Attenti a ciò che si desidera: si rischia di ottenerlo

Di recente ho discusso con un amico di moltiplicatori keynesiani, in particolare quello fiscale, stuzzicato dai grafici da lui postati, che mostrano piuttosto chiaramente come ad un trend crescente della spesa pubblica (senza però dettagliarla fra consumi e investimenti pubblici, come sarebbe piaciuto a me) corrisponde generalmente una riduzione della velocità di crescita del PIL e viceversa.

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La traduzione economica di questa carneficina è che il moltiplicatore fiscale deve per forza essere diventato negativo (o esserlo sempre stato, almeno per certi Stati, possiamo malignamente aggiungere). Senonchè, questa semplice deduzione comporta di conseguenza tutta una cascata di riflessioni sulla validità della teoria sottostante al moltiplicatore.
Se aprite un qualsiasi manuale di macroeconomia e vi prendete il moltiplicatore fiscale esso è il seguente: I

moltiplicatore-standard

Se almeno voi volete credere alla teoria della trappola della liquidità e supponessimo di trovarci prossimi al livello critico (come sembra esserlo ai tempi odierni di NIRP), allora la sensibilità della moneta speculativa al tasso di interesse è potenzialmente grandissima e quindi ak/m tende a zero.
È facile verificare che nell’approccio universalmente accolto al modello ISLM il moltiplicatore non potrà mai essere negativo. Lo può essere se e solo se la propensione al consumo superasse di gran lunga 1. Ma una tale propensione, che significa mangiarsi ben più del reddito disponibile e quindi far debito in uno schema Ponzi apparentemente a tempo indeterminato, non può reggere a lungo: si tratta di un equilibrio instabile.
L’idea di un moltiplicatore negativo è aliena al modello che da quasi 60 anni è il cuore della pedagogia economica e – ci piaccia o meno – è un riferimento mentale ormai radicato nelle nostre riflessioni economiche.
Ciò che qui voglio dimostrare è che non possiamo distruggere a cuor leggero una parte di quella che è la cornice logica delle nostre riflessioni in economia senza comprometterne tutta l’architettura. E laddove tentassimo di conservarne l’essenza (leggasi, l’equilibrio generale) ne trarremmo comunque un risultato diversissimo.
Vedremo che basta fare una ipotesi,peraltro molto realistica e sensata, per salvare il modello, a costo però di ottenere risultati paradossali oppure costringerci a cambiare altre assunzioni che ritenevamo certe, come se buttassimo via la vecchia bussola e ci affidassimo ad una nuova in cui i punti cardinali sono tutti modificati.

[tweetthis]il moltiplicatore fiscale può essere negativo?[/tweetthis]

L’ipotesi che faremo, in linea con il pensiero originale keynesiano, è che la funzione degli investimenti non dipenda solo dal tasso di interesse (inversamente), ma anche dal reddito (il PIL, direttamente).

moltiplicatore-nuovo

In tal caso il moltiplicatore fiscale cambia, e sempre nell’ipotesi di M mooooolto grande, potremmo avere il caso in cui il denominatore sia negativo, e questo accade quando la propensione all’investimento v è maggiore della propensione al risparmio (al netto di un peso funzione della aliquota fiscale).
Et voilà, Il gioco sembra fatto. Epperò…
Notiamo subito che aver ipotizzato 1-(c+v)*(1-t)<0 significa che la curva IS è inclinata positivamente, e questo ci porta a fare due osservazioni:
1) cosa succede se la IS è più o meno inclinata rispetto alla LM?

