Il leone dell’economia di mercato

Esordisce con questo pezzo un nuovo spazio all’interno di PianoInclinato dedicato interamente alla Storia del Pensiero Economico del Novecento e, nelle intenzione dell’autore, ad una serie di articoli descrittivi dei più comuni e utilizzati modelli macroeconomici.
Ovviamente, ragioni di brevità richiederanno una trattazione che si soffermi sui punti essenziali delle teorie esaminate, nella ricerca continua del punto di equilibrio fra chiarezza, esaustività e sintesi, per questo gli articoli saranno pensati più per i lettori digiuni o curiosi delle teorie economiche moderne e contemporanee piuttosto che per gli “esperti”. In ogni caso dubbi e perplessità dovranno stimolare domande e commenti, anche critici. Il tutto all’ombra dello scopo del sito: “economia e finanza per tutti“.
Augurando buona lettura, incominciamo con la principale teoria del primo novecento: l’equilibrio economico generale walrasiano (EEG, in sigla).

La teoria che Leòn Walras e altri contribuirono a creare fra il 1870 e il 1900 va sotto il nome di “generale” perchè si riferisce non solo all’equilibrio (microeconomico) dei singoli soggetti economici che operano nei singoli mercati, bensì soprattutto all’equilibrio (macroeconomico) raggiunto dall’intero sistema. In tal senso la teoria classica walrasiana rappresenta, per certi aspetti, ancor oggi il contributo migliore che coniughi teoria macroeconomica con fondazione microeconomica.
Il problema di Walras è dunque il seguente: date certe quantità iniziali di risorse produttive, data una certa tecnica di produzione, dato il sistema di preferenze (di produzione, di consumo e di sostituzione fra beni) dei vari soggetti economici, determinare le quantità prodotte e scambiate dei beni nonchè i loro prezzi.
Non ci dilungheremo qui negli aspetti definitori di alcuni passaggi della teoria quali la distinzione fra capitale e redditi, l’analisi dei quattro stadi in cui si struttura l’equilibrio, nonchè la definizione completa dei soggetti economici che operano nel sistema.
Ci limiteremo a segnalare quanto segue e che è fondamentale per il proseguo:

1) la configurazione dell’EEG corrisponde a quella in cui sono SIMULTANEAMENTE realizzate TUTTE le posizioni di equilibrio di tutti i soggetti operatori. Questo significa che l’equilibrio non sarà mai parziale nè lo si raggiunge lentamente attraverso una serie di scambi effettivi e/o di cicli di sovra/sottoproduzione: una volta che gli operatori, dotati di un set di informazioni perfette e complete abbiano svolto una complessa quanto enorme analisi delle domande e offerte di ciascun bene, il sistema determina le quantità ottimali, i prezzi (relativi, ne parleremo), e produrrà in un solo ciclo economico le quantità richeste per gli scambi da effettuare nel ciclo successivo;

2) il tipo di economia che Walras ha in mente è assolutamente generale e non è condizionata da elementi specifici a un determinato sistema sociale;

3) fra i soggetti operatori economici, Walras mette i proprietari fondiari,i lavoratori, i capitalisti e gli imprenditori: manca quindi nel suo sistema ogni riferimento allo Stato, al Fisco e ad una Banca Centrale;

4) rimarchiamo che le quantità iniziali di ciascun fattore di produzione sono date e non possono essere variate. Dietro questa ipotesi se ne cela un’altra, per garantire che il sistema sia coerente e giunga ad un equilibrio: quella della concorrenza perfetta, che cioè ogni operatore sia abbastanza piccolo rispetto al mercato complessivo così da non poter influenzare, nè con le proprie funzioni di offerta nè di domanda, la formazione dei prezzi,la quale avviene esclusivamente sotto la spinta di tutte le forze di mercato. I soggetti sono cioè ciascuno dei price takers (contrario di price makers);

