Il bilancio pubblico italiano: un problema di prospettiva

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In altro e noioso contributo, avevo evidenziato la particolare struttura di un bilancio pubblico, che viene redatto preventivamente (e quindi può essere assimilato al budget di un’azienda e non al suo bilancio) e che ha funzione autorizzativa ed ovviamente di indicazione delle risorse acquisibili e contestualmente utilizzabili nello specifico esercizio temporale.

Nella parte “entrate”, quindi, vengono iscritte le somme che si prevede di acquisire e nelle parte uscite quelle si prevede di spendere. Allorquando saranno stati individuati (anche per categorie di soggetti) i debitori e creditori, le somme previste in entrata saranno state “accertate” e quelle previste saranno state “impegnate”.

Nel momento in cui, per esempio, viene introdotta una nuova imposta, si fa una stima delle entrate acquisibili e si iscrive in bilancio la somma relativa come entrata prevista. Quando poi vengono individuati i soggetti passivi, si determina il diritto giuridico di pretendere il pagamento e tali entrate vengono ritenute accertate in quell’anno, a prescindere se la riscossione delle stesse avverrà in quello o in successivi esercizi.

Relativamente alle spese, invece, si fa una stima delle spese che si intendono o si devono sostenere e si iscrive in bilancio la somma relativa come spesa prevista. Quando poi vengono individuati i destinatari della spesa, si determina l’obbligo giuridico di pagare e tali spese vengono ritenute impegnate in quell’anno, a prescindere se il pagamento delle stesse avverrà in quello o in successivi esercizi. Risulta chiaro che, mentre non vi è un limite di entrate che possono accertate (anche in misura superiore a quelle previste, quindi), le spese (salvo specifica variazione) non possono essere impegnate in misura superiore a quella prevista in bilancio.

Il risultato di amministrazione e l’eventuale deficit di bilancio derivano dalla sommatoria algebrica delle entrate accertate e delle spese impegnate (tenuto conto della variazione intervenuta nelle disponibilità di cassa)..

Dal punto di vista degli equilibri formali di bilancio, quindi, il momento di cassa, cioè quello in cui entrate e spese vengono rispettivamente riscosse e pagate, è irrilevante. Se, infatti, un debito di un certo importo trova esatta rispondenza in un credito di analogo importo, la situazione è in equilibrio, dovendosi soltanto provvedere a fronteggiare l’eventuale sfasamento temporale tra il momento i cui si è costretti a pagare la spesa e il momento in cui si incasserà la relativa entrata. Più tale sfasamento è lungo, più determinerà un costo, dovendosi ad esso provvedere con anticipazioni di tesoreria o con altri strumenti finanziari.

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A titolo di esempio, approssimando gli importi, il settore pubblicato allargato italiano (Stato, enti locali, enti di previdenza, ecc), ha ca. 800 miliardi di spese impegnate finanziate con 800 miliardi di entrate accertate e ca. 50 miliardi di spese (pari al famoso 3% di PIL) coperte dall’emissione di debito pubblico.

Ma è vero che quei 800 miliardi di spesa pubblica trovano esatta corrispondenza in entrate accertate, quindi in entrate che si ha davvero il diritto di riscuotere? E che cosa succede se è vero solo in parte?

E’ agevole comprendere che se una parte di quelle spese impegnate (quindi, con obbligo di pagare) trova copertura finanziaria in entrate che poi si scopre non si aveva diritto di riscuotere (o che comunque non vengono riscosse), la stessa si rivela un debito senza copertura finanziaria da ripianare con maggiori o nuovi entrate o con emissione di supplementare debito pubblico.

Tale situazione diventa ancora più grave se l’insussistenza delle entrate ritenute “accertate” (ritenute crediti, quindi) non è episodica ma strutturale e si verifica ogni esercizio finanziario.

A quel punto, dovrebbe diventare doveroso rimodulare la spesa e quanto meno impegnarsi contrattualmente (“spendere” nel senso comune del termine) solo nei limiti delle entrate che concretamente si realizzano (avendo al riguardo, come termine di riferimento, gli esercizi precedenti), salvo poi successivamente riespandere la spesa allorquando le entrate dubbie o di difficile realizzazione abbiano effettivamente generato l’entrata di cassa.

Dal punto di vista pratico, è chiaro che quando non si hanno sufficienti entrate di cassa non si può provvedere al pagamento integrale delle spese impegnate. Peraltro, non tutti i debiti vengono ad essere reclamati nello stesso momento, anche se, per senso comune, è più facile che si presentino prima i creditori dei debitori. Tuttavia, se si tratta solo, come si è detto, di uno sfasamento temporale, si può agevolmente ricorrere ad anticipazioni di cassa.

Quando, però, non si tratta di uno sfasamento temporale ma di un deficit strutturale di entrate senza la riduzione delle relative spese, si determina la necessità di posticipare i pagamenti. E’ evidente a quel punto però che più il disequilibrio si allarga (più i debiti sono coperti da crediti insussistenti e a cui non corrisponde un’entrata di cassa), più i pagamenti devono essere posticipati.