graf-a-e-b

Come si vede dalla figura sotto, se IS è più inclinata di LM allora l’equilibrio è instabile (grafico A) perchè le spinte lungo la IS e lungo la LM sono divergenti, quindi non vi è equilibrio, il che è paradossale anzi surreale considerando che tutto il modello islm è il matrimonio di keynes e dell’equilibrio economico generale walrasiano. (vds nota 1)
Perciò, anche se perdiamo pezzi per strada (vds nota 2), siamo costretti ad assumere che LM sia più inclinata della IS (graf B). E questo ci porta alla seconda osservazione:
2) movimenti dei tassi, leggasi interventi espansivi di politica monetaria, avrebbero l’effetto di aumentare il reddito Y e aumentare i tassi di interesse. Il risultato non è paradossale, perchè è la logica conseguenza degli animal spirits contenuti nella nuova funzione di investimento. Se I dipende da Y e la propensione ad investire è maggiore di quella a risparmiare, allora vuol dire che le aziende ritengono molto redditizio l’investimento se sono disposte a finanziarlo a leva o comunque ad un tasso di crescita maggiore della propensione al risparmio: ragionamento che porta a conclusioni analoghe di quello keynesiano sulle ondate di ottimismo e sulla efficenza marginale del capitale.
Per quanto il tasso di interesse possa aumentare (e quindi diminuire la propensione agli investimenti via oneri finanziari maggiori), tuttavia la componente delle aspettative sul reddito prodotto dagli investimenti sarà sempre preponderante e trascinerà dietro a sè il tasso di interesse in quanto il pubblico per risparmiare chiederà un tasso in equilibrio con la produttività marginale del capitale.
E qui notiamo subito una prima discrepanza fra la realtà e il punto in cui la nuova teoria “botulinizzata” ci sta portando (e tranquilli, non sarà l’unica): intorno a noi vediamo per caso un così fresco e soave ottimismo e ventate di propensione all’investimento privato superiore al risparmio? Se la risposta fosse sì, cambiate pusher.

Ma la teoria al botulino ci porta anche oltre.

La curva di domanda aggregata che possiamo costruire dalla figura B è simile a quella che dedurremmo dalla teoria standard, l’unica differenza è che la curva sarà meno inclinata. Ma la differenza sta nella curva di offerta aggregata. Vi risparmio i passaggi matematici, provo bensì a concettualizzarli.
I manuali macro dicono che l’offerta aggregata corrisponde alla curva che rappresenta tutti i punti di equilibrio fra prodotto Y e livello dei prezzi P per cui il profitto delle aziende è massimo. In situazione di concorrenza perfetta (vds nota 3) tale situazione corrisponde alla uguaglianza fra salario reale e produttività marginale del lavoro. Poichè quest’ultima è in relazione inversa con il prodotto Y, allora si deduce una relazione diretta fra Y e P, e quindi la AS ha inclinazione positiva.
Possiamo rendere più realistico il modello sommando altri costi operativi come per esempio le materie prime importate, pesate per i relativi prezzi e tassi di cambio, ma il discorso della inclinazione non cambia nè troveremmo differenze rispetto al modello ISLM “standard”. Il discorso cambia quando invece considerassimo il costo che le aziende sopportano per il debito finanziario, cioè il tasso di interesse.
Normalmente la componente tasso verrebbe sottratta alla equazione della offerta aggregata, perchè – pur essendo un costo per l’azienda – eravamo abituati (nella vecchia versione standard del modello) a pensare che un aumento del tasso diminuisse il prodotto Y (via riduzione degli investimenti) e quindi la riduzione di Y riducesse i prezzi P e questo effetto superasse di gran lunga quello inflattivo dovuto ai maggiori oneri finanziari (cosa peraltro realistica, come sanno gli imprenditori).
Ma ora che abbiamo “botulinizzato” la IS, ed essa è positiva, Y va a braccetto con il tasso, quindi un aumento di r aumenta Y e aumenta P.
Forse siete rimasti traumatizzati dalla derivazione della curva di offerta aggregata, e non avete colto il paradosso. Provo a dirvelo ancora: se la Banca Centrale aumentasse i tassi, creerebbe inflazione, altro che deflazione come ci hanno finora raccontato a scuola.
Se vi ricordate bene è la proposizione neofisheriana, una recente teoria eterodossa che sta acquistando proseliti, ma forse semplicemente perchè – giunti agli inferi dei tassi – ci si accorge che la politica monetaria è inefficace, e magari ci si augura che facendo retromarcia il mondo torni a girare nel verso giusto…. e magari non esploda sotto il peso delle paurose duration accumulate sui mercati obblogazionari di tutto il mondo!

