Alessandro Robecchi nel cuore della Milano che cambia

Robecchi cerchi nell'acqua

Approfondire la conoscenza su Alessandro Robecchi (Milano, 1960) apre un mondo pieno di riferimenti a generi e ad autori che non ti aspetti. Già definire il genere “noir” è complicato: si scopre che non va confuso con il “giallo” o con il “thriller”; meno che mai con il “thriller psicologico” o, per carità, con la “spy-story”. E che dire dell’”hard-boiled” con cui confina e si sovrappone?

Giornali, radio, satira, documentari, saggi, la scrittura dei testi TV di Maurizio Crozza e, nel 2014, l’approdo alla narrativa: davvero una figura poliedrica quella di Robecchi, del quale troviamo in rete parecchi contenuti che ci chiariscono bene il suo approccio alla narrazione.

La sua attenzione alla società, alle sue diseguaglianze e contraddizioni, il modo con cui usa e fa muovere i suoi personaggi, la preferenza “al come e al perché, più del chi”, ci consentono di tirare alcune conclusioni, sulle quali ovviamente non pretendiamo di dire la parola definitiva, sulla sua appartenenza al movimento del “Noir italiano” (e anche Massimo Vincenzi sembra convinto di questo, come si ricava da questo evento del 2016 che vede il nostro autore di oggi in compagnia di altri due protagonisti di questo mondo, De Giovanni e Manzini).

Per dare alcune coordinate sulla sua narrativa sono stati fatti i nomi di Scerbanenco, Bianciardi, ma anche di Fo e Jannacci; ed in effetti il suo racconto (comme-il-faut, trattandosi di noir) è, come vedremo, totalmente ed indissolubilmente radicato nella metropoli; e questa metropoli, senza se e senza ma, è Milano.

IL LIBRO

Il nuovo romanzo di Robecchi (I cerchi nell’acqua, Sellerio, pagine 394, Euro 15) è il settimo episodio che vede muoversi nella capitale lombarda Monterossi, Ghezzi, Carella e tutto l’universo di personaggi che anima queste storie di omicidi, traffici, malavita organizzata, piccoli e grandi criminali, mischiati alle vicende personali dei protagonisti.

L’autore non ha inventato un commissario, un carabiniere, e nemmeno un investigatore privato, ma tutto questo insieme: il suo è un coro di personaggi, un’alternanza di situazioni; lui si muove per la città, nella città: sopra, negli attici di piazza Repubblica; sotto, negli scantinati, nelle bettole, nei bar. L’obiettivo di Robecchi è, a ben vedere, quello di analizzare la nostra società, di andare a vedere cosa succede nel bar Tramonto di Turro o nello scantinato della Maggiolina, e in questo dialogo con Roberto Dulio presso il Politecnico di Milano lo scrittore ha confessato di intrufolarsi spesso, per davvero, in questi anfratti (rischiando invero anche qualcosa).

Carlo Monterossi rappresenta una prima prospettiva sulla visione della società che l’autore ci vuole raccontare, per lo sguardo disincantato che ha sul mondo cui appartiene (quello della TV commerciale, la “grande fabbrica della merda” – ogni riferimento è puramente voluto): appartamento galattico, superfici levigate, stereo supertecnologico, divani in pelle, vini e liquori pregiati, colf moldava che fa da coscienza critica, SUV d’ordinanza, Monterossi si trova implicato in storie criminali e si inventa buon investigatore.

Ghezzi e Carella invece sono sbirri veri, e rappresentano l’altra visuale che Robecchi ci fornisce, con i loro uffici lisi, la macchina del caffè nel corridoio, con il loro disincanto, la delusione; soggetti da 1800 euro al mese, lì al commissariato, alla questura, alla centrale di polizia, alle prese con le intercettazioni, le verifiche sui conti, sulle celle del telefono, con il PM stronzo, il capo da gestire, le macchine senza benzina, e i poliziotti che ci mettono i soldi loro.

Le loro storie si intrecciano, si intralciano tra loro, ma poi si mettono sempre d’accordo: ed infatti I cerchi nell’acqua si apre con una cena a casa Monterossi, con Tarcisio Ghezzi e la mitica Rosa, la santa donna che ha sposato lo sbirro; cena nel super appartamento del primo in zona Repubblica, niente a che vedere con i due locali dei secondi, che ci pare di poter collocare fra Carlo Farini, Maciachini, viale Zara (o forse tutti questi posti insieme).

Questa cena è il pretesto per il racconto di una trama che prende varie strade: c’è una vecchia prostituta che attende Ghezzi sotto casa, in abiti da lavoro, e lui la fa salire in casa (senza che la Rosa di scandalizzi più di tanto, invero); vecchie reminiscenze del suo primo arresto, il di lei compagno, il Salina: sono passati 30 anni.