Per stabilire esattamente quanti degli 800 miliardi di spesa pubblica finanziati da entrate non a debito trovino esatta copertura finanziaria occorrerebbe acquisire i dati di ciascuna entrata del bilancio di ogni singolo ente pubblico, esaminando titolo giuridico e posizione dei soggetti passivi. Naturalmente (soprattutto per un esaminatore esterno) ciò non è possibile ma è invece possibile esaminare i dati relativi alla percentuale di riscossione complessiva di tali entrate e ricavarne qualche fondata presunzione sulla loro attendibilità.

Per comodità e perché non risulta esistano analoghi dati relativi agli altri enti pubblici, si limiterà l’indagine ai conti dello Stato, utilizzando i dati contenuti nell’Annuario statistico 2013, relativo al consuntivo 2012, rilasciato dalla Ragioneria generale dello Stato.

L’indagine, ovviamente, riguarda la sostenibilità del bilancio ed esclude, pertanto, in entrata e in uscita, la voce relativa rispettivamente all’accensione e al rimborso di prestiti.

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Dalla tavola 2.1.1 di tale Annuario, si ricava che relativamente alla competenza dell’esercizio 2012 sono state accertate entrate tributarie per 463,769 miliardi. Queste entrate hanno originato riscossioni per. 404,223 miliardi, pari al 87,16% delle entrate accertate (come si ricava dalla tavola 2.1.4, nel 2011 la percentuale era stata dell’87,11% e nel 2010 dell’88,9%). Quasi 60 miliardi di euro non sono stati riscossi e sono stati portati all’esercizio successivo (esercizio 2013) come crediti (residui attivi).

Tralasciando il trend discendente della percentuale di riscossione delle entrate accertate, per ipotizzare in quale percentuale i 60 miliardi di cui sopra saranno riscossi si può verificare in quale misura nel 2012 i crediti derivanti dagli anni precedenti siano stati riscossi.

Sempre la tavola 2.1.1 mostra che nel 2012 sono stati complessivamente riscossi 426,006 miliardi, di cui, come si è detto, 404,223 in conto competenza.

Se ne deduce che nel 2012 sono stati riscossi, in conto crediti/residui attivi, 21,783 miliardi, pari al 19% dei crediti provenienti da tutti gli esercizi finanziari precedenti (tavola 2.1.4, colonna “percentuale di realizzazione dei residui”).

Ancora più preoccupante è la situazione relativa. alle entrate extra-tributarie. Nel 2012 sono state accertate entrate per 74,076 miliardi. Tali entrate, però, hanno originato riscossioni per soli 35,956 miliardi, pari al 48,5% delle entrate accertate (come si ricava anche dalla tavola 2.1.4). Più della metà delle entrate extra-tributarie non sono state, dunque, riscosse.

Il dato ancora più eclatante è quello che si riferisce alla riscossione dei crediti relativi a tali entrate provenienti dagli esercizi precedenti. Nel 2012 sono stati riscossi crediti per entrate extra-tributarie per 1,820 miliardi di euro, pari all’1,8% dei crediti iscritti (che al 31 dicembre 2012 ammontavano a circa 115 miliardi).

Appare, quindi, di potersi affermare che gran parte delle entrate extra-tributarie non vengano riscosse nell’anno ma neppure negli esercizi successivi. Tale dinamica, peraltro, riguarda più o meno tutti i crediti (o ritenuti tali) iscritti in bilancio.

Infatti, al 31 dicembre 2012, lo Stato ha cumulato crediti per ca. 243 miliardi (128,340 per entrate tributarie e 114,641 per entrate extra-tributarie, con un aumento del 13% rispetto all’anno precedente.), di cui però ogni anno ne incassa poco più di 20 (precisamente, nel 2012, 23,603 miliardi).

Va ricordato che, negli esercizi da cui provengono, tali crediti (residui attivi) costituivano la copertura finanziaria delle relative spese che, quindi, sono già state impegnate ed effettuate in virtù di tali entrate e a prescindere dal loro incasso.

Ribadendo ciò che avevo evidenziato in altro contributo, una percentuale così bassa di incasso dei crediti può essere determinata da varie motivazioni: inefficienze nel recupero dei crediti, errori tecnico-giuridici nell’accertamento delle entrate, insussistenza delle stesse.

Come sopra detto, però, sarebbe opportuno considerare la concreta possibilità che molti di quei crediti non verranno mai più riscossi, procedendo alla loro svalutazione/cancellazione (ovviamente senza rinunciare ai crediti veri che, anzi, dovrebbero essere iscritti in apposito elenco e riscossi) e soprattutto alla riduzione della spesa in modo che essa possa trovare effettiva e strutturale copertura in entrate che poi si realizzeranno.

Al contrario, la tavola 2.2.1 mostra che nel 2012 lo Stato ha assunto impegni di spesa/contratto obbligazioni per 535,004 miliardi (di cui ca. 489 per spese correnti e ca. 46 per spese in conto capitale).

