Il mondo che verrà, tra Brexit, Cina USA e UE

Le dinamiche instabili del mondo che verrà

Se il 2016 è stato l’anno della Brexit, il 2017 si preannuncia all’insegna della Frexit o quantomeno è ciò che prefigura Marine Le Pen per fini elettorali, cavalcando il malessere (reale) tra cittadini europei e relative istituzioni (troppo distanti e sostanzialmente inadeguate). Va detto che la Gran Bretagna, con la Brexit, pare sia diventata lo zimbello del mondo. Di sicuro è più debole. E di questa debolezza la Cina ne trarrà vantaggio. È questa l’opinione di James Richards, ex diplomatico con ruoli strategici in importanti aziende britanniche ed esperto di UE e Cina, che ha riportato sulle pagine del Financial Times a inizio anno dopo essersi confrontato a lungo con amici cinesi (e non solo) in ambienti politico-imprenditoriali di primo piano.

Vista da Pechino, la decisione dell’ex primo ministro britannico David Cameron di buttare alle ortiche l’adesione alla UE in un referendum è stata imprudente (per non dire peggio). E a dire il vero la vittoria del “Leave” ha colto di sorpresa anche i cinesi con l’imbarazzo dello stesso presidente Xi Jinping che aveva personalmente promosso un “periodo d’oro” nelle relazioni tra Cina e Gran Bretagna sotto l’egida della UE.

Detto ciò, la Cina cercherà senza dubbio di sfruttare al meglio le nuove prospettive e certo è che per gli investitori cinesi il mercato del Regno Unito, soprattutto nell’immobiliare, nei marchi di prestigio e nelle infrastrutture, continuerà ad avere un valore rilevante. Tuttavia è altrettanto certo che nella complicata dinamica delle strategie globali, tra questioni di pace e sicurezza internazionale e quelle non secondarie su diritti umani e cambiamenti climatici, la voce inglese – solitaria – avrà meno peso. Con la Cina che vedrà sempre di più la Germania come leader dello schieramento europeo (per certi aspetti comunque fondamentale nello scacchiere mondiale)[sociallocker id=12172].[/sociallocker]

In ogni caso sulle reali conseguenze della Brexit bisognerà attendere anni, compreso i relativi rapporti con la Cina; che James Richards ha definito, attraverso l’operato del governo Cameron, come “servili”, orientato com’era nella massima priorità del guadagno commerciale a scapito di tutto il resto.
Mentre il governo di Theresa May pare voglia riequilibrare almeno la questione sicurezza, come testimoniato dalla costruzione dei due reattori nucleari presso Hinkley Point C, nel Somerset.

La centrale nucleare era destinata ad accogliere investimenti e servizi di Pechino – che attraverso compagnie cinesi ha in progetto di realizzare più di 60 centrali nucleari sia sul territorio nazionale che all’estero nell’arco del prossimo decennio – ma con il cambio alla guida del governo, avvenuto in seguito alla Brexit, è cambiata anche la posizione nei confronti del progetto e dell’intero settore nucleare.

Difatti l’approvazione dei lavori a Hinkley è stata accompagnata dalla legge che impone alle compagnie britanniche di mantenere una “special share” nelle centrali che saranno realizzate in futuro. Con la Cina che a Hinkley sarà comunque presente con una quota del 33,5%. E con la China General Nuclear Power Corporation che – insieme alla francese Edf – ha già un piano per sviluppare due nuove centrali nel Suffolk e nell’Essex (quest’ultima con reattori cinesi).

Quindi, in concreto, da un lato, liberata dalle “catene” imposte dalla UE, la Gran Bretagna potrà sicuramente essere in grado di negoziare un accordo di libero scambio con la Cina. Dall’altro lato, però, conoscendo bene l’etica cinese che dall’entrata nel WTO (World Trade Organization, che in italiano sta per Organizzazione mondiale del commercio) nel 2001 a oggi ha sistematicamente disatteso tutti gli accordi firmati, forte anche dell’enorme potenza economica nei confronti dell’ex potenza coloniale, è quanto meno fantasioso immaginare che la Gran Bretagna da sola potrà riuscire a smantellare le pratiche cinesi anticoncorrenziali quando la pressione contemporanea di USA e UE non sono riuscite a ottenere nulla di simile.

James Richards conclude la sua analisi con una domanda che riguarda tutti noi, europei e occidentali. Allontanandoci da alleati storici di Paesi democratici e, nel contempo, cercando di avvicinarci a un partner ancora governato da un partito unico, non tradiamo i nostri valori?
La risposta è ovvia: sì. Perché è solo rafforzando i legami con l’Europa – e poi con gli USA – che si possono trovare le energie necessarie per avere un rapporto più solido e costruttivo con la Cina, vero e proprio deus ex machina del nostro tempo, nel rispetto reciproco e per benefici davvero comuni.

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Pubblicato da Alberto Forchielli

Presidente dell’Osservatorio Asia, AD di Mandarin Capital Management S.A., membro dell’Advisory Committee del China Europe International Business School in Shangai, corrispondente per il Sole24Ore – Radiocor

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