Il Carella invece si è preso vacanza. Carella in vacanza? Impossibile, visto che quando

“… gli altri vogliono andare a mangiare Carella continua a lavorare, quando è ora di andare a casa lui è lì, se c’è da muoversi alle cinque del mattino lui si muove, Carella non dorme, Carella non mangia, Carella se ne fotte dell’encomio e della promozione”.

E infatti, scopriamo che Carella ha una storia sua da seguire, ai limiti del lecito e anzi ben oltre, nella zona più nera che grigia del discrimine fra guardie e ladri, mentre il Ghezzi, cui non hanno assegnato il caso scottante del momento, è un po’ sfaccendato e inizia a vagare per la città alla ricerca del Salina, l’uomo della Franca, che è scomparso. Franca lascia un appunto sui luoghi che il marito frequentava, ed ecco Milano, che c’è sempre, ovunque, in ogni pagina di questa narrazione:

“C’è un bar in via Tadino, quasi all’angolo con Vitruvio, un altro – tavola calda – al Casoretto, un terzo più avanti in via Padova. Il bar Tramonto è ancora più in là… Poi c’è un negozio di apparecchiature elettroniche, impianti di sorveglianza, cose così, in viale Sarca”.

Mezza Milano in poche righe, perché Robecchi è uno che scandaglia la metropoli, ce la rende con i luoghi, i portoni, i cortili, i garage: “quando scopro un nuovo pezzo di città, mi piace andarci, ci torno per sette giorni a fare colazione nello stesso bar” ha dichiarato. E si vede bene:

“..al bar del Casoretto hanno mangiato in piedi all’una meno qualcosa, prima dello scatenarsi delle orde impiegatizie. Due birre medie e due panini che grondavano salse, buoni, ma del Salina nessuna traccia, nessuno lo ha mai visto. Uguale al terzo bar, in via Padova, c’è una ragazza cinese, dietro il banco, che guarda il foglio con la foto del Salina, ma fa gli occhi bovini e scuote la testa”.

Mentre Carella è alle prese con la sua intricatissima e rischiosissima vicenda e il Ghezzi cerca il Salina per fare un piacere alla Franca, prima di correre in soccorso al collega, Monterossi assiste a questo racconto, lo raccoglie per noi: la cena iniziale detta l’atmosfera sofferta e amara di questa vicenda, racchiusa nella tirata che il Ghezzi fa al Monterossi con in mano un pregiato whisky:

“Che ne sa, lei, di quello che c’è là fuori, Monterossi? Parla di ingiustizie e di miserabili come se li avesse visti davvero. Ma non è così. Lei ne fa caricature, Monterossi, lei non sa davvero cosa c’è là fuori, cosa sono le vite in sospeso, le botte, le umiliazioni, la lotta incessante per la sopravvivenza”.

Ecco, forse questo è proprio Robecchi che parla, con la sua attenzione alle disuguaglianze, che gli viene da una chiara presa di posizione sulla società, che è piuttosto nota oltre che evidente nei suoi romanzi: “Un’indagine su un omicidio è un’indagine sulla società” ha dichiarato l’autore e non c’è dubbio che egli voglia farci vedere cosa c’è, ovunque, ma in particolar modo a Milano, dietro, sotto, di fianco ai “saloni del mobile e alle settimane della moda”; lui vuole ricordare a tutti noi che “prima del Bosco Verticale c’era un bosco orizzontale” e lo fa raccontandoci le trame che si dipanano nelle vie malfamate, a pochi minuti dall’aperitivo al “bar fighetto”: lo fa raccontandoci come è cambiata Milano, ci ricorda anche che ci sono anche dei problemi, che la Milano dei grattacieli c’è, ma c’è anche il resto.

E ci pare tutto sommato giusto ricordarlo; se poi il tutto è dentro una narrazione sardonica, incalzante, sfacciata, ci divertiamo pure. E cosa vogliamo di più?

P.s. Ovviamente, il libro è stato scritto prima del Covid e fa un certo effetto leggerlo quando siamo così cambiati nelle nostre abitudini; qui Robecchi e Malvaldi (un altro frequentatore del genere, con i suoi delitti del Bar Lume) presentano I cerchi nell’acqua proprio nei giorni di quarantena, e Robecchi confessa tutto il disagio di questo periodo; chissà cosa ne uscirà, nel prossimo romanzo che speriamo stia scrivendo.

/ 5
Grazie per aver votato!

Pubblicato da Leonardo Dorini

Manager, consulente, blogger. Mi occupo di finanza ed impresa, amo lo sport. Ma sono qui per l'altra mia grande passione: la letteratura.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.