Come migrare: ecco perché ho deciso di scriverne un libro

Ho pensato a questo libro come un dovere civico. Non si può restare indifferenti di fronte al declino morale e materiale del nostro paese. Non si può rimanere intellettualmente inermi a seguito di una progressiva, inarrestabile, umiliante perdita di reputazione. Internazionale. L’Italia vanta riconoscimenti straordinari. È il paese riconosciuto come centro dell’arte, della cultura, talvolta dell’economia, dei viaggi, delle scoperte, delle invenzioni. Non è la retorica nazionalista a muovermi, quanto la convinzione che oggettivamente l’Italia ha queste caratteristiche. Scriverei questo libro anche se non fossi italiano, anche se appartenessi alla categoria sempre più vasta dei “cittadini del mondo”. Tuttavia piange il cuore ed anche il cervello assistere a una discesa inarrestabile, ormai certificata da tutti gli standard.

L’Italia sembra precipitare in tutte le statistiche: siamo costantemente in recessione economica, il paese che nell’ultimo decennio è cresciuto di meno al mondo (credo che ormai l’espressione sia impropria perché dovremmo parlare di decrescita…). Non sono un sostenitore della decrescita felice, non mi convincono le teorie di chi vorrebbe fermare l’offerta di nuovi prodotti. La crescita va regolata, non deve diventare un totem, un’ossessione per Ragionieri dello Stato. La frugalità può essere uno stile di vita, ma la natura umana è tesa alla crescita, non alla conservazione. I bonsai, per rimanere piccoli, hanno bisogno di interventi dolorosi. Ecco perché la recessione è regresso. Se l’economia non cresce, il tempo lavora contro di noi. Il suo scorrere ci fa diventare più poveri. L’Italia sta diventando un paese sempre più povero. Ciò potrebbe essere accettabile, l’ennesimo spostamento del pendolo, se ci fosse una speranza, un’illusione interna al nostro paese. Questo, lo sappiamo tutti, è difficile da dimostrare. Tutti gli indici sono contrari nel dimostrarlo. Ci penalizzano il numero dei laureati, i conoscitori dell’inglese, i suonatori di strumenti musicali, i visitatori dei musei, i lettori di libri, i viaggiatori in luoghi remoti, le pubblicazioni scientifiche, il prevalere del gossip e delle foto anche nella stampa presunta specializzata. Una drammatica conseguenza di questa situazione è la perdita di lavoro, un risultato che deriva da 2 addendi drammatici: la chiusura irreversibile di posti di fabbriche e uffici e il mancato ingresso nel mondo del lavoro di forze giovani.

Ho scelto dunque di dividere il lavoro con Stefano Carpigiani per dimostrare che questa situazione ha genitori non illustri, nomi e cognomi di errori, mancanze, rinvii decisionali, se non sconfinamenti nella violazione della legge. La sintesi complessiva è la colpevolezza della politica. È vero, ma non basta. Essa non è composta soltanto da persone incompetenti, avide o corrotte. È il frutto di idee sbagliate, dure a morire. È il risultato di processi culturali prima ancora che elettorali.

Chi vive all’estero, ma si sente ancora profondamente italiano, ha probabilmente gli strumenti giusti per analizzare e trovare soluzioni. L’ambizione di questo libro rientra in questa sfera: fornire a genitori e figli uno strumento conoscitivo e modeste proposte per uscire dall’impasse. Prima ancora di essere un manuale, si presenta come una riflessione. Anche con spietatezza, dobbiamo esaminare i nostri errori, perché il tempo non è più una risorsa infinita. Abbiamo il più grande bacino naturale, artistico, culturale al mondo. Perché i turisti scelgono altre mete? Rispondere compiutamente a questa domanda, aiuta a farlo con quelle centrali per il libro: c’è speranza di lavoro in Italia? È necessario emigrare? Farlo, è un arricchimento o un perdita? Nella globalizzazione, le risposte diventano più complesse, meno unidirezionali. Un padre e una madre italiani soffrono di più per un figlio lontano o nel vederlo frustrato dalla mancanza di lavoro a casa? E poi: qual è oggi il concetto di casa?

