Andate e diversificatevi. Se ci riuscite..

L’infanzia e la gioventù di Harry Markowitz, il padre della teoria moderna del portafoglio, non sono in grado di spiegarci come questo futuro novel fu attratto dalla economia.
Nacque a Chicago dove crebbe nei sfortunati Anni Trenta; suo padre era un droghiere in città, e la famiglia agiata ma non ricca viveva in un grazioso appartamento abbastanza grande perchè ci fosse una stanza tutta per lui. Per sua stessa ammissione, Harry non percepì mai la Grande Depressione. Malgrado ciò si mise a studiare economia a Chicago.
Era dottorando nel 1950, alla ricerca di un tema da sviluppare per la sua tesi, quando leggendo quella di un tale Williams del 1938 sulla valutazione dei titoli ebbe un’idea. Williams suggeriva di calcolare i flussi di cassa delle aziende componenti il mercato azionario, e quindi costruire un tasso di sconto aggiustato per il rischio di ciascuna azienda (l’antesignano dell’attuale Discounted Cash Flow model). Il prezzo che se ne ricava andava confrontato con quello di mercato, e se il primo superava il secondo allora si comprava il titolo.
Naturalmente questa opinione disintegrava tanto l’ipotesi di mercati equilibrati di Bachelier/Cowles (oggi diremmo “efficenti” seguendo l’insegnamento di E.Fama, ma questi era ancora là da venire tanto nel 1938 quanto nel 1950) quanto quella di random walk, perchè presupponeva che l’informazione disponibile non fosse pienamente scontata nei prezzi, ma all’epoca nessuno se ne avvide.
Non se ne avvide neppure Markowitz, che invece notò un’altra incongruenza: se si seguisse il suggerimento di Williams allora sarebbe perfettamente razionale investire tutti i propri soldi nel titolo che garantisce il rendimento più alto, piuttosto che in un portafoglio diversificato. Invece la gente diversifica i propri titoli, non mette tutte le uova nello stesso paniere, e questo perchè teme il rischio.

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EUREKA
Folgorato sulla via per Colorado Springs, il nostro Markowitz, con in mano una buona idea per la sua dissertazione, bussò quindi a diverse porte, anche perchè ignorava tutto della finanza nè aveva mai letto un libro sull’argomento. Una di queste porte era quella di J.Marshack all’epoca direttore proprio della Cowles Commission, che lo diresse agli studi dello stesso Cowles e altri.
Markowitz si mise a studiare un pò di statistica, e guardando le equazioni della bella curva gaussiana a campana era sempre più euforico: i concetti di media e varianza erano proprio ciò che faceva al caso suo, la media quale valore atteso del titolo e la varianza quale indice di dispersione del rendimento attorno al valore “vero” atteso. Le equazioni poi erano così belle, semplici e già da molto tempo conosciute e usate che parevano servite su un piatto d’argento[sociallocker].[/sociallocker]
D’altronde Markowitz non era il primo a utilizzare questi concetti: molto prima, nel 1934 i due economisti della London School of Economics J.Hicks e S.P.Chambers avevano ipotizzato un metodo per determinare l’ottimale allocazione del portafoglio tracciando curve di indifferenza sulla media e varianza del rendimento dei titoli. Questo metodo era stato studiato anche da Marshack, allora a Oxford, e non vi è dubbio che ci sia il suo zampino nella strada che Markowitz prese.
La teoria del portafoglio di Markowitz, altrimenti nota come “criterio media-varianza”, è concettualmente intuitiva: date diverse combinazioni di più titoli, si sceglierà quella con la redditività attesa maggiore e il rischio minore.
La cosa figa del modello è che parecchi titoli tendono a muoversi tutti insieme nella stessa direzione anche se con magnitudini diverse, ma altrettanti si muovono in direzione opposta. É proprio l’esistenza di correlazioni negative che rende possibile costruire un portafoglio di minimo rischio: un paniere di titoli con un rischio complessivo inferiore a quello del titolo meno rischioso. Una cuccagna!

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Sull’asse orizzontale è misurata la varianza, il rischio, su quello verticale il rendimento atteso; tanto più la correlazione diminuisce (indicata dalla lettera greca ro), tanto più la frontiera efficente si incurva finchè (per la minima correlazione possibile, -1) esiste un portafoglio con rischio zero e rendimento atteso positivo.

AIUTO QUANTI CONTI…E CHE IPOTESI!