5) la soluzione del sistema si ottiene ricercando il massimo utile vincolato di ogni operatore economico. Per ottenerla viene fissato un set iniziale, assolutamente casuale, di prezzi per ciascun bene.
Come avviene la ricerca dell’equilibrio? Accadrà che, rispetto al set iniziale di prezzi casuali, ogni operatore farà la propria offerta di fattori (produttivi e/o di consumo) e domanda di altri fattori (produttivi e/o di consumo), e in concomitanza di ogni caso in cui la domanda complessiva superi l’offerta complessiva del singolo mercato (o viceversa) si avrà aumento del prezzo iniziale (o diminuzione). Il processo continuerà così, in un complesso restyling delle preferenze di produzione/consumo di ciascun operatore (in funzione della variazione dei singoli prezzi), finchè non si giungerà alla determinazione di quella unica configurazione di prezzi e quantità che equilibra domanda e offerta complessive e  massimizza l’utilità di ciascun operatore vincolata alla massimizzazione dell’utilità di ogni altro.
Il sistema perciò si traduce in un imponente sistema di equazioni algebriche che esprimono l’insieme delle condizioni oggettive (quantità iniziali, tecniche di produzione) e soggettive (curve di preferenza) di cui si è parlato.
Walras non descrisse matematicamente questo sistema di equazioni. Altri lo formularono dopo di lui, ma sull’argomento torneremo nel paragrafo conclusivo sui “pro e contro”.

Qui conta evidenziare i seguenti punti:

a) data l’ipotesi di concorrenza perfetta, il sistema conduce AUTOMATICAMENTE alla piena occupazione di tutti i fattori produttivi, in particolare del lavoro. Questo sarà un tema ricorrente in tutti i sistemi teorici macroeconomici che faranno riferimento all’EEG walrasiano (Arrow-Debreu, Monetarismo, Nuova Macroeconomia Classica di Lucas): la disoccupazione non può che essere unicamente volontaria oppure frizionale, cioè temporanea e dipendente dai minimi tempi necessari alla ricerca di una nuova occupazione.

b) il livello del reddito (nazionale) corrispondente al livello di piena occupazione del lavoro e degli altri fattori produttivi è un reddito sempre possibile, cioè il sistema sempre e comunque giungerà automaticamente a determinarlo.
La dimostrazione della validità di questo assunto in particolar modo si faceva spinosa non tanto per la domanda di beni di consumo, quanto per la domanda di beni di investimento (ovviamente ci si riferisce all’investimento in fattori produttivi quale capitale e lavoro, non investimenti finanziari).
Gli economisti classici davano la seguente soluzione del problema: poichè la domanda di investimenti dipende da quella parte del reddito che non viene consumata, bensì è risparmiata, si tratta di vedere se esista sempre eguaglianza fra risparmio e investimenti in corrispondenza di qualunque livello del risparmio stesso.(vd nota 1).
Secondo gli economisti classici ortodossi questo meccanismo esiste ed è fornito dai movimenti del tasso di interesse. Si ha convenienza a effettuare un investimento qualora il suo tasso di rendimento è superiore al tasso di interesse corrente sul mercato (vd nota 2). I classici sostengono e ipotizzano che ESISTA SEMPRE un tasso di interesse, per quanto minimo, in corrispondenza del quale il volume di investimenti così suscitabile è in grado di assorbire qualunque livello di risparmio per quanto grande esso sia, e quindi di garantire un livello di domanda tale da garantire il raggiungimento del reddito di piena occupazione.
Si vede l’assoluta fede della teoria ortodossa nel meccanismo di autoregolazione dei mercati e nella c.d. mano invisibile di A.Smith.

c) il terzo punto è conseguenza diretta del secondo: vi sono sempre meccanismi che tendono a far conseguire automaticamente  la posizione di piena occupazione. Anche questo punto però è stato dimostrato dagli economisti classici, affermando che, se il salario viene mantenuto uguale al valore della produttività marginale del lavoro, allora esiste sempre un incentivo ad occupare tutte le unità di lavoro disponibili (vd nota 3).