A fronte di tali impegni (che non si può che presumere siano tutti veri), lo Stato ha accertato entrate per complessivi 545,791 miliardi (totali titoli I,II e III), di cui però ha incassato nell’anno solo 448,068 miliardi (tavola 2.1.2. totale versamenti competenza titoli I, II e III).

La differenza di ca. 87 miliardi di euro tra impegni di spesa (535,004 mld) e somme incassate (448,068) non ha chiaramente valore giudico, dovendosi a tal fine comparare impegni con accertamenti, ma ha un grosso valore economico-finanziario, visto che tale differenza (a cui si correla la spesa già effettuata) non sarà più riscossa se non in minima percentuale (meno del 10% ogni anno) e che ogni anno si genera un’ingente nuova massa di nuovi crediti.

Nel 2012, infatti, si sono generati più di 97 miliardi di euro di residui attivi/crediti di nuova formazione, pari al 17,9% delle entrate accertate.

Sotto il profilo della spesa, invece, lo Stato, relativamente alla competenza 2012, ha pagato per cassa 493,524 miliardi di euro, a fronte di impegni di spesa per 535,004 miliardi.

Se ne ricava che l’anno 2012 ha generato 41,48 miliardi di euro di nuovi residui passivi, pari al 7,75% della spesa impegnata.

In tale anno, quindi, lo Stato ha incassato l’81,1% delle entrate ma ha pagato il 92,25% delle spese. Tale dato, ovviamente, conferma lo squilibrio e conferma ulteriormente il fatto che mentre la spesa indicata in bilancio può essere ritenuta sempre effettiva (e il creditore si affretta a riscuotere il credito) l’entrata che la finanzia lascia nutrire molte perplessità in ordine alla sua effettiva consistenza.

Come si è visto, nel complesso, al 31 dicembre 2012, lo Stato ha residui passivi (impegni di spesa non ancora pagati) per ca. 74 miliardi ma ha residui attivi iscritti in bilancio per 243 miliardi di euro, che però generano ogni anno solo. 23 miliardi di cassa.

Ogni anno, pertanto, entrano effettivamente nelle casse dello Stato ca. 472 miliardi (di cui ca. 448 in conto competenza e 23 in conto residui) ma lo Stato si impegna per 535 miliardi in conto competenza e si trascina, dagli esercizi pregressi, residui passivi per 74 miliardi, esponendosi a richieste di pagamento per più di 600 miliardi di euro.

Sia sotto il profilo della competenza, sia sotto quello della cassa, il bilancio dello Stato presenta quindi evidenti squilibri, che certo non possono essere risolti in via strutturale mediante il ricorso a strumenti finanziari, a forme forzate di congelamento delle disponibilità di cassa di altri enti o alla posticipazione di pagamenti o trasferimenti.

Sarebbe, peraltro, utile poter svolgere l’analisi di cui sopra con riferimento all’intero perimetro del settore pubblico, così da poter valutare la sostenibilità dei conti pubblici del sistema paese, su cui però, alla luce di tanti fattori, non possono che nutrirsi gravi dubbi.

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Grazie per aver votato!

Pubblicato da roundmidnight

Occupa da anni, in modo semiserio, un posto in un consiglio di amministrazione all'interno di un "gruppo" internazionale.

3 Risposte a “Il bilancio pubblico italiano: un problema di prospettiva”

  1. I residui sono in qualche misura uno scostamento dal budget. In particolare i residui attivi sono entrate accertate ma non ancora riscosse nonché entrate riscosse ma non ancora versate; rappresentano crediti dell’azienda statale nei confronti di terze economie. In particolare, con riferimento al loro grado di esigibilità, i residui attivi si distinguono in:

    • residui la cui riscossione può considerarsi certa;
    • residui connessi a dilazioni di pagamento concesse ai debitori (residui dilazionati) ;
    • residui incerti perché giudizialmente controversi;
    • residui riconosciuti di dubbia e difficile esazione;
    • residui riconosciuti assolutamente inesigibili.

    I Residui Attivi della pubblica amministrazione sono il luogo dove nascondere “i titoli tossici” (inesigibili) del bilancio dello stato. L’andamento dell’anno 2012 ne evidenzia una forte crescita (milioni di euro) 243.351, al contrario dei Residui Passivi (milioni di euro) 74.075. Nel link potete osservare la distribuzione per tipologia di imposta per gli anni 2009-2010-2011.

    Fonte: RELAZIONE SUL CONTO CONSOLIDATO DI CASSA DELLE AA.PP. AL 30 GIUGNO 2012 Appendice A. Ecco qui il link alla tabella http://t.co/XryUU2q8xo

    La voce IVA è particolarmente istruttiva.

    Sarebbe bello, i governi ben si guardano dal farlo, conoscere che quota parte dei 243 miliardi è da ritenersi incerta perché giudizialmente controversa; di dubbia e difficile esazione; o assolutamente inesigibile. Se scheletro nell’armadio fosse anche un solo 10% … #tictactictac.

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