Australia e Cina tra politica e economia

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Le ambizioni della politica estera dell’Australia convergono nell’armonia di storia e geografia. È questo il senso delle oscillazioni di Canberra che non flettono anche se gli esecutivi si succedono. Il precedente gabinetto laburista doveva fronteggiare gli stessi ostacoli di quello liberale che ha vinto le elezioni. La recente visita del Primo Ministro Tony Abbott nel nord-est asiatico conferma questi dilemmi di fondo. Il suo paese appartiene per storia, cultura, etica degli affari e sistema politico alla tradizione europea e britannica.
Deve invece alla prossimità geografica con l’Asia l’ormai ventennale espansione economica. La crisi è relativamente sconosciuta agli antipodi, l’inflazione e la disoccupazione sotto controllo, i conti in ordine. Tra i tanti motivi, uno prevale e sintetizza gli altri: essersi inserito nel circuito della crescita asiatica, proprio mentre i paesi industrializzati soffrono stagnazione o recessione. Sono asiatiche le prime 4 destinazioni dell’export australiano: Cina, Giappone, Corea del Sud, India. La prima è anche l’approdo principale delle merci australiane, confermando la supremazia nell’interscambio strappata al Giappone nel 2007.  Sono inoltre cospicui gli investimenti, soprattutto di Pechino, nel settore minerario. I giacimenti di oro, ferro, rame, potassio sono indispensabili per la trasformazione cinese.

L’incessante domanda della manifattura si converte in acquisti e investimenti. Questi ultimi sono passati al setaccio dal Foreign Investment Review Board (the FIRB) che fornisce valutazioni al Governo per capire se rispettino gli interessi locali e siano in grado di creare reddito e occupazione. Soprattutto per la Cina, l’Australia si pone come terreno di trattativa, piuttosto che come terra di conquista. È proprio l’aspetto negoziale ad avere dominato l’agenda del Primo Ministro nel suo recente viaggio a Tokyo, Seul, Pechino. Con grande fanfara ha auspicato la sigla di 3 FTA – accordi di libero scambio bilaterali – con ognuna delle capitali. In realtà solo quello in Corea è stato siglato, mentre gli altri risultano insabbiati in una miriade di aspetti tecnici apparentemente irrisolvibili. Prevale l’ottimismo, ma non si nascondono le difficoltà ad aprire mercati ancora strutturalmente diversi tra loro. Permane inoltre la diversità tra i sistemi sociali, soltanto intaccata dalle convenienze commerciali. Così come molti paesi del sud-est asiatico, l’Australia deve la congiuntura alla Cina, ma la sicurezza agli Stati Uniti. Teme l’espansionismo di Pechino e infatti non ha esitato a schierarsi con Tokyo per le isole contese nel Pacifico. È ovviamente allineata con Washington nelle principali questioni internazionali e la sua fede “occidentale” non è mai stata posta in discussione.

Tuttavia le necessità di un rapporto stabile con la Cina è essenziale. I flussi di merci sono inarrestabili, le divergenze assumono la forma di conciliazione nelle trattative, mentre un uso sapiente dell’immigrazione attrae verso il paese i talenti cinesi. Pur nella vischiosità dei movimenti, la geografia ha prevalso, o almeno è nevralgica per il futuro del paese. In realtà il governo deve conciliare 2 materie più cogenti: la politica e l’economia, l’identità rispetto alla globalizzazione che ne scolora il significato. Le prime la conducono verso Londra e Washington, le seconde verso l’Asia, con scalo obbligato a Pechino.

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Pubblicato da Alberto Forchielli

Presidente dell’Osservatorio Asia, AD di Mandarin Capital Management S.A., membro dell’Advisory Committee del China Europe International Business School in Shangai, corrispondente per il Sole24Ore – Radiocor

Una risposta a “Australia e Cina tra politica e economia”

  1. Interesante la foto metáfora del Oso Panda Canguro o Canguro Oso Panda, Australia se encuentra como la cancion de Mary MacGregor Torn between two lovers, occidente-asia.
    Interesting methapor Panda- Kangaroo or Kangaroo-Panda, Australia is in a interesting situation like the song of Mary MacGregor Torn between two lovers, west-asia.

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