Il Quantum leap dell’Unione Europea?

Talvolta ricordo la malinconia della melodia e delle parole del fado, la popolare musica portoghese, nè mi è di consolazione pensare che certi testi mi provocano sentimenti simili, benchè non altrettanto commoventi. L’occasione è venuta con il recente “Rapporto dei cinque Presidenti” del 22/06/2015 su Completare L’Unione  economica  e monetaria dell’Europa, e non posso nascondere una certa delusione per un Rapporto che non aggiunge nulla a quanto già noto per giungere ad una reale convergenza e armonizzazione di questa nostra strana Area Valutaria Ottimale.
Un pò poco per un lavoro commissionato a Ottobre 2014.
Sintetizzerò brevemente il contenuto complessivo, d’altronde esiste una traduzione italiana del Rapporto e la tabella di marcia che pubblico è molto esplicita.
I Cinque, al fine di arrivare a una migliore convergenza economica e normativa, spingono per un processo a due fasi, una di breve termine (da completare entro il 30/6/2017) ed una successiva di più lungo termine (scadenza massima 2025), i cui dettagli (essendo materia “tecnica”) sono però lasciati ad un Libro Bianco che la Commissione presenterà nella primavera del 2017. Ogni “tappa” descritta in figura è velocemente analizzata in un paragrafo a parte.

Fase 1

Fase 2

A me qui interessa soffermarmi su due aspetti: l’Unione Economica (e in particolar modo sui due punti “Creazione di un sistema di autorità per la competitività nella zona euro” e “Applicazione rafforzata della procedura per gli squilibri macroeconomici”) e la sua relazione con la (tanto agognata quanto frustrata) Unione di Bilancio.
Sarà sicuramente colpa dei miei sogni europeisti, ma quando leggo “Unione di Bilancio” penso spontaneamente ad una condivisione sovranazionale e comune dei rischi, agli Eurobond, ad un bilancio federale degno di questo nome (per fare un esempio, il bilancio federale di USA e Svizzera è pari al 15-20% del loro pil, contro il modesto 1% del bilancio UE).
Beh, scordatevelo e se avete dei dubbi eccovi qualche passaggio:

Un’evoluzione in questo senso (cioè verso una Unione di Bilancio, NdR) sarebbe naturale nella zona euro a più lungo termine (fase 2), alle condizioni illustrate  supra, ossia a coronamento di un processo di convergenza e di ulteriore condivisione del processo decisionale sui bilanci nazionali (grassetto mio). L’obiettivo di una stabilizzazione automatica a livello di zona euro  potrebbe, ad esempio, muovere in primis dal Fondo europeo per gli investimenti strategici (European fund for strategic investments – Efsi), ma non dovrebbe comportare trasferimenti permanenti tra paesi o trasferimenti in un’unica direzione, ragion per cui la convergenza verso l’Unione Economica è un presupposto per la partecipazione (grassetto mio) e non dovrebbe neppure essere concepita come strumento di perequazione dei redditi tra gli Stati membri […] La funzione non dovrebbe compromettere gli incentivi a condurre una politica di bilancio sana a livello nazionale né gli incentivi a rettificare le debolezze strutturali nazionali; per scongiurare il rischio morale, dovrebbe quindi essere collegata strettamente alla conformità con il quadro complessivo di governance dell’UE e a progressi nella convergenza verso le norme comuni illustrate al punto 2.

(pagg 16-17 del Rapporto)

Infatti il Rapporto conclude affermando che:

La funzione (di stabilizzazione) non dovrebbe essere uno strumento di gestione delle crisi, funzione già svolta dal Meccanismo europeo di stabilità (MES)

