Il viaggio perfetto

11117084_1592093031008608_1007267516_nUn viaggio, se vuol esser degno di questo nome, finisce per calibrarsi in un sottile equilibrio. Provo a dirlo così: un viaggio deve cambiarti a tal punto la vita da inserirsi in perfetta continuità con la persona che sei e che stai diventando. Come se fosse il naturale sviluppo di te,

una sceneggiatura perfetta invisibile che t’inghiotte, dimentico di te e felice. Difficile a dirsi, tutta questa semplicità. Raro da farsi, forse perché rischierebbe di darle un senso, alla tua vita, ma un senso leggero, in cui vivi e respiri con quello stupore intatto dei primi metri in cui hai imparato il volo a pedalare. Un viaggio così è correre alla velocità in cui ti sembra di poter correre per sempre. Un viaggio felice in cui ti dimentichi chi sei, non ci pensi, lo sei e basta, fino a scomparirci dentro. Un posto così, è quello che i designer chiamano “quality without a name”, qualità senza nome, un posto in cui è bello ritrovarsi ad abitare, per un minuto o per un giorno, ma lunghi come il resto di una vita.

Tutto qui il segreto, l’ovvio segreto nascosto sotto gli occhi di tutti.
Il guaio è che se lo cerchi razionalmente, un posto così non c’è, allunghi la mano e si disintegra. Peggio ancora se lo cerchi viaggiando per lavoro. Un incubo se lo compri su net-a-porter, letteralmente un inferno se lo progetti per riscattare un errore, un anno di lavoro, una frustrazione da affogare di endorfine. Un viaggio così ti precipiterebbe subito in un brutto film porno (sì: ce ne sono anche di brutti) in cui sei quello goffo e sudaticcio che s’innamora di una protagonista che non è Sasha Gray. No. Il viaggio perfetto deve capitarti. Perché un viaggio possa ambire a essere il tuo viaggio perfetto deve finire per combaciarsi. Lo ripercorri a ritroso e trovi il gusto del palindromo, ma un palindromo malinteso orecchiato per caso, non di quelli progettati che ti cadono in terra e chi è stato (“è caduto un palindromo ma non l’ho cauto io”).
Il viaggio perfetto può anche essere un po’ così, un viaggio scritto da Kaurismaki coi cowboy che schitarrano morti sul tetto di una macchina.  Ognuno s’immola nel viaggio della vita o ha una vita da immolare in viaggio. Non conti tu, contano le stelle.  Chissà chi. Chissà se lo sai.
(back listening to Keith Jarrett,  Sunbear Concerts, Nagoya, part 1)

https://www.youtube.com/watch?v=F7JW5MjRq2I

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Pubblicato da Filippo Pretolani

Non tutto quello che esiste implicitamente ha bisogno di essere reso esplicito — Peter Sloterdijk. Fondatore di Gallizio editore e co-fondatore dell’Istituto Kaspar Hauser per gli Studi Economici.

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