È il business, bellezza, e gli algoritmi non saranno mai imprenditori

È possibile ipotizzare che una persona utilizzando gli algoritmi possa valutare un futuro business?

Se ci si riferisce alle idee, allora è implicito che per i matematici sia possibile metterle sotto forma di regole matematiche. Impegno improbo, se pensiamo di stimare i risultati di business che scaturiranno nel futuro da quelle idee. Molto più arduo se cerchiamo nella matematica un aiuto per valutare le qualità umane immerse nei futuri business.

In tema di regole, esse sono scritte da un gruppo di persone che hanno dei bias, non sono regole fredde, anche gli algoritmi hanno dei pregiudizi insiti al loro interno, anche se spesso non vogliamo ammetterlo.

Oltre alle idee, aspettative umane, i bias e le regole, affrontiamo il punto cardine: i dati sui quali lavorare.

Ci sono tutti i dati?
Come facciamo a saperlo se mancano?
In questo campo il passato influenza il futuro?

No, se un soggetto ha fallito nel passato non deve essere penalizzato, resta il problema allora di che dati prendiamo in esame e entro quali limiti contestuali sono applicabili.

Ne discende un grave problema di qualità dei dati.

Infatti, come si fa a misurare un business futuro, i famosi “animal spirits” di keynesiana memoria? C’è quindi molto più bisogno di scienze sociali che ingegneria applicata in questo mondo che sta passando dai prodotti ai servizi. Ci sono certo delle notevoli eccezioni, come dimostra la vita dell’ingegner Adriano Olivetti.

Forse gli imprenditori più bravi sono quelli “poco matematici” prima delle decisioni e nella fase di relazione. E “molto” dopo, ossia quando devono misurare le conseguenze delle loro azioni nel mercato.

Moneyball, il film tratto dalla vita dell’allenatore di baseball che otteneva ottimi risultati è una storia molto bella e veritiera. Spesso però si considera troppo poco che l’allenatore era un vero esperto, che quindi ha immesso i dati giusti nel suo modello, ha escluso il rumore facendo leva sulla sua grande esperienza.

La vera chiave della vittoria.

In ambito startup, la differenza la fa sempre la scelta del Venture Capital, non si vede nessuna possibilità per un team di persone incapaci di avere successo, anche se usano algoritmi sempre più alla portata di tutti. Quando si è troppo “matematici”: ossia quando si vuol misurare ogni cosa, il mondo diventa una formula; c’è un modello e una soluzione per tutto.

Dal lato del management si tenta ancora di applicare la pratica di Taylor: suddividere il lavoro in semplici operazioni, misurare la produttività e mettere in concorrenza i lavoratori sulle performance. Tutte azioni destinate al fallimento, data la realtà di imprese sempre più orizzontali e così dense di comunicazioni esterne per realizzare servizi in partnership.

In questi tempi così dinamici, nella migliore delle ipotesi, gli algoritmi potranno agire da filtro passa-alto, cioè ottenere un buon tasso di confidenza sugli errori più macroscopici che le persone potrebbero commettere prima di fondare un’impresa. Da mettere in conto però di perdere i più sconclusionati creativi che non rientrano in nessuno schema.

Saper scorgere nuovi comportamenti, prevedere la creazione di nuovi mercati non è un dono della tecnologia, né della matematica, piuttosto trattasi di business, ossia di scienze sociali.

Twitter: @massimochi

Articolo pubblicato su Econopoly-Sole24Ore

 

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Pubblicato da massimochi

Massimo Chiriatti è un tecnologo con Master nella gestione dell’ICT, descrive l’economia digitale e osserva le conseguenze sulle persone, in particolare sull’occupazione. Collabora con il Sole24Ore-Nòva100.

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