Queste frasi hanno dato il colpo di grazia alle mie speranze che già si andavano assottigliando man mano che, nella precedente parte del Rapporto, leggevo continui e insistenti riferimenti ad un più rigorosa applicazione dei trattati Six e Two Pack e delle Macroeconomic Imbalances Procedures (MIP).
Come è noto questi sono patti che normano tanto il rispetto rigoroso di determinati rapporti di finanza pubblica (i famosi deficit/PIL, debito/PIL eccetera), quanto l’attività di supervisione, sorveglianza e eventualmente correzione degli squilibri di ciascun paese membro da parte delle Autorità europee.
Questo significa solo una cosa: nel “breve termine” non sono previsti sforzi, nè sembra siano auspicati, per arrivare ad un vero bilancio federale. Tra l’altro, guardando quelli che sono gli attuali squilibri esistenti (paesi con rapporti debito/PIL oltre addirittura il 100%, deficit oltre il 3%, disoccupazione a due cifre e non parliamo di quella giovanile e/o di lungo periodo), e i molti anni che saranno necessari, a forza di austerity, per rientrare nei parametri di Maastricht, mi sembra paradossale che ci si dia un termine di due anni per arrivare ad una “Unione Economica” che nelle parole del Rapporto dovrebbe essere la base di ogni altro processo di convergenza a breve termine e della stessa Unione di Bilancio.
Quindi, come si vede, sostanzialmente nessuna novità.
Anzi, il riferimento alla opportunità di inserire il patto c.d. Euro Plus ( http://ec.europa.eu/europe2020/europe-2020-in-a-nutshell/priorities/economic-governance/index_it.htm ) nell’ambito del Trattato di Stabilità, Convergenza e Competitività, incute ulteriore timori: questo è una versione aggiuntiva e rafforzata del c.d. Fiscal Compact (le regole per modalità e tempistiche della convergenza di deficit e debito pubblici ai rapporti rispettivamente del 3 e 60% del pil), che però è rimasta a livello di accordo intergovernativo e quindi non è vincolante.
Fra i contenuti dell’Euro Plus vi è l’obbligo per i paesi aderenti di dotarsi di una Autorità Competente per la Competitività per “stabilire se l’evoluzione delle retribuzioni sia in linea con quella della produttività […] [e] raffronta[rla] con l’evoluzione in altri paesi della zona euro e nei principali partner commerciali con economie simili”. Tornerò sull’argomento fra un pò, perchè prima merita di essere riportato a mente cosa sia il Fondo europeo per gli investimenti strategici (European fund for strategic investments – Efsi), che dovrebbe nel lungo periodo rappresentare questa famosa Unione di Bilancio.
Chi si ricorda la vana quanto inutile diatriba sulla flessibilità per gli investimenti, che ha alimentato l’altrettanto inutile semestre europeo a presidenza italiana?
Per gli smemorati, la regola avrebbe dovuto comportare lo stralcio delle spese per investimenti produttivi, nonchè dei costi per le riforme strutturali,  dal calcolo del deficit pubblico annuo. Il risultato fu proprio il varo del c.d. Piano Junker e del detto fondo, dalla astrusa e complessa normativa e con un numero tale di eccezioni e distinguo  che plausibilmente ne vanificheranno l’applicabilità a molti paesi che, trovandosi in procedura di deficit eccessivo per colpa di una crisi, desiderassero procedere a politiche economiche di investimento in senso anti ciclico per sostenere la domanda aggregata e il PIL.
Tra l’altro, giusto il 25/6/15 il Consiglio Europeo ha ratificato il regolamento del Fondo.
E questo dovrebbe essere il meccanismo del Bilancio Unico? “Misericordia!” avrebbe sospirato Miss Rottelmaier….