Schengen ha abbattuto le frontiere, i voli low cost facilitano gli spostamenti, skype annulla i costi telefonici. Forse i genitori italiani della mia età amano ricordare le difficoltà del loro primo viaggio in Francia, con la necessità di portarsi un dizionario, di cambiare le lire in franchi, di acquistare il quotidiano italiano alla frontiera e di portarsi la scorta di spaghetti in valigia (non si sa mai…e poi ricordarsi di comprare la cioccolata in Svizzera al ritorno). Oggi quei tempi sono consegnati alla preistoria, ma sono duri a morire nelle menti conservatrici. Questo libro vuol dimostrare che lavorare all’estero è ragionevolmente giusto, è talvolta auspicabile, altre difficile. In ogni caso è possibile, più praticabile e meno complicato che in passato. Complica la vita, ma la vita e in se stessa complicata, quindi aiuta ad affrontarla meglio. Diceva Tarzan a Jane: “It’s a jungle out there!”. Anche oggi la vita può essere una giungla, ma il miglior modo per non subirla è attrezzarsi. Lì, come nella vita, ci sono serpenti e tigri, ma si possono trovare anche rose e fiori.

Questo post giunge dopo le riflessioni spese negli articoli “Italiani all’estero” e “L’Italia vista da fuori

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Pubblicato da Alberto Forchielli

Presidente dell’Osservatorio Asia, AD di Mandarin Capital Management S.A., membro dell’Advisory Committee del China Europe International Business School in Shangai, corrispondente per il Sole24Ore – Radiocor

4 Risposte a “Come migrare: ecco perché ho deciso di scriverne un libro”

  1. Ti leggo e sai benissimo come mi si stringe il cuore a queste tue parole. Non è il cuore della madre che dovrebbe vedere andare via il figlio quello che soffre. No. E’ il cuore di una donna, un’italiana, che ama appassionatamente il suo Paese e non si rassegna ad abbandonarlo all’incuria e all’inedia di chi può e non fa.
    E’ vero quello che dici Alberto. La colpa non è tutta e solo da ascrivere alla classe politica. Proprio ieri sera nella mia pagina di Fb ho iniziato ad accennare qualcosa di un bozzolo del mio pensiero, sono sicura che tu lo condivideresti in pieno. La colpa, dicevo, non è solo della Politica ma un grande ruolo l’hanno giocato anche i sindacati ma prima di tutto gli industriali. Ho letto il Tuo condivisibilissimo pensiero sulla globalizzazione, sui suoi limiti e sul danno al nostro sistema economico. E’ vero, la globalizzazione è tra le cause primarie da ricercare nella nostra decadenza economica e industriale. I magnati, Marchionne in testa, hanno portato altrove le sedi “legali” delle loro aziende, dove pagano meno tasse e dove il costo della manodopera è irrisorio, dimenticandosi, però, che se le loro aziende sono diventate ciò che sono è grazie anche al sudore di padri e madri di famiglia “italiani” che dentro le loro fabbriche hanno lavorato per anni ed anni. Se c’è una cosa che ho imparato dalla “globalizzazione” seguendoti è che non solo ha un volto disumano ma è anche anti etica.
    Adesso, forse hai ragione, ci avviamo a una terza generazione di emigranti, non più ignoranti, analfabeti, contadini con la valigia di cartone legata con lo spago, come quella che partì ai primi del ‘900 dall’Italia ma ragazzi con tanto di laurea in tasca, col trolley e col pc a tracolla. Non più su navi stipati dentro le stive ma su voli low-coast. Mi chiedo però una cosa. Quelli che partivano una volta mandavano i loro soldi a casa, ai genitori, alle mogli rimasti in Italia, e così hanno aiutato le banche ed il Paese a rinascere. Oggi succederà la stessa cosa? Faranno i nostri giovani come gli immigrati cinesi, pakistani, africani che ogni anno veicolano verso i loro paesi di origine milioni e milioni di euro?
    Può servire al Paese questa emigrazione o non lo depauperà di risorse giovani che potrebbero rinnovarlo?
    Forse la mia può sembrare una domanda provocatoria ma non lo è. Cerco solo di capire. Ho “bisogno” di capire.
    Grazie se qualcuno mi vorrai rispondere.

  2. …e’ vero: stando fuori / lontano da un contesto, si possono osservare ed analizzare meglio situazioni complesse e/o critiche con il necessario distacco;
    leggo il libro e poi vi so dire; mi immagino di trovare una accurata analisi con sempre Alberto fa, assieme alle “guidelines” x i + giovani.
    In Italia, oggi, il realismo e’ d’obbligo; retorica ne abbiamo avuta fin troppa ed inconcludente e purtroppo sembra “che nun la sia anhora miha finita”. Certo e’ che siamo di fronte a una vera e propria tragedia epocale: che un paese nn sia in grado di offrire un futuro dignitoso ed interessante ai propri giovani, beh: e’ molto, molto grave. E lo e’, soprattutto, in relazione a quello e a quanto i padre di detti giovani (ed i loro nonni…) avevavno fatto affinche’ cio’ nn dovesse piu’ succedere. Ragazzi , qui i conti nn tornano!! qualcuno e’ scappato con la cassa!! 🙁

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