ricordo che il fenomeno della “migrazione delle imposte” non interessa solo loro ma ormai tutte le aziende multinazionali lievemente strutturate.
    Oggi la “Bremblla Srl” è capacissima di avere l’ufficio commerciale in Svizzera e la sede legale in Lussemburgo.

    Sono perfettamente d’accordo quando affermi che non si possono dare colpe alle aziende dato che tendono a massimizzare i profitti per loro natura.

    Ma il problema è molto grave perchè va al di là del mero calcolo economico.
    Minare in questo modo il sistema fiscale delle Nazioni ha indebolito enormemente gli Stati ed è un pilastro della mancanza di equità sociale (…e quindi delle crisi economiche).

    Come ho già avuto modo di spiegare su questo blog, le tasse si pagano solo in seconda istanza per i servizi dati; il vero motivo è la Sicurezza di una nazione.
    Io pago le tasse in prima istanza perchè voglio essere sicuro che una “sovrastruttura” mi faccia vivere tranquillo in un sistema sufficientemente stabile.

    Siamo all’essenza del concetto di STATO.

    E’ presumibile che se vengo attaccato l’Italia, che mi riconosce come cittadino fiscalmente attivo, mi difenda (vi prego! è solo un esempio…nessuna ironia); Amazon farebbe lo stesso?

    Chi ha costruito il mostro Unione Europea, non ha minimamente tenuto conto di questi aspetti.

    Se lo ha fatto intenzionalmente o no, non lo so.
    Personalmente, da alcuni indizi, propendo per la malafede…ma ormai la frittata è fatta.

    Per giunta è impensabile che l’Italia unilateralmente possa pensare di recuperare parte del gettito con “leggi locali” a meno di porsi “al di fuori” del sistema Globale-ista.(io lo auspicherei ma sono considerato un pazzo…)

    Sul fatto che gli Stati Europei mettano in agenda queste questioni, la vedo dura, come scrive Enrico Marani qui in basso.
    Anzi, vedo uno Junker a capo della Commissione Europea, ovvero uno dei principali artefici di questo casino…

    Per chi ha studiato la Storia, e tra tutte le Storie quella della Caduta dell’Impero Romano, non si stupisce certo che in vari stati avanzino istanze locali che, mi permetto, troppo semplicisticamente vengono targate come “demagogiche e populiste” e che invece sono i prodromi di una naturale reazione.

    Mi dite voi perchè un magazziniere di Amazon, costantemente monitorato e caricato di lavoro, a stipendio tirato e sempre con la spada di Damocle della delocalizzazione non dovrebbe votare anti-sistema?

    sinbad

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