Il triangolo impossibile

Nelle ultime settimane sembra si sia formato una sorta di triangolo impossibile alla europea fra Mario Draghi, Angela Merkel e Matteo Renzi. Se l’oggetto del mio post di oggi fosse il gossip, allora risulterebbe alquanto interessante: telefonate segrete, misteriosi viaggi in elicottero, ecc. Purtroppo oggi vorrei sì parlare di un altro triangolo impossibile, ma solo nell’ottica della nostra valuta: l’Euro.


In una recente dichiarazione, il francese Noyer, un peso massimo della BCE, ha affermato senza mezzi termini che serve un Euro più basso:​

ECB’s Noyer says we need to lower the Euro

Lo stesso Draghi a marzo di quest’anno è intervenuto verbalmente introducendo implicitamente un tetto al cambio Eur/USD in area 1.40. In più, la BCE ha deciso di migliorare le condizioni finanziarie riducendo ulteriormente i tassi di intervento a 0.05%, ancorando il mercato monetario allo zero percento. Contestualmente, ha lanciato un importante programma di acquisti diretti di titoli obbligazionari privati non finanziari. Il piano interessa ABS/RMBS e Covered bond che, unitamente al TLTRO (prima asta questo giovedì), dovrebbe aumentare la liquidità nel sistema di circa mille miliardi di Euro. Durante la conferenza stampa, il Presidente BCE ha dichiarato che l’obiettivo è di riportare il suo bilancio complessivo (cosiddetta Base Monetaria) sui livelli del 2012, quindi a €3000 miliardi dagli attuali €2000.


Vi siete accorti del triangolo? Mi riferisco al “trilemma” di politica internazionale o “impossibile trinità”: in perfetta mobilità di capitali, una banca centrale non può contemporaneamente avere come obiettivi tassi di interesse, tassi di cambio e base monetaria. All’interno del suo mandato può scegliere i due strumenti più appropriati per rendere più accomodante la politica monetaria, ma non tutti.
I tassi di interesse sono lo strumento primario di politica monetaria: fissando i tassi a breve e influenzando le aspettative sul sentiero futuro, la banca centrale interviene su tutta la curva dei tassi di interesse (tassi BCE e curva monetaria a zero con titoli governativi in negativi su buona parte dello spettro di rischio di credito, fino all’Irlanda).
Secondo strumento: espansione del bilancio (QE o politiche non convenzionali). In questo caso si può usare il lato delle passività introducendo delle misure che aumentino il livello del bilancio (LTRO, TLTRO); può anche usare il lato delle attività modificando la qualità del bilancio, acquistando direttamente titoli con un profilo di rischio più elevato rispetto alla liquidità. In questo modo cambia il profilo di rischio dell’attivo, spingendo le banche commerciali a fare altrettanto (balance-sheet effect). In entrambi i casi si parla di target sulla moneta. Sul terzo strumento faccio una premessa: sapete qual è il turnover giornaliero (net-net basis) del cambio EURUSD? Circa 1.500 miliardi di dollari (fonte BIS). Ripeto: al giorno! Quanto dovrebbe essere l’ammontare di intervento sufficiente a modificarne il corso? onestamente non saprei dirlo, ma immagino che 1000 miliardi di euro in più in totale non siano sufficienti.

Se l’area Euro avesse delle limitazioni sui flussi di capitali allora la BCE potrebbe influenzare direttamente anche il tasso di cambio, magari acquistando titoli esteri (es. suggerito dal nostro Andrea Boda in un articolo su pianoinclinato o dall’eminente Prof. Jeffrey Frankel su VoxEU). Ed invece, essendo impossibile prevedere i flussi di capitali, i cui driver sono di natura complessa, se ne deduce che la BCE, avendo due strumenti efficienti come obiettivo, non può far altro che influenzare le determinanti attuali (i.e. crescita ed inflazione), quindi le aspettative sui tassi di cambio, per perseguire un deprezzamento dell’Euro.

I banchieri centrali dei paesi sviluppati sono pienamente consapevoli del trilemma e quindi agiscono di conseguenza. Ricordate la BoJ: gli interventi per deprezzare la valuta nulla hanno potuto finché non hanno introdotto un cambio di regime sull’inflazione attesa, determinato da un efficace intervento coordinato di politica monetaria (sulla quantità) e di politica fiscale. Oppure gli inefficaci interventi della banca centrale svizzera per deprezzare il cambio, ancora molto vicino al “floor” di 1.20 vs EUR. Il mio persistente scetticismo su un intervento diretto ECB per svalutare il cambio dipende dalla conclusione che sarebbe totalmente inefficace.

In definitiva, è meglio considerare il tasso di cambio, sia bilaterale come EUR/USD sia EUR Trade Weighted, non come obiettivo ma come termometro dell’efficacia della politica monetaria BCE: se le misure attuate su tassi di interesse e quantità di moneta saranno efficaci, allora il nuovo mix di crescita ed inflazione attesa consentirà un deprezzamento del cambio, innestando un circolo virtuoso. Diversamente, un apprezzamento della valuta sarà il segnale, anche per lo stesso Draghi, della necessità di ulteriori interventi su tassi di interesse e sulla quantità (+ liquidità) e qualità (+ rischio) di titoli da acquistare direttamente sul mercato.

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Pubblicato da liukzilla

Wealth/Asset manager. Ha sposato la causa dei bond ed è ossessionato dalle banche centrali.

