Anche i Brics hanno una banca. E sfidano il G7

Sono ancora puntati sul Brasile i riflettori internazionali. Stanno giungendo a Fortaleza, nella punta di terra che s’incunea nell’oceano Atlantico, i capi di stato e di governo dei Brics. Per il VI summit dell’organizzazione si sono dati appuntamento i presidenti Xi Jin Ping, Vladimir Putin, Jacob Zuma, Dilma Rousseff e il primo ministro Narendra Modi. Quest’ultimo è al suo battesimo internazionale, dopo la trionfale vittoria alle elezioni indiane lo scorso maggio. I presidenti di Russia e Sud Africa sono in sella con ampi mandati, mentre Xi è al timone senza aver bisogno di un’investitura elettorale. Solo il destino di Rousseff è barcollante.

Le prossime elezioni di ottobre sono rischiose per la sua rielezione, soprattutto dopo ladébâcle della Seleção e le polemiche sui costi sociali dei campionati di calcio. Un risultato redditizio dal summit è dunque atteso, pur rimanendo ancora indefinito. Gli obiettivi sono due, uno strategico, l’altro strumentale. Per creare un’alternativa credibile al G7, per costruire un blocco socio-politico potente, è decisivo creare una banca indipendente.

Un prestatore e regolatore che favorisca lo sviluppo e ne smussi le contraddizioni tra i cinque stati, lontano dalle altre istituzioni internazionali che continuano a essere dominate dai paesi industrializzati. Era l’impegno preso lo scorso anno al summit di Durban; è anche la speranza per altri paesi, desiderosi di svincolarsi dalla tirannia del dollaro nelle transazioni internazionali, ma incapaci di farne a meno per mancanza di scelte.

È il caso dell’Argentina, la cui presidenta Kirchner è stata invitata. Avrà orecchie attente e tasche vuote. Dovrà conciliare la sua rielezione, il pericolo di default e la sentenza della Corte suprema statunitense che le ingiunge di pagare i debiti del fallimento argentino del 2001. Tuttavia il rischio di Buenos Aires è marginale per il futuro dei Brics.

Quello centrale è scoprire il futuro di un blocco gigantesco, destrutturato, diversificato, nato per un’intuizione di marketing, ma stranamente in crescita. È nota l’origine dell’acronimo, coniato da Jim O’Neill di Goldman Sachs nel 2001 (con l’aggiunta della “s” sudafricana nel 2010). Le diversità all’interno dei Brics sono lampanti: dittature, democrazie e stati autoritari; produttori di materie prime, fabbriche del mondo ed erogatori di servizi informatici; amici, antagonisti e partner degli Stati Uniti. Sono inoltre marcate le tensioni al proprio interno, anche se finora ha prevalso lo spirito di riscatto dal sottosviluppo, un’ambizione che – con la relativa eccezione della Russia – accomuna tutti i partecipanti.

La diversità non ha impedito un’unità di intenti. I Brics hanno posto condizioni forti a vertici dell’ambiente, nella composizione degli organismi multilaterali, nelle trattative per la sicurezza. La loro definizione accattivante è uscita dai recinti mediatici si è trasformata in un appuntamento mondiale.

Per creare una propria banca, i paesi devono tuttavia sciogliere alcuni nevralgici nodi politici. Il più importante è il peso della Cina, il cui Pil è superiore a quello combinato degli altri quattro paesi. Pechino è divenuta la città di gran lunga più importante dopo Washington. Le relazioni con le altre capitali sono chiaroscurali: conflittuali con Delhi ma economicamente valide; basate sul pragmatismo più profondo con Mosca, diversificate con Brasilia e Pretoria. Sui grandi temi internazionali può esserci convergenza di posizioni, ma è indubbio che le industrie nazionali soffrano per le esportazioni di manufatti cinesi a basso costo. Rimane inoltre il timore che lo “spirito terzomondista” della Cina sia una leva negoziale con gli Stati Uniti che restano invece il partner ideale, seppur nella diversità, per le esigenze della Cina di compiere il necessario salto tecnologico.

Il timore di essere subalterni a Pechino ha dunque frenato le ambizioni dei Brics, che peraltro erano andate ben al di là delle aspettative. La costruzione di un’istituzione comune sarà il banco di prova del futuro. Ma dove sarà ubicata, in quale moneta interverrà, come sarà composto il consiglio di amministrazione, chi la finanzierà? Pechino ha in cassaforte 3.800 miliardi di dollari e sembra il candidato ideale, ma sarebbe in quel caso forte il timore di continuare a scrivere “Brics” ma di dover pronunciare “Cina”.

Articolo proposto anche sul quotidiano Europa
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Pubblicato da Romeo Orlandi

Presidente del Comitato Scientifico di Osservatorio Asia. Professore di Economia della Cina e dell'Asia. Esperto di globalizzazione. Autore, editorialista, relatore a convegni.

Una risposta a “Anche i Brics hanno una banca. E sfidano il G7”

  1. Dott. Orlandi, caro Romeo sempre un piacere leggere tuoi analisis. Interesante Brics VI Summit, un altro fronte al FMI. un altro fronte agli EEUU, UE? Raro mix come la foto,.Vediamo si il Dragone non si mangia la amazonia, il orso, il tigre di bengala, e la terra di Mandela?

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