Questo è il dito. Quella è la Luna.

Cosa stai guardando?

Da quanti mesi ininterrottamente sentiamo parlare di non performing loans, sofferenze e crediti dubbi nelle pancie delle nostre banche? Tanti, tantissimi, di fatto in ragione proporzionale alla loro quantità.
Tutto gira attorno a, oppure è influenzato da oppure a sua volta influenza la questione delle sofferenze: i ratio patrimoniali, il restyling delle regole di vigilanza macroprudenziale, le ricapitalizzazioni, la dinamica del credito alla economia reale, la sterilizzazione della LGD e addirittura i Level3, tutto dimostra quanto le Associazioni Bancarie siano suscettibili all’argomento bad loans.

E così, le discussioni procedono fino al proprio apice, il giusto prezzo di cessione di queste sofferenze, onde potersene liberare dai bilanci.
Lo scopo di Atlante era quello di adulterare i prezzi di mercato, target mancato in pieno perché per fare i martiri serve fede e soprattutto molta resistenza al dolore.
Atlante ha fatto flop come testa d’ariete: mesi a discutere dell’aria fritta, perchè un mercato italiano di npl già esiste, come hanno dimostrato le cessioni di Unicredit, IntesaSanPaolo e Carige e PopBari, tanto per citarne alcune, e di attori ce ne sono, da Fortress a DoBank a Italfondiario a Creditech al fondo Apollo e tanti altri piccoli veicoli per cessioni routinarie pro-soluto.

E trovo ugualmente sviante la discussione sul presunto oligopolio del settore, che abbasserebbe i prezzi di cessione. Questa argomentazione si fa forte di uno studio di Banca d’Italia secondo cui la percentuale di recupero dei crediti cattivi sia del 47% qualora vengano gestiti internamente alla banca , ben più alto del 16% che è il prezzo di cessione a quegli avvoltoi dei Recupero Crediti.

Peccato che queste discussioni giornalistiche difettino tutte di un ulteriore elemento per giudicare: quanti anni servono alle banche per recuperare? A quali costi (di struttura, personale, competenze giuridiche e costi legali, nonchè di capitale assorbito ai fini della Vigilanza)?

Se le banche scelgono di affidarsi a strutture esterne è perchè in quel 30% di differenza ci stanno dentro tutti quei minori costi che non può/vuole sostenere.
Se il mercato si concentra è perchè ci sono enormi economie di scala da sfruttare: servono expertise e grandi numeri per gestire un business che richiede pesanti conoscenze legali e burocratiche, differenti da paese a paese (l’alternativa è rischiare la concentrazione del rischio paese, risolvibile se il cessionario è per l’appunto adeguatamente grande e multinazionale)[sociallocker].[/sociallocker]

La parte avvilente della faccenda è che gli azionisti sembrano molto più preoccupati di dover mettere le mani al proprio portafoglio piuttosto che comprendere e risolvere il modello inefficace della propria banca, quello che finora ha generato così tante sofferenze .

Quel modello da migliorare

Più sento parlare di npls più sono convinto che una buona parte delle discussioni sia aria fritta, malgrado il problema sia gravissimo e una soluzione sia necessaria e urgente.
Dico che secondo me si insiste a guardare nella direzione sbagliata: al passato e non al futuro, ai processi in tribunale piuttosto che a migliorare le strutture di gestione dei crediti, ai presunti colpevoli piuttosto che alle metodologie.

Prima che un credito arrivi a essere classificato a sofferenze, passa diversi gradi di problematicità.
La ‘sofferenza’ è l’ultima classificazione del credito deteriorato, preceduta da altre (sulle cui particolarità non insisto): le ‘inadempienze probabili’ (Unlikely to pay UTP), i past due, i forborne, a loro volta precedute da altre classificazioni (questa volta diverse da banca a banca) relative a livelli iniziali di problematicità.
Salvo casi particolarissimi, passano molti, spesso tantissimi (troppi) anni prima che un credito venga classificato a sofferenza. Ed è proprio in questo lasso di tempo ultrannuale che si piantano i semi per una buona o infelice raccolta al momento della cessione.
Tutti questi crediti problematici devono giocoforza essere gestiti internamente dalla banca, e richiedono adeguate competenze e strutture.
Alle conoscenze tecnico-legali-burocratiche del personale dipendente, si deve aggiungere l’esigenza di strutture efficaci, dove si scopre essere fondamentale la digitalizzazione delle singole posizioni, utile e veloce per individuare soluzioni oppure, all’occorrenza, per cartolarizzare e cederle a terzi. Provatelo a fare con faldoni cartacei, magari poco o male sfoltiti, con documenti archiviati in luoghi differenti a causa di fusioni, riorganizzazione di uffici, chiusure di filiali eccetera, e poi mi dite.

Il grosso guaio è che queste strutture di gestione del credito problematico sono spessissimo ‘cimiteri degli elefanti’, parcheggi per direttori trombati, impiegati demotivati, colleghi con molta esperienza ma prossimi alla pensione e quindi poco spronati.
Non mi sorprende che il ritmo di ingresso da bonis a problematico sia superiore a quello di ritorno fra i crediti performanti.

Paolo Cirino Pomicino avrebbe bisogno di farsi un giro in qualche banca prima di scrivere articoli sul Foglio, in cui si domanda perchè Unicredit abbia deciso di vendere la propria struttura interna di gestione del credito piuttosto che impiegarvici le migliaia di impiegati in esubero che pensa di prepensionare!! Bel suggerimento Paolo, guarda te lo faccio dire da Flavio….