Tutti i maggiori modelli econometrici che conosco, per quanto complessi possano essere, si basano sullo schema concettuale dell’equilibrio economico generale keynesian-walrasiano, altrimenti detto Sintesi neoclassica (e anche i modelli neokeynesiani non fanno differenza).
Se vogliamo studiare l’ipotesi di moltiplicatori negativi dobbiamo riscrivere la macroeconomia, e la strada da me qui mostrata ci porta a risultati talvolta paradossali talvolta controintuitivi che ribaltano molte nostre certezze e altrettante prove empiriche.
Forse un modo alternativo per superare il problema sarebbe smettere di calcolare il moltiplicatore fiscale senza distinguere fra spesa pubblica per consumi e spesa per investimenti (come già suggerivo), e concettualizzare l’idea di moltiplicatore di breve e di lungo periodo.
È rischioso fermarsi all’idea che per sbuggerare quel socialista di Keynes basta fare due calcoli algebrici e metterli in rete. Magari tutto fosse così semplice: se con una paletta in mano vuoi fermare una macchina devi stare attento a non attraversare la strada sull’altra corsia dando le spalle alle vetture in corsa.

——–
(nota 1) A parer mio, comunque questa instabilità non potrebbe essere destinata a durare a lungo, perchè, vedendo che una variazione positiva del tasso di interesse r porta comunque ad una variazione positiva del reddito Y, gli operatori economici presto o tardi sarebbero incentivati ad aumentare la propensione al risparmio per poter investire di più, ma un aumento del risparmio farebbe diminuire l’inclinazione della IS, ripristinando una situazione di equilibrio stabile.
(nota 2) Ignorare la possibilità proposta dal grafico A non è esente da problemi riguardo l’efficace rappresentazione della realtà. Poichè è noto che la moneta è endogena e la domanda di moneta non è stabile rispetto al tasso di interesse, da parecchio tempo le Banche Centrali hanno smesso di targettizzare l’offerta di moneta e invece hanno come target i tassi di interesse e tutta la curva a scadenza. Da un punto di vista grafico questo si traduce in una curva LM molto più piatta di quella neoclassica, e quindi più simile alla figura A (quasi keynesiana). In ogni caso temo che il problema resterebbe, a causa proprio del parere espresso in nota 1.
(nota 3) La scelgo per semplicità, ma il discorso è identico anche in caso di concorrenza imperfetta, al netto di un fattore noto come mark up, che in genere si considera costante

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Pubblicato da Beneath Surface

Alla soglia degli anta decide di tornare alla sua passione giovanile: la macroeconomia. Quadro direttivo bancario, fu nottambulo ballerino di tango salòn, salsa cubana e rueda. Oggi condivide felicemente la vita reale con le sue due stupende donne.

2 Risposte a “Attenti a ciò che si desidera: si rischia di ottenerlo”

  1. Credo che tu abbia bisogno di rileggerti TUTTI i testi di econ101 al mondo e cercare di capirli.

    1. Ecco un altro villano vigliacco, il secondo in due giorni. Il primo ieri insultava via twitter senza taggarmi e lo scopro solo grazie ad un’altra utente che mi tagga x conoscenza. Alle mie richieste di spiegarsi e motivare l’insulto chiaro quanto vago, il vigliacco sparisce.
      Lei, caro anonimo, fa lo stesso: non si firma e quel che è peggio infama ma non spiega.
      Se la critica e l’obiezione che può muovere è così semplice da bastare un testo base, la esponga, sicuramente i lettori lo apprezzeranno e che lei ci creda o no magari anche io.

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