Questo assunto permetteva agli ecomomisti classici di dare una ulteriore spiegazione della disoccupazione: se vi erano attriti o interferenze sindacali nel meccanismo della concorrenza perfetta (x esempio richieste salariali superiori alla produttività marginale del lavoro), ecco che si spiega la mancata piena occupazione del lavoro quale mancanza di profittabilità per gli imprenditori che quindi domandano minor livello occupazionale.

I PREZZI E LA TEORIA DELLA MONETA
Manca qui lo spazio per la dimostrazione della teoria della formazione dei prezzi. Ci limiteremo a dare due definizioni e sottolineare il loro rapporto reciproco.
Definiamo quale saggio marginale di trasformazione tra due beni la quantità addizionale di un certo bene che potrà essere prodotta qualora si rinunci a produrre una certa quantità di un altro bene. Invece con saggio marginale di sostituzione fra due beni si intende la quantità addizionale di un certo bene che si può consumare qualora si rinunci a consumare una certa altra quantità di un secondo bene, in maniera tale che la soddisfazione del consumatore rimanga inalterata.
Trattando del sistema attraverso cui prezzi e quantità si formano,abbiamo visto che esso avviene attraverso un complesso sistema di domanda e offerta e conseguente modifica delle quantità domandate e offerte di ciascun bene (produttivo e di consumo) a seconda dei prezzi che man mano si formano.
É possibile dimostrare che in corrispondenza della configurazione di EEG sui mercati perfettamente concorrenziali, il prezzo che si forma di due beni deve essere uguale al loro saggio marginale di sostituzione a sua volta uguale al loro saggio marginale di trasformazione.
In pratica il sistema determina solo il rapporto preferito fra le quantità di ciascuna coppia di beni prodotti/scambiati. Questa conclusione è importantissima perchè, in sintonia con tutto il pensiero economico pre Keynesiano, sostiene che lo schema determina i prezzi relativi per ciascuna coppia di beni, e NON i prezzi assoluti di ciascun singolo bene, cioè il loro prezzo monetario.
In tale senso si dice che nella teoria del EEG NON è contenuta una teoria della moneta, giacchè scopo di quest’ultima è proprio determinare il livello assoluto dei prezzi. Le determinanti che conducono a determinare le grandezze reali (prezzi relativi, quantità prodotte e scambiate, occupazione, tasso di interesse) sono indipendenti da quelle monetarie che determinano i prezzi assoluti. In tal senso non potrà darsi mai una equazione di equilibrio fra domanda e offerta di moneta, e quest’ultima verrà fissata arbitrariamente dalla autorità monetaria. Il valore monetario della produzione sarà pertanto tanto maggiore quanto maggiore sarà la quantità di moneta offerta dalla banca centrale, e così i prezzi assoluti saranno esclusivamente funzione diretta e proporzionale della quantità offerta di moneta.
Tale conclusione, che prende il nome di Teoria Quantitativa della moneta, sarà comune a tutti gli sviluppi successivi della teria classica, per cui nel lungo periodo l’inflazione è considerata frutto e conseguenza esclusiva del livello maggiore di moneta stampata e immessa nel sistema.

PRO E CONTRO DELLA TEORIA

1) Un primo problema della EEG riguarda l’individuazione di soluzioni del sistema di equazioni algebriche di cui accennavamo sopra. Si è infatti dimostrato che l’eguaglianza fra il numero di equazioni e il numero di incognite del sistema NON è condizione sufficiente per garantire al sistema l’esistenza di soluzioni economicamente significative (quantità negative non hanno senso in economia);

2) la teoria quantitativa della moneta si basa su una ipotesi azzardata: la domanda di moneta deve provenire unicamente dalla necessità di condurre le transazioni. In tal senso si rinuncia a intendere la moneta anche come fondo di valore, cioè a detenerla per scopi speculativi, e si rinuncia a intenderla anche come protezione verso il rischio, cioè a detenerla per scopi precauzionali. Ci penserà Keynes a formulare una teoria più completa.