Un ulteriore problema per le banche consiste nel processo di riorganizzazione e dimagrimento che stanno passando: tanto più si diminuisce il numero delle filiali, e le si riduce a rivenditori di padelle piuttosto che uffici di consulenza e erogazione di servizi, allora bisogna trasferire a strutture centrali quote maggiori di deleghe nella gestione del credito dubbio, per compensare la crescente de-specializzazione del bancario medio, per non parlare della sua motivazione a lavorare bene… (qui non mi preoccupa solo la generazione attuale, che vivrà ancora per un poco della inerzia degli skills accumulati: mi terrorizza la prossima generazione di bancari di filiale che tali skills non li avrà né potrà svilupparli in filiale).

Comincio a contare il numero di filiali che sento dire hanno sbagliato grossolanamente le pratiche di fido riuscendo a novare credito e garanzie, il modo peggiore per romperne la continuità temporale e quindi perderle.

Le filiali sono incentivate a non (sapere) gestire i primi segnali di emersione delle problematicità, lasciandole incancrenire, finché subentra un ufficio lontano e al cui accesso il cliente è escluso, che tratta i crediti problematici perdendone la dimensione umana del rapporto: spesso infatti le direttive vengono ‘calate dall’alto‘ e anche le filiali fanno la propria (negativa) parte ribaltandole al cliente senza motivarle, in un processo che spersonalizza la relazione fiduciaria e la impoverisce.

Di tutto questo quanto si parla? Nulla, e poco nelle stesse banche. Eppure è nella riorganizzazione di queste strutture e processi che può trovarsi la soluzione alla crescita degli npls, perché possiamo anche liberarci di quanto finora accumulato, ma non siamo salvi finché non riduciamo il ritmo con cui se ne formano di nuovi, ritmo nel quale una grossa responsabilità ce l’hanno proprio le inefficienti strutture descritte.

Se dalla Commissione di inchiesta Parlamentare venisse fuori una denuncia della inefficacia del sistema e alcune proposte per migliorarlo o prevederne una più attenta sorveglianza, sarei il primo a compiacermene.

/ 5
Grazie per aver votato!

Pubblicato da Banchiere Cannibale

Mi piace avere vecchi amici a cena... Perché sotto la più bella ruota di pavone si cela sempre un culo di pollo.

2 Risposte a “Questo è il dito. Quella è la Luna.”

  1. Una domanda da profano riguardo la cessione di npl al 16% (fa riferimento alla tranche da 18mld ceduta da Unicredit giusto?) contro un recupero medio (media decennale se non sbaglio) del 47%.
    Un punto che non mi sembra sia stato considerato: non può essere che il prezzo di cessione sia dovuto alla particolare composizione della tranche ceduta, nel senso che magari Unicredit ha ceduto una parte particolarmente “cattiva” di npl, comunque non rappresentante la composizione media che teneva in grembo? Per cui anche se dovesse vendere domani le sofferenze rimaste riuscirebbe in ogni caso a farlo ad un prezzo ben maggiore del 16%. Da qui “l’illusione ottica” che ha scatenato tante polemiche.

    1. Salve Leonardo, chiedo scusa se rispondo con tanto ritardo.
      Nel caso specifico di Unicredit lei ha ragione: si è detto che la tranche ceduta faccia parte di un gentile lascito della vecchia gestione di Capitalia pre-fusione con Piazza Gae Aulenti, quindi roba di quando ero più giovane.
      Naturalmente, come esplicitamente faccio notare nell’articolo, più tempo passa dall’insorgere della problematicità al passaggio a sofferenze, inutilmente e tenendo le braccia conserte, tanto più arduo sarà il postumo tentativo di recupero. E di conseguenza tanto più basso il prezzo di cessione.

      In generale il prezzo di cessione dipende da alcuni elementi: la vecchiezza del fascicolo (e anche la completezza documentale), il rating delle controparti cedute, la presenza di collaterals e di che tipo, pure la correlazione statistica delle varie partite componenti il portafoglio ceduto ‘fa brodo’.
      Lo scopo della tecnica del ‘tranching’ è proprio di determinare per ciascuna tranche il tasso di recupero, perciò si parla di tranche junior, mezzanine e senior in ordine crescente di recuperabilità e quindi di prezzo di cessione.
      Lei parla di “illusione ottica” perchè (se non sbaglio) ritiene possibile cedere tranche senior collateralizzate a prezzi migliori: nessuno lo vieta, ma Le dirò che non ricordo di aver visto andare oltre un 25%.

      Chi compra sofferenze non è un generoso mecenate, questo sia chiaro, ma un imprenditore, con un forte appetito per il rischio ma certo non scemo, se Markowitz ci ha insegnato qualcosa sul concetto rischio-rendimento.
      La presenza di collateral tranquillizza, ma nel 99,9% dei casi si tratta di ipoteche, talvolta su beni la cui costruzione non è neppure finita.
      E nel momento che il compratore si aspetta che il mercato venga ingolfato tutto ad un tratto da una massa di pignoramenti e vendite coatte, va da sè che teme salire il rischio di crollo dei prezzi…e quindi il prezzo di cessione delle sofferenze scende.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.