Alla conquista del West

Ci scandalizziamo se i contadini cinesi entrano nel salotto buono della finanza italiana? Sì, soltanto se culliamo il ricordo di un mondo che non c’è più. La Cina pullula di miliardari, asset, riserve per 4.000 miliardi di dollari. I mobili italiani scricchiolano invece per i tarli, la polvere e i debiti. Questo è il retroterra economico che spiega l’affondo della Safe (State Administration of Foreign Exchange) nell’ultimo acquisto, il 2,001% di Mediobanca. Come nei casi precedenti – FCA, Telecom Italia, Prismyan, Eni, Enel – la soglia del 2% è stata superata appositamente, per dare l’obbligatoria pubblicità all’investimento, trattandosi in tutti i casi di società quotate. L’apertura di Renzi alla Cina è stata il sottofondo politico; quello ideologico viene dai recinti infiniti della globalizzazione.

Sono scoloriti i concetti di identità e di nazionalità; le necessità di produrre e consumare impongono scelte che valicano i confini e i passaporti. Si investe dove è più conveniente, o dove si pensa che lo sia. Si spiega tutto, dunque, nel nuovo approdo cinese in Italia? Non esattamente.La Cina acquista probabilmente pensando al portafoglio più che alla strategia. La pianificazione dove eccelle non è quella finanziaria. Cerca profitti immediati in settori sicuri. È possibile che consideri l’Italia un trampolino per l’Europa, ma si deve accontentare del piano B. Preferirebbe invece entrare – pagando, s’intende – dalla porta principale, ma a Washington e Berlino sono molto più restii a vendere i gioielli di famiglia. L’ambizione di Pechino è accaparrarsi quello che non ha. Per le materie prime ci pensa l’Africa, per la tecnologia e i servizi dovrebbe venire in soccorso l’Occidente. Tuttavia, non tutti si fidano, vogliono vendere o hanno bisogno di farlo.

Il sud dell’Europa ha bisogno di iniezioni ricostituenti; le offre Pechino in cambio di reti elettriche in Portogallo, di moli del Pireo in Grecia. Si tratta dello stesso percorso giunto in Italia.
Il dubbio che assale non è se il nostro paese abbia dovuto vendere o meno, quale linea doveva seguire, se quella rigida di Berlino e alleati oppure quella bisognosa del Mediterraneo. Il guaio è averlo fatto in condizioni di debolezza. Il rischio è di dover importare poche regole e tanti interessi. La causa è non aver saputo gestire situazioni complesse. Affrontare l’emersione della Cina implicava studiare, gestire, negoziare. Il nostro paese si è invece barricato in discussioni fintamente ideologiche, sempre sterili, spesso sbagliate. Alla fine, costretti dalla crisi, vendiamo o svendiamo: too little, too late.

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Pubblicato da Romeo Orlandi

Presidente del Comitato Scientifico di Osservatorio Asia. Professore di Economia della Cina e dell'Asia. Esperto di globalizzazione. Autore, editorialista, relatore a convegni.

Una risposta a “Alla conquista del West”

  1. “Il nostro paese si è invece barricato in discussioni fintamente ideologiche, sempre sterili”. È per questo che mentre gli altri paesi corrono noi stiamo a guardare. La falsa morale delle oche spiumate fa affondare un’azienda con migliaia di dipendenti.

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