Abenomics al bivio tra incertezza politica e Covid-19

Abenomics
Le dimissioni per motivi di salute di Shinzo Abe dalla carica di Primo Ministro annunciate lo scorso 28 Agosto potrebbero comportare nel futuro prossimo un profondo riassetto della politica interna, estera ed economica del Giappone.

Nell’attesa di conoscere il nome di colui che guiderà il prossimo governo torniamo a trattare, stavolta in un’ottica prospettica, un argomento di cui si è discusso già in passato su questo blog: l’Abenomics.

Come conseguenza della crisi indotta dalla pandemia di Covid-19, il PIL giapponese in termini reali si è contratto dello 0,62% nel primo trimestre di quest’anno e del 7,81% nel secondo trimestre.

Il 7 Aprile scorso il governo centrale ha annunciato l’Emergency Economic Package Against Covid-2019 (EEPAC), un piano di espansione fiscale dal valore complessivo di 117,1 trilioni di yen finalizzato al conseguimento di cinque obiettivi:

  1. contenimento della pandemia e trattamento degli infetti
  2. sostegno al settore produttivo e all’occupazione
  3. ristoro dei danni subiti a causa della pandemia per le attività produttive
  4. aumento della resilienza dell’economia nazionale rispetto a shock macroeconomici futuri
  5. incremento della capacità delle istituzioni di rispondere con maggiore prontezza a questi ultimi

Le prefetture si sono attivate offrendo ai propri residenti finanziamenti a tassi particolarmente agevolati (e talvolta anche a fondo perduto) per sostenere la domanda aggregata.

La Bank of Japan (BOJ) venti giorni più tardi ha invece comunicato che avrebbe espanso ulteriormente la propria politica monetaria acquistando titoli di Stato senza porre limiti quantitativi, innalzando a 20 trilioni di yen l’ammontare massimo di corporate bond e commercial paper che avrebbe comprato e fissando allo 0,1% il tasso di rendimento sui depositi detenuti dagli intermediari finanziari.

Nuovi provvedimenti vengono resi noti settimana dopo settimana, ma in generale, come prevedibile, la direzione intrapresa dalle autorità sembra essere decisamente quella di rafforzare la politica economica ultra espansiva già intrapresa in precedenza.

Tuttavia è opportuno chiedersi quale sarà il destino del programma lanciato nel 2013 quando il Paese sarà uscito dall’attuale emergenza sanitaria.
I giudizi degli analisti su Abenomics, sin dal principio, sono stati quasi all’unanimità negativi e tra di essi non ne se ne scorge alcuno decisamente entusiasta.
In effetti dall’osservazione dei dati economici si desume facilmente che esso non ha raggiunto lo scopo per il quale era stato ideato: far uscire il Giappone dalla lunga fase di stagnazione e bassa inflazione alternata a deflazione cominciata nel 1991.

Nel grafico sottostante sono riportati il tasso di crescita del PIL reale ed il tasso di inflazione al Consumer Price Index (CPI) dal 1994 ad oggi.

Si può ben notare che negli anni di Abenomics non si è registrato alcun significativo aumento dell’output o ripresa dei prezzi. Anzi, nel secondo semestre del 2014 il PIL è calato del 1,92%, proprio mentre l’inflazione si attestava al 2,5% superando così il target del 2%, per poi tornare a partire dal trimestre immediatamente successivo ai (deludenti) livelli precedenti.

Sotto sono rappresentati il tasso di crescita composto del PIL annuale e del CPI annuale dal 1995 al 2019. Queste due misure sono interessanti perché depurano i dati dalla volatilità consentendo di individuare i trend delle rispettive variabili con maggiore chiarezza.

In questo secondo grafico il PIL cade nella seconda metà degli anni ’90, ossia nel periodo in cui la crisi del Decennio perduto è più acuta. Tale caduta è visibilmente maggiore di quella che si verifica tra 2008 e 2009.

La curva dell’inflazione, al netto di una lieve risalita tra 1996 e 1997, si mantiene invece stabilmente piatta.
Da entrambe le rappresentazioni grafiche sopra si evince che sia il Quantitative Easing del 2001 che l’Abenomics si sono dimostrati inadeguati ad influenzare l’andamento del prodotto e dei prezzi, anche solo nel breve termine.

I critici sembrano concordare sul fatto che questa débacle sia dovuta principalmente al fatto che le riforme strutturali promesse (la terza delle “tre frecce” della Abenomics) sono state progressivamente annacquate (ed infatti ne invocano a gran voce il rilancio), che la politica fiscale fino al 2019 è stata contraddittoria (espansiva fino alla prima metà del 2014 e più cauta in seguito) e che la BOJ si è dimostrata incapace di orientare le aspettative degli operatori tramite la propria forward guidance.

È però importante sottolineare che sebbene in patria gli effetti siano stati assai modesti, per le altre principali economie del continente Abenomics sembrerebbe aver avuto alcune conseguenze positive.

