Il binario che può condurre al grilletto

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Le ricorrenze belliche in Asia orientale segnano nuovi rancori invece di celebrare la pace. Dopo più di 60, anni la carneficina della Guerra di Corea non registra accordi di pace. Nord e Sud sono ancora ufficialmente in guerra. Più di mezzo secolo dopo la guerra sull’Himalaya, India e Cina sono divise da dispute territoriali sul tetto del mondo e da tensioni marittime. Pechino vuole costruire una “collana di perle”, una serie di porti attorno all’India che invece considera come un giardino di casa l’oceano che porta il suo nome. Dalle guerre indo-pakistane iniziate nel 1947, Pechino è schierata con Islamabad, senza altra motivazione della geopolitica contro Delhi. Le 2 potenze nucleari del sub-continente hanno sacrificato lo sviluppo alla loro rivalità; hanno in dotazione arsenali atomici ma non hanno sconfitto la miseria e l’analfabetismo. Permangono gli attriti tra Cina e Giappone, rinfocolati dalle divergenze per le isole contese (Senkaku o Diaoyu). La recente visita del Ministro della Difesa statunitense Chuck Hagel in Cina ha potuto soltanto constatare le forti divergenze e la determinazione di Pechino, espressa con la decisione unilaterale di stabilire un’ADIZ – Air Defence Identification Zone -sull’arcipelago di scogli. In precedenza, Tokyo non aveva mostrato intenzione di recedere dalla sua politica di riconquistato orgoglio nazionale a 70 anni dalla fine del secondo conflitto mondiale. I venti di guerra si sono estesi al Mar Cinese meridionale, a causa delle tensioni della Cina con il Vietnam, le Filippine, la Malesia, sempre per un pugno di isolotti. Il loro valore strategico è noto, Pechino le ha infatti poste a baluardo dei propri confini, una “linea di 9 trattini” (nine-dash line) che sposterebbe la giurisdizione della Cina alcune miglia di km a sud delle sue coste. Ovviamente gli stati rivieraschi sono preoccupati, mentre paradossalmente il sostegno arriva da Taiwan, in nome del mai sopito nazionalismo cinese. È pensabile che la guerra ancora sia un’opzione considerata dalle Cancellerie? Perché l’Asia è ancora attraversata da pericolose tensioni militari? Tra le tante risposte, 2 sembrano prevalere, resistenti e parallele come in un binario:

  1. Una pace completa non è stata mai raggiunta. Gli Stati hanno scelto la pace, non la pacificazione. Hanno dovuto ricostruirsi dopo la guerra, uscire dal sottosviluppo, ma non hanno perseguito una politica di amicizia. Non a caso nel nord–est asiatico non esiste nessuna forma di collaborazione istituzionale; senza sorpresa le organizzazioni multilaterali (la SAARC nell’ex India Britannica e l’Asean nel sud-est asiatico) non raggiungono neanche lontanamente gli standard di integrazione dell’Unione Europea. Il risentimento tra i governi e tra i popoli è stato alimentato dal nazionalismo, ma è stato celato dalla necessità della cooperazione economica e dalla Pax Americana. Il primato dell’identità politica ha prevalso su ogni ricordo, lo schieramento ha sostituito ogni velleità di rivincita. Seul non ha rifiutato l’aiuto di Tokyo nella guerra contro Pyongyang; Cina e Giappone hanno messo da parte la forte rivalità quando la delocalizzazione produttiva nel Paese di Mezzo era conveniente per entrambi i paesi. In quegli anni le pagine dei giornali non riportavano i ricordi delle confort women o dell’eccidio di Nanchino.
  2.  Ora l’economia ha assolto il suo compito. Il sottosviluppo è sconfitto quasi ovunque. Paesi ancora a reddito medio o basso (come Cina e India) fanno valore le loro dimensioni in luogo della loro ricchezza individuale. La cooperazione è una scelta articolata, non un obbligo. Se ora la Cina ha bisogno di tecnologia, può produrla in proprio o acquistarla ovunque, non necessariamente dal vicino Giappone. Gli straordinari successi economici dell’Asia contemporanea hanno portato a conclusione l’occultamento del passato, hanno disvelato la coltre di oblio – insieme retorico, redditizio e ipocrita – che aveva ammantato la crescita. Ora i paesi sono abbastanza forti e prosperi per rivendicare i torti o per evitare di riconsiderare il proprio passato. Le guerre e le aggressioni si ricordano ancora con le ferite, non con le cicatrici; è la conseguenza di non aver fatto i conti con il passato e di aver dato luogo a un interminabile e doloroso dopoguerra.
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Pubblicato da Alberto Forchielli

Presidente dell’Osservatorio Asia, AD di Mandarin Capital Management S.A., membro dell’Advisory Committee del China Europe International Business School in Shangai, corrispondente per il Sole24Ore – Radiocor

2 Risposte a “Il binario che può condurre al grilletto”

  1. Quindi potrebbe succedere un riesplodere degli antichi conflitti? Sono seduti su una mina vagante in quel d’Oriente? E se si, cosa potrebbe farla esplodere, Alberto?

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