Né aiuta a vincere lo scoramento il fatto che non vi sia accenno alcuno alla predisposizione di un meccanismo unico europeo di sussidi per la disoccupazione, pur essendo riconosciuto che il meccanismo (pura condivisione dei rischi anche questo, lo so…) non solo avrebbe carattere anti ciclico contro shock economici di larga portata occupazionale, ma anche favorirebbe l’armonizzazione delle normative attive e passive sul lavoro alle best practises europee. Sorvolando sul positivissimo segnale di reale interesse delle tecnocrazie europee verso i cittadini che perdano il lavoro….
Altrettanto fiabesca la solita storia di legare i salari alla produttività, vero cavallo di battaglia del liberismo, di cui proprio sembrano non vedersi i limiti.
Si può dimostrare che, in ipotesi di concorrenza perfetta, il tasso di variazione dei prezzi (l’inflazione, p) è pari alla differenza fra il tasso di crescita dei salari nominali (w) e il tasso di crescita della produttività (n): p=w-n, da cui si ricava che, se i salari crescono allo stesso modo della produttività, allora questo fatto NON crea inflazione. Da qui la regola liberista.
Il problema è che la concorrenza perfetta, come la Verità, non appartiene a questo mondo, dominato dalla concorrenza imperfetta (monopolio, oligopolio, concorrenza monopolistica). Se si rimuove infatti tale scomoda ipotesi, la formula di prima diventa p=w-n+z dove z rappresenta il tasso di variazione del c.d. mark-up cioè la maggiorazione che le imprese non concorrenti perfette impongono al prezzo dei beni che producono (per raggiungere la massimizzazione del proprio profitto).
Il mark up è funzione decrescente della elasticità della domanda al prezzo e altrettanto decrescente rispetto al numero di aziende presenti sul singolo mercato in cui operano. Pertanto, più il mercato è caratterizzato da scarsa liberalizzazione, concentrazione in poche mani (oligopolio), cartelli, monopoli, più il mark up è allora alto (vd nota 1).
Perciò la dinamica inflazionistica, nel mondo reale, è causata anche da: liberalizzazione dei mercati, loro concentrazione, nonchè costi delle materie prime e dei beni intermedi per la produzione e quindi in ultima analisi dalle variazioni dei tassi di cambio.
Quanto accenno si fa nel Rapporto a questi fatti? Zero. Il Rapporto si limita ad auspicare che le “parti sociali” prendano seriamente in considerazione, anzi si sentano vincolate ai risultati statistici sulla sola produttività del lavoro calcolati dalla Autorità quando si siedano al tavolo delle contrattazioni salariali.
E poichè è altrettanto dimostrabile che la quota di reddito nazionale distribuita in forma di salari ai lavoratori è il reciproco del mark up, si capisce che al crescere di quest’ultimo la quota ai lavoratori diminuisce a favore di quella per le aziende.

In conclusione: nihil sub sole novum, rimangono, e anzi sono tutti rimarcati e se ne auspica un ulteriore rafforzamento, i vari trattati di convergenza, controllo e austerity; in tutto il documento si respira una certa aria di fretta nel convergere ai parametri di Maastricht, che significherebbe una stretta pro ciclica anche peggiore di quelle viste; i tempi preventivati per la fase 1 sono palesemente irrealizzabili; ogni possibile accenno a una mutualizzazione dei rischi è chiaramente tacitato ivi compresi i “sussidi di disoccupazione europei”; ancora passano regole vetuste truccate a festa malgrado l’età per i party l’abbiano passata da un pezzo.

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(nota 1) Tra l’altro non c’è motivo economico di ritenere che l’elasticità della domanda al prezzo debba essere costante e maggiore di uno. Prendendo per esempio la funzione di domanda aggregata standard derivata dalle curve IS-LM (e stesso dicasi per quella della teoria quantitativa della moneta), si ottiene che la sua elasticità al prezzo non è nè costante (dipende dal nuovo livello dei prezzi) nè maggiore di uno. Questo comporta che il mark up, che cresce al decrescere della elasticità, risulti più alto.

L’immagine di testata è © Shutterstock

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Pubblicato da Beneath Surface

Alla soglia degli anta decide di tornare alla sua passione giovanile: la macroeconomia. Quadro direttivo bancario, fu nottambulo ballerino di tango salòn, salsa cubana e rueda. Oggi condivide felicemente la vita reale con le sue due stupende donne.

2 Risposte a “Il Quantum leap dell’Unione Europea?”

  1. Un’analisi lucida ma non fredda. Si capisce che lei ha sofferto per redigerla, e questo le fa onore. La incoraggerei, però, a concludere il suo ragionamento. Quello che lei ha così ben stigmatizzato comporta necessariamente una reazione. Bisogna che lei ce la
    indichi a costo di infrangere quello che lei chiama “il mio sogno europeista”.