7 Risposte a “Il triangolo impossibile”

  1. Il mercato dei cambi è di quanto più difficile ci sia da prevedere, anche perchè ci sono fattori che influiscono nel breve ed altri che invece hanno impatto sopratutto nel medio lungo periodo.

    Nel lungo termine a far la differenza è la bilancia dei pagamenti oltre che la crescita della base monetaria

    Nel medio termine a far la differenza è la politica fiscale con la politica monetaria

    Nel breve termine muove la speculazione.

    Ovviamente poi tutto quanto concerne Inflazione, tassi di interesse ecc sono conseguenze.
    Nel breve termine possiamo anche aggiungere che le net speculative position sono fortemente a favore dell’USD e il differenziale di tasso si sta spostando sempre più a favore del Dollaro USA.
    Quindi sentiment tutto pro USD. Nel breve muove quello.

  2. Il trilemma a cui ti riferisci andrebbe però ritoccato perchè nella versione “standard” dei modelli di Mundell e Fleming, esso vale sotto le seguenti ipotesi (non verificate suo mercati):
    1) perfetta sostitutività fra titoli e strumenti finanziari,
    2) pwrfetta concorrenza,
    3) assenza di premio al rischio sui titoli,
    4) “paese piccolo”.
    I primi due sono ipotesi necessarie per la perfetta mobilità dei capitali e ben si vede non sono realistiche; la terza è un lemma conaeguente al punto 1, ma inswrito piu per semplicità di calcolo dato che a sua volta il premio al rischio dipende da molti parametri ed è non direttamente governabile dalla politica monetaria (se non attraverso la crediilità dell’Istituto di emissione); il quarto punto è ipotesi di base di tutti i modelli di Mundell-Fleming, e significa chela dimensone del paese oggetto dello studio è tale che deve “piegarsi” a eventuali variazioni dei tassi esteri. Ma si può coerentemente sostenere che la €zone sia “piccola”?

    1. Prova a dirlo a Jordan che la Svizzera è piccola. A parte le battute, ti ringrazio della domanda, presuppone una tua attenta lettura dell’articolo. Nell’articolo ho difatti accennato alla perfetta mobilità dei capitali come unico elemento ostativo poichè il premio per il rischio è un fatto in parte governato della banche centrali sia indirettamente attraverso manipolazione delle aspettative sia direttamente attraverso l’uso del bilancio (base monetaria). In entrambi i casi, il tasso di cambio esprime il premio per il rischio relativo fra i due paesi tipicamente espresso dai tassi di interesse.
      Riguardo le dimensioni, direi che il problema non si pone in una economia tendenzialmente aperta ma ben diversificata. Per esempio, un paese dipendente da una commodity (OIL) o la cui dipendenza dall’estero è un multiplo del PIL, allora le cose si complicano un attimo. Il tutto passa per le deviazioni dai valori di equilibrio e dagli effetti dei premi relativi. Ma di fatto, nessun paese sviluppato, con (quasi) perfetta mobilità dei capitali, ha potuto controllare direttamente tassi di interesse, tassi di cambio e base monetaria. Ogni set up monetario è costruito in funzione della struttura economica di un paese e del contesto internazionale (es. Svizzera che ha deciso di agire sul cambio, lasciando andare la base monetaria; Giappone ha deciso di agire sulla base monetaria lasciano libero il cambio).

  3. Ti ringrazio per la risposta che mi permette di replicare ma anche correggere un mio errore che ha portato a un fraintendimento. Sono anche io d’accordo che, malgrado ipotesi di base non coerenti con l’evidenza empirica, tuttavia il trilemma sia un effettivo problema.
    Ma sono altresì convinto che rimuovendo l’ipotesi di “paese piccolo” sia possibile per una banca centrale perseguire un obiettivo monetario, uno di tassi e uno di aspettative sul cambio. Sottolineo: non parlo di un sistema di cambi fissi bensì di aspettative sul cambio.
    L’esempio migliore mi sembra proprio quello della BCE quando annunciò per la prima volta il suo QE: perseguendo un obiettivo monetario in una cornice di tassi amministrati e governati per ridurne la frammentazione, ottenne l’obiettivo di svalutare il cambio, cosa che avrebbe dovuto essere impossibile, e da allora (con QE non avviato) il cambio ha tenuto sul nuovo più basso supporto.
    Questo è avvenuto secondo me proprio se viene rimossa l’ipotesi di “paese piccolo”. La definizione di paese grande significa che varizioni (anche esogene) nella sua politica economica e/o monetaria hanno, in un tempo variabile a seconda della relativa interdipendenza commerciale, influenza sul pil degli altri paesi, per il fatto che l’import di uno è l’export dell’altro.
    Variazioni grandi nella pol.monetaria del paese grande influenzando la bilancia dei pagamenti degli altri paesi, influenzano i drivers di medio/lungo periodo dei cambi.
    Penso che un altro motivo che porta alla stessa conclusione sia il seguente: quanto più è grande il pil nominale del paese grande, tanto più aumenta il “volume di fuoco” della sua BC calcolato come rapporto fra attivo di bilancio e pil. Un volume di fuoco maggiore per agire su mercati che muovono migliaia di miliardi.
    E questo è il motivo per cui, con buona pace di Jordan, la Svizzera È un paese piccolo!
    Ma non farlo sapere in giro, non vorrei mi boicottassero la fornitura di cioccolata nel negozio sotto casa!!! 😉

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