Più in particolare, in un suo contributo pubblicato dalla rivista scientifica Pacific Economic Review nel 2018 dal titolo “Impacts of Japan’s negative interest rate policy on Asian financial markets”, Shin-ichi Fukuda, economista dell’Università di Tokyo, argomenta che la politica dei tassi di interesse negativi della BOJ (NIRP – Negative Interest Rate Policy) avrebbe indotto gli investitori ad abbandonare il Giappone a causa del fatto che la remunerazione delle attività finanziarie nazionali è diventata molto bassa (e, in alcuni casi, addirittura inferiore a zero) e ad acquistare asset offerti da altri Paesi asiatici.

Sempre secondo Fukuda, di questa massiccia fuoriuscita di capitali avrebbero beneficiato principalmente i mercati azionari asiatici, come si evince dal loro andamento.

Nel medio periodo dunque, quando il vaccino contro il virus sarà disponibile su vasta scala, la maggioranza della popolazione sarà immunizzata e la crisi sarà finita, non si può escludere che il nuovo esecutivo ed il nuovo governatore della BOJ (quello attualmente in carica terminerà il proprio mandato il prossimo anno) possano prendere atto del sostanziale fallimento dell’Abenomics nella sua forma attuale e decidere di tentare di avviare la ripresa riducendo gradualmente il programma di acquisti del Quantitative and qualitative easing (tightening), interrompendo la NIRP e rimettendo al centro della propria azione le riforme.

Del resto, una rimodulazione del piano Abe in tal senso potrebbe raccogliere il consenso anche di importanti segmenti dell’elettorato e dei mercati se si considera che la politica monetaria odierna è stata fonte di non poche difficoltà per i risparmiatori e per i fondi pensione (nel 2016 si parlò molto della perdita di 52 miliardi di yen del Government Pension Investment Fund) e non ha migliorato le aspettative ed il grado di fiducia di famiglie, imprese ed investitori.
Qualunque siano le decisioni dei policy maker in tal senso esse avranno, per le regioni spiegate da Fukuda, un impatto non trascurabile sui partner asiatici dell’Impero del Sol Levante.

La lezione da trarre per l’Italia dal caso nipponico, soprattutto per coloro i quali aspirano ad un pieno ritorno alla sovranità fiscale e monetaria, è che le politiche massicciamente espansive, pur essendo indubbiamente necessarie in situazioni come quella odierna, nel lungo periodo mostrano inevitabilmente i loro limiti e che quindi per conseguire risultati soddisfacenti è preferibile individuare le debolezze strutturali di un Paese ed intervenire su di esse.

Questo articolo è dedicato al compianto Andrea Garufi,
persona dalla spiccata intelligenza e sensibilità che profuse uno straordinario impegno divulgativo tramite i suoi contributi pubblicati su questo blog.

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Pubblicato da Luca Vota

Dottorando in Economia del Settore Pubblico presso l'Università di Salerno.

3 Risposte a “Abenomics al bivio tra incertezza politica e Covid-19”

  1. posso chiedere una cosa. Ma in un paese come il giappone che ha già in sostanza la piena occupazione (almeno pre covid), un alto uso di capacità tecnologica e innovazione e una popolazione che invecchia e decresce, che aumento sostanziale del pil potrà mai esserci? e di conseguenza che aumento di inflazione potrà mai esserci (a meno che uno non creda alla teoria quantitativa della moneta e allora si aspetti inflazione dal QE)?
    Secondo me è già tanto che la crescita sia rimasta grosso modo stabile e non ci sia stata troppa deflazione. Poi sono d’accordo che la politica monetaria non faccia miracoli e a quella preferisco la politica fiscale e gli investimenti (nel Giappone sarebbero da considerare investimenti anche politiche sulla famiglia, i giovani e la natalità, visto che ne ha un gran bisogno).
    Invece le riforme strutturali che si attendevano quali erano? Ridurre il debito pubblico giapponese

    1. Grazie per il suo commento. Mi scuso per il ritardo nel rispondere.
      I punti che lei evidenzia effettivamente sono alla base del fallimento di Abenomics.
      Sebbene il Paese sia in piena occupazione ed abbia una buona capacità tecnologica, le riforme (che nella versione aggiornata di Abenomics prevedono anche sostegno alla natalità e taglio della corporate tax) possono ridare slancio alla crescita attirando lavoratori e capitali dall’estero e riducendo le frizionalità di mercato.
      Tuttavia, finché le attività domestiche avranno rendimenti prossimi o inferiori a zero a causa della NIRP, è improbabile che disoccupati ed investitori stranieri possano confluire in Giappone.

  2. Per esempio riguardo alle politiche monetarie il giappone è stato molto più efficiente che l’europa: Il controllo della curva dei rendimenti (YCC) ha funzionato molto meglio del qe della bce

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