Harry però aveva una grana da affrontare: i calcoli. Tanti, tantissimi.
La media non presenta difficoltà: si prende il rendimento medio atteso di ogni titolo e lo si moltiplica per il peso percentuale che ha nel portafoglio, poi si sommano tutti. La cosa è meno semplice per il rischio: la formula per la varianza del portafoglio non considera solo la somma pesata delle varianze dei singoli titoli che lo compongono, ma anche tanti coefficenti di correlazione quante sono le relazioni fra i titoli.
È chiaro che tanti più titoli lo compongono, tante più correlazioni e covarianze devo calcolare e tanto più lunga diventa la mia equazione… Per un portafoglio di 30 azioni sono necessari 495 calcoli tra medie, varianze e covarianze. Un poco deludente e scoraggiante da fare artigianalmente con un foglio excel, figuriamoci nel 1952.
Ma anche le ipotesi avevano il loro peso. Notevole.
La più grossa ipotesi che Markowitz fece è che tutti i calcoli presuppongano che le proprietà matematiche della media e della varianza della curva normale gaussiana si applichino ai mercati, e che le distribuzioni di probabilità rimangano costanti nel tempo.
Torneremo un altro giorno sulla fragilità della ipotesi di normalità, e sui risultati ottenuti sostituendola con altre distribuzioni. Qui ci limiteremo ad un breve accenno al problema che colpisce il cuore stesso del criterio di media-varianza di Markowitz.
Senza fare alcuna ipotesi sulla funzione di probabilità, è stato dimostrato che l’utilità attesa della ricchezza dipende dalla somma di tre addendi, che altro non sono che i c.d.momenti della distribuzione di probabilità: positivamente dalla media attesa della ricchezza (momento primo), negativamente dalla varianza della sua distribuzione di probabilità (momento secondo), e positivamente da un terzo addendo che è la somma di tutti i restanti momenti della distribuzione di probabilità.
Finchè ci si ferma ai primi due addendi, il criterio media-varianza è confermato, e poichè la distribuzione Normale è caratterizzata dai soli due momenti primi (media e varianza), il terzo addendo sparisce: ma cosa succede se l’evidenza empirica dimostra che i rendimenti dei titoli non si distribuiscono secondo una normale gaussiana? Questo sorprendente risultato ci dice che non è sufficiente sostituire la distribuzione normale con un’altra distribuzione che fitti meglio i dati: occorre cambiare tutto l’approccio.
[tweetthis] Addio Markowitz. Il criterio media-varianza mostra crepe che non lo rendono ‘generale’.[/tweetthis]
Se si sostituisce la Normale, bisogna considerare pure la concentrabilità dei risultati, la loro asimmetrica distribuzione, il problema delle code grosse (cioè di eventi traumatici che portino ampie variazioni nei prezzi). Un casino in cui diventa fondamentale la percezione del rischio dell’investitore, che non sarebbe più determinabile obiettivamente dalle sole serie storiche di media e varianza.
Addio quindi all’idea che possa esistere un portafoglio efficente di mercato, e quindi addio anche al Capm, ma non corriamo troppo avanti..
Tuttavia questi studi non sono riusciti finora a fornirci una teoria alternativa che fosse anche pratica come quella di Markowitz, pertanto si ritiene che il criterio markowitziano sia comunque una buona approssimazione, ma poco utile quando il gioco si fa duro e la volatilità spazza i mercati. Insomma, bisogna accontentarsi, almeno per ora.

IL LASCITO DI HARRY E LE SUE TRIBOLAZIONI

C’è un punto a favore della teoria di Markowitz che tengo a sottolineare: discriminandoli per rischiosità, Markowitz introdusse in modo completo e coerente nel dibattito teorico l’idea che gli strumenti finanziari non sono tutti perfetti sostituti.
Molti altri finora, probabilmente per eccessiva semplificazione, li avevano trattati come tali, ma questa innovazione aprirà le porte alla teoria del portafoglio di Tobin, che da Markowitz pesantemente dipende, e alle sue conclusioni sulla domanda di moneta e sulla politica monetaria che vedremoin futuro.
A differenza di quanto si possa finora pensare, le teorie di Markowitz non incontrarono subito un gran favore. Come Bachelier 50 anni prima anche  Harry subì l’ostracismo scettico dei “veri economisti”: Milton friedman, che a Chicago era considerato una divinità, sostenne che era impossibile conferire un Ph.D. in economia ad una tesi che non trattava di economia. Al di là del fatto che la finanza è sempre stata la Cenerentola dell’economia, il nobel padre del monetarismo non si avvide delle implicazioni monetarie della teoria del portafoglio.
Ma quando Tobin pubblicò nel 1958 il suo lavoro in merito allora ci si buttò anche lui. Comunque sia, ci sono preconcetti duri a morire, una scenetta che nelle nostre storie a venire si ripeterà ancora.

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Pubblicato da Beneath Surface

Alla soglia degli anta decide di tornare alla sua passione giovanile: la macroeconomia. Quadro direttivo bancario, fu nottambulo ballerino di tango salòn, salsa cubana e rueda. Oggi condivide felicemente la vita reale con le sue due stupende donne.

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