Convegno a Milano sulla Abenomics

La benevolente curiosità che aveva accolto il lancio dell’Abenomics richiede un tagliando analitico. La ricetta del primo Ministro Shinzo Abe, lanciata alla fine del 2012, ha perso smalto, richiamata alla realtà dalla dura prova dei fatti. Le sue 3 famose frecce – politica monetaria, politica fiscale, riforme per la crescita – hanno per ora fallito il bersaglio o rallentato la loro corsa, volteggiando in un ambiente di sopravvivenza. Le inchiodano i risultati del Pil, che proprio il premier voleva rivitalizzare. Dopo un anno e mezzo, la crescita è stata pari all’1,4%, soltanto alcuni decimali superiori a quella registrata dal paese nell’ultimo decennio di stagnazione.

Ci si interroga ora se fosse valsa la pena di intraprendere una virata così radicale e onerosa della politica economica. Le cancellerie avevano salutato l’Abenomics con ottimismo. L’assunzione di responsabilità governative per il rilancio della domanda sembrava non soltanto una necessità nella crisi internazionale, ma la conferma che la politica espansiva della Fed trovava una sponda consenziente. Soltanto l’Eurozona rimaneva inchiodata a vincoli di bilancio che non favorivano la crescita.

Si trattava per l’economia giapponese – ancora la terza al mondo – di una rivoluzione copernicana: fornire risorse direttamente perché il cavallo della domanda – sia consumi che investimenti – non beveva, nonostante l’acqua fosse pulita, disponibile, economica. La deflazione appariva un enigma sinistro: perché spendere del denaro che il giorno dopo varrà sempre di più? Il governo intendeva assumere responsabilità dirette, confidando che lo spaventoso debito pubblico (il 240% del Pil) sarebbe ancora rimasto in mani giapponesi e dunque non richiesto. Il Giappone sembrava in una situazione dunque promettente. Ciò ha spinto Osservatorio Asia a dedicargli il prossimo Convegno del 13 Novembre.

Effettivamente la novità è importante, ma deve accompagnarsi a iniziative che per il momento latitano e che oggettivamente sono difficili da intraprendere. Stephen Roach – Professore a Yale ed ex Presidente di Morgan Stanley in Asia – sostiene che la soluzione per la crescita deve venire da 2 versanti: un aumento della produttività e la ricerca di nuove forme di domanda, sia interna che estera. È difficile percorrere la prima strada: l’arcipelago è già ai primi posti al mondo per la sofisticazione delle tecnologie, il ruolo dei servizi, la modernità dei settori industriali. Può certamente migliorare il proprio assetto, ma non con balzi in avanti spettacolari. La domanda interna è da stimolare con l’immissione di nuova forza lavoro. Tokyo tuttavia finora molto lentamente ha adottato misure per favorire l’occupazione femminile, che rimane tra le più basse del mondo industrializzato. Ancora meno densi di novità sono i provvedimenti per incoraggiare l’immigrazione, un tema che rimane una pietra angolare della società giapponese.

Non rimane che inserirsi vantaggiosamente nel riequilibrio in corso nel Pacifico tra Cina e Stati Uniti. Gli scompensi del passato – misurati soprattutto dagli enormi disavanzi commerciali di Washington verso Pechino – sono in via di ridimensionamento, almeno nelle intenzioni. La Cina ha lanciato politiche tese a favorire i consumi interni e le importazioni. Ha inoltre bisogno di acquisire la tecnologia migliore per il suo apparato produttivo. Il Giappone è nella posizione migliore per trovare sbocchi per la propria offerta. È noto tuttavia che le frizioni politiche non consentono un riscaldamento dei rapporti tra le 2 capitali asiatiche. Lo scambio di merci persiste, ma non al livello in grado di trainare la domanda ripercossa sui 2 paesi, specialmente il Giappone. Seppure in misura minore, anche gli Stati Uniti possono dargli soccorso, perché l’ambizione di nuovi investimenti e costruzioni trova in Tokyo un fornitore di qualità, posizione certamente non praticabile se Washington avesse continuato a privilegiare l’importazione di basso valore, come quella da Pechino. L’Abenomics è dunque ancora valida, le premesse non smentite, i successi non aleatori. Però il Giappone per avere successo ha bisogno probabilmente di una politica più incisiva e di maggiore coraggio. Gli splendidi risultati del passato non sono una garanzia del futuro e il tempo, come spesso viene insegnato in Asia, non è una risorsa illimitata.

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Pubblicato da Alberto Forchielli

Presidente dell’Osservatorio Asia, AD di Mandarin Capital Management S.A., membro dell’Advisory Committee del China Europe International Business School in Shangai, corrispondente per il Sole24Ore – Radiocor

3 Risposte a “Convegno a Milano sulla Abenomics”

  1. La situazione è questa:
    coach Abe, coach Obama, coach Draghi, più una miriade di tecnici in attesa del loro turno (da Sachs agli ultraliberisti) disegnano alla propria squadra le più complesse e sofisticate strategie di gioco (economico). Chi a zona, chi a uomo, chi il 4-2-2, chi il 4-3-3, chi il tiki taka…. Una tempesta di cervelli che assicurano ai propri team, allenatissimi, la miglior strategia possibile…
    Poi viene il momento della partita.
    E subito si nota una prima cosa strana… mancano gli arbitri…..
    Poi entrano gli avversari ed indossano caschi ed armature.
    Poi qualcuno fischia dagli spalti e gli avversari prendono la palla con le mani, stendono chiunque si ponga di fronte, ed entrano in rete con la palla in mano urlando touchdown….
    E i coach , dalla panchina, scuotono la testa, e basiti dagli eventi sanno solo ripetersi:
    bsogna sofisticare ulteriormente le nostre strategie di gioco……..

    O fai un campionato a regole condivise (uguali per tutti) o le regole, più favorevoli, applicate dall’avversario ti schiacceranno.

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