Bologna come Boston?

Se Boston avesse la Torre, sarebbe una piccola Bologna.

La città di Boston, oggi, è l’ecosistema numero uno al mondo nella ricerca medica. Questo è un dato di fatto che conoscono tutti. Bologna, parallelamente, nonostante in Italia sia riconosciuta come una delle città con un polo ospedaliero-universitario di tutto rispetto, a livello internazionale è sconosciuta sotto questo punto di vista. Però sarebbe bastato poco per essere “qualcuno”, perché io ricordo ancora quando la mia città natale, qualche decennio fa, era piena di studenti americani di medicina. Cos’è successo nel frattempo? Le solite cose. Il mondo è andato a una velocità pazzesca. Il “sistema” Boston è stato capace di correre mentre il “sistema” bolognese – e italiano – no, ha gattonato.

D’altronde sulla Route 128 che attraversa lo Stato, prima c’è stato il “Massachusetts Miracle”, un boom tecnologico-scientifico con il suo fulcro intorno al MIT (Massachusetts Institute of Technology), poi è arrivato il boom biomedicale (che per certi aspetti è solo all’inizio)[sociallocker id=12172].[/sociallocker]

In questo senso può essere illuminante l’esperienza di un illustre bostoniano acquisito.
Lawrence H. Summers ha un anno in più del sottoscritto. È stato direttore del Consiglio economico nazionale USA, segretario al Tesoro sotto la presidenza Clinton e storico rettore di Harvard, nonché nipote di Paul Samuelson, premio Nobel per l’economia nel 1970. E dice:

“Non c’è bisogno di essere un sopravvissuto al cancro, come me, per vedere nella ricerca biomedica contemporanea, con sede a Boston, una prospettiva miracolosa. Negli ultimi cinquant’anni l’aspettativa di vita è aumentata di tre ore al giorno. E questo è un aspetto molto concreto. Io ho avuto il cancro quando avevo trent’anni e sono stato trattato con successo. In seguito ho imparato che i miei trattamenti erano stati sviluppati solo dieci o quindici anni prima del 1984, quando mi è stato diagnosticato il cancro. Ecco perché ho un senso così acuto nei confronti del lavoro che si sta portando avanti qui a Boston”.

In un raggio di cinque miglia intorno ad Harvard Square vi è la più alta concentrazione mondiale di talenti per la ricerca biomedica rispetto a qualsiasi altra città del pianeta. Boston anche nei settori biotech e pharma è su livelli assoluti. Questo perché anche quando il governo federale stava bloccando la ricerca sulle cellule staminali, le istituzioni dell’ecosistema bostoniano collaboravano creando, tanto per fare un paio di nomi d’eccellenza, The Harvard Stem Cell Institute e il Wyss Institute for Biologically Inspired Engineering. In pratica le discipline di biologia e ingegneria al top.

[tweetthis]Se Boston avesse la Torre, sarebbe una piccola Bologna. Di @Forchielli[/tweetthis]

Ma l’aspetto straordinario di tutto ciò è che a Boston nessuno si siede sugli allori. Anzi, si continua ad accelerare. Il motivo lo spiega ancora lui, Lawrence H. Summers: “Sfruttare appieno il potenziale della biomedicina, sia per Boston che per il mondo in generale, è tutt’oggi una priorità perché si può ottenere molto di più del tanto che abbiamo già ottenuto. La scienza dipende dalla scintilla della creatività individuale. Ma per supportare la creatività individuale serve la visione e l’unità degli imprenditori e delle istituzioni. Perché, come disse Isaac Newton:

«Se ho visto più lontano, è perché stavo sulle spalle di giganti»”.

Bologna come Boston? Quasi… ma in un’altra vita e in un altro tempo. Putroppo.

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Pubblicato da Alberto Forchielli

Presidente dell’Osservatorio Asia, AD di Mandarin Capital Management S.A., membro dell’Advisory Committee del China Europe International Business School in Shangai, corrispondente per il Sole24Ore – Radiocor

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