    Anch’io sa, più che un europeista, ero un euro-entusiasta. Ma se lei è d’accordo che in questa originale costruzione valutaria che è l’EMU non c’è una sola cosa che funzioni,
    al di là dei sogni europeisti dei quali siamo acriticamente imbevuti, una qualche conclusione bisogna proprio che la tiri fuori. La leggerò volentieri.

    Mi intriga quello che lei ha così descritto:

    “””Fra i contenuti dell’Euro Plus vi è l’obbligo per i paesi aderenti di dotarsi di una Autorità Competente per la Competitività per “stabilire se l’evoluzione delle retribuzioni sia in linea con quella della produttività […] [e] raffronta[rla] con l’evoluzione in altri paesi della zona euro e nei principali partner commerciali con economie simili”””.

    Un’Autorità per la Competitività, però, seppur attiva a solo livello nazionale (sarebbe ben altra cosa se fosse una costruzione unica operante a livello europeo), che agisca per
    ridurre i differenziali di competitività fra i vari paesi, non potrebbe che scontrarsi con le politiche deflattive tedesche (la Hartz). Ne avrebbe l’autorità?

    I salari tedeschi, rispetto al miglioramento della produttività, sono rimasti nettamente indietro (mi pare 7 – 8 punti di PIL). La costituenda Autorità dovrebbe quindi spingere (obbligare) perché il sistema tedesco si inflazioni in modo netto rispetto a quelli degli altri
    paesi (in alcuni paesi, fra cui l’Italia, il differenziale è nettamente superiore al 20%).

    Francamente, tenderei a credere di più nella befana anche se, indubbiamente, sarebbe questa la politica giusta. Vediamo se nei prossimi giorni saprà dirci qualcosa di più su quest’Autorità.

    1. Salve Franco, grazie per il commento.
      Lei ha centrato il mio stato d’animo: da euro-convinto a euro-critico.
      Premesso questo le dico che non riuscirà a farmi dire OXI 😉 almeno per ora.
      Ritengo la costruzione dell’euro una casa in corso di facimento piuttosto che di disfacimento.
      Mi rendo conto che i motivi per cui lo credo possano sembrare a molti legati all’ideale europeo che avevo per me e che, x fare un esempio, oggi ho per mia figlia che ha un anno. Voglio presentarle un paese più grande di quella provincia che (viaggi e gite escluse) io e la mia compagna viviamo.

      La ringrazio per lo spunto sull’Autorità per la competitività: qui ha centrato pienamente il punto. Aggiungo che il Rapporto prevede che venga creato un “tavola rotonda” di tali autorità a livello europeo che ne “coordini” le attività, e che la Commissione tenga conto dei risultati di questa attività di coordinamento per dedurne idee e spunti per le sue pubblicazioni periodiche e anche per l’attività preventiva nei confronti degli squilibri macro.
      Io ho dei grossi dubbi che sarebbe la Germania a reflazionare, dato il vigente paradigma liberista in materia di lavoro. Certo un pò di buon senso a livello di coordinamento europeo non guasterebbe, ma temo che pagheremo caro in futuro gli anni in cui avremmo potuto crescere in ricerca, sviluppo, educazione, politiche attive del lavoro, rapporto scuola-lavoro, efficenza delle PA compresa la giustizia civile. La fittizia ricchezza che abbiamo creato con un pesante debito pubblico e partite correnti negative sarà “raddrizzata” dal paradigma liberistico-efficentista tedesco.
      È male? É bene? Sicuramente per i Greci è stato male: scusate la battuta perfida, ma chi nasce tondo, non muore quadrato. Voler rendere teutonico una struttura che tutto è fuorchè tedesca, ed in un paio d’anni, è utopia deleteria. Per fortuna in Italia la situazione è in buona parte diversa, e credo meno tragica di quanto Salvini&Co la dipingano in tv. Ma ci ucciderà x asfissia la nostra vacua, pifferaia e cieca classe politica.
      E io credo sia colpa nostra, non dell’euro o della Merkel.

      La saluto.

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