3) il terzo “contro” riguarda l’irrealtà dell’ipotesi di mercati perfettamente concorrenziali nonchè di set completo di informazioni, ma vedremo, in successivi articoli, che pure i prosecutori della teoria classica non rinunciarono a questa ipotesi semplificatrice, che invece Keynes abbandonò.

4) l’ultimo problema riguarda la questione dello sviluppo. Lo schema del EEG infatti presuppone che, in ogni ciclo produttivo, le tecniche di produzione e le preferenze dei singoli consumatori/produttori siano immodificabili. In tal senso diviene impossibile pensare a fenomeni caratteristici dello sviluppo economico, e il sistema tende, alla fine di ogni fase di produzione/scambio, ad uno stato stazionario, in cui la sola crescita quantitativa possibile è quella che si avrebbe in conseguenza ad una crescita demografica della popolazione.

5) il “pro” è che la teoria walrasiana, basandosi sui maggiori risultati della microeconomia e sull’ipotesi di massimizzazione delle utilità dei soggetti economici ha rappresentato per quasi un secolo la teoria scientificamente più rigorosa, anche rispetto al keynesianesimo cui verrà ripetutamente rinfacciato (a partire dal Monetarismo di A.Friedman) l’assenza di una rigorosa “microfondazione” teorica.

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(nota 1) Ricordiamo la formula del PIL (reddito nazionale) nel caso esistano solo gli operatori imprese e famiglie (quindi no Stato nè canale estero): Y=C+I, reddito uguale consumi più investimenti. Poichè il risparmio è dato dalla parte di reddito non consumata, S=Y-C, allora si ha S=I.

(nota 2) Data l’ipotesi di concorrenza perfetta, il sistema ha come corollari che: 1) si deve generare per ogni bene e servizio (compreso il credito) un prezzo unico (se fosse altrimenti, l’azienda che fissa un prezzo maggiore perderebbe tutti i clienti) e 2) si annulla ogni extraprofitto, in quanto la sua presenza farebbe entrare altre imprese che provocherebbero l’aumento dell’offerta e la diminuzione del saggio di rendimento. I due corollari comportano che per il mercato dei prestiti esista un tasso di interesse unico e che tassi attivi e passivi coincidano. Si noti la distanza dalla realtà dei fatti.

(nota 3) La produttività marginale del lavoro è definita come la quantità di beni addizionali che ogni ulteriore unità di lavoro aggiuntiva può produrre. Data l’ipotesi di concorrenza perfetta, si deve necessariamente dedurre che tale produttività marginale sia decrescente, cioè (dato come fisso il livello del capitale utilizzato nel processo produttivo) ogni lavoratore in più produrrà una quantità aggiuntiva di beni inferiore all’unità di lavoro immediatamente precedente. Se così non fosse, la singola azienda potrebbe produrre generando extraprofitti, che abbiamo visto essere contrario e illogico al sistema della concorrenza perfetta.
Si noti che il consiglio di legare salari alla produttività è ancora utilizzato da molte Istituzioni monetarie ed economiche (FMI, Commissione Europea), malgrado l’ovvia irrealtà dell’ipotesi di base. Se applicata alla realtà di sistemi economici caratterizzati da concorrenza imperfetta, oligopolio e monopolio, il “consiglio” si trasformerebbe esclusivamente in una distribuzione sub-ottimale, fra lavoratori e imprenditori, del reddito prodotto.

Bibliografia: Lineamenti di una dottrina economica e sociale, di A.Salsano, Roma 1989. L’economia monetaria, a cura di G.De Caro, Roma 1985. Elementi di economia politica pura, Utet, 1974.

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Pubblicato da Beneath Surface

Alla soglia degli anta decide di tornare alla sua passione giovanile: la macroeconomia. Quadro direttivo bancario, fu nottambulo ballerino di tango salòn, salsa cubana e rueda. Oggi condivide felicemente la vita reale con le sue due stupende donne.

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