“I’m a writer, and that’s it”. Nel mondo di Gay Talese

Gay Talese

“Tu, marito, padre di due ragazze, come giustifichi il vivere questa decadente, disgustosa, imperdonabile vita solo col pretesto di essere un giornalista?”

Gay Talese (Ocean City, 1932) ha fatto questa affermazione rispondendo ad una domanda in merito alla circostanza che, per scrivere “La Donna d’Altri” (Thy Neighbour’s Wife, 1981), lungo reportage sul cambiamento della vita sessuale degli americani negli anni Settanta, intraprese una vita dissoluta (lavorando sotto copertura in una casa di appuntamenti), e certamente poco attenta, diciamo così, alle esigenze e necessità della sua famiglia; ma la risposta che il giornalista e scrittore si è dato è semplice e tranchant:

“I’m a writer, and that’s it”.

Gay Talese

Talese, spesso accomunato a Tom Wolfe e ad altri esponenti del cosiddetto “New Journalism”, è figlio di un sarto italiano emigrato nel 1920 ad Ocean City, nel New Jersey, dove insieme alla moglie la famiglia gestiva un negozio di abiti e sartoria; Gay ha raccontato di come questa bottega sia stata per lui il modo di entrare nel mondo della vita vissuta da tutti coloro che entravano e si intrattenevano con la madre scegliendo i vestiti; questo ha aperto al giovane un mondo di storie, là fuori, da approfondire e da raccontare, dandogli l’ispirazione per fare ciò che poi ha fatto, cioè lo “story teller” (la definizione è sua).

Anche Talese, come Truman Capote, inizia come fattorino al New York Times e poi si fa strada come redattore ed inviato; ed anche lui, come vedremo, ha fatto del “non-fiction novel”, il “romanzo-verità”, la sua particolare missione. Io racconto storie, dice spesso il nostro nei numerosi contributi presenti in rete, ma mi piace riportare la realtà, senza cambiare i nomi dei protagonisti: il suo è quindi un lavoro di ricerca, di collezione di dettagli, di interviste raccontate senza virgolettati, ma con la profondità di uno che conosce tutto di ciò che racconta.

“Ha il gusto della precisa ricostruzione storica e del ritratto d’ambiente”

commenta Walter Siti, in merito proprio a La Donna d’Altri, nella post-fazione di una recente riedizione, ed è proprio questo “precisa ricostruzione” il senso del libro di oggi, Onora il Padre (BUR Contemporanea, 2011, pagg. 600, Euro 15), edito nel 1971, che racconta la storia della famiglia mafiosa dei Bonanno e della lotta bande negli anni Cinquanta e Sessanta in America, detta anche la “Bananas War”, denominazione derivante dal fatto che “Bonanno” e “Banana” hanno una pronuncia molto simile.

La disfatta del reporter

In un’intervista molto interessante, Talese racconta come la disfatta del lavoro di giornalista sia stata –a suo parere – l’uso del registratore: l’utilizzo di lunghe registrazioni, e il loro sbobinamento per fare degli altrettanto lunghi virgolettati, ha snaturato, afferma, il lavoro di reporter. “Onora il Padre” è allora un lungo, accurato, maniacale reportage giornalistico, con pochissimi dialoghi, pochi virgolettati, per l’appunto. Talese ha sostanzialmente ricostruito la vita della famiglia Bonanno, del capostite Joseph, proveniente da Castellammare del Golfo, e del figlio Bill, il soggetto che rappresenta il cuore pulsante di questa storia, che seguiamo a partire dal rapimento del padre, nel 1963, e nel conseguente agitato vagare del figlio Bill da New York al Connecticut, all’Arizona e ritorno, in un momento in cui la loro vita sembrava in pericolo a causa delle lotte fra le famiglie della malavita americana.

Non-fiction novel, si diceva: certo, perché come già aveva fatto Capote, con il suo In Cold Blood, anche Talese entra nella coscienza di questi personaggi, si frappone fra loro e noi lettori, e ci restituisce ampi squarci della loro vita e dei loro sentimenti; è probabilmente per questo che Sandro Veronesi, in occasione dell’ultimo compleanno dell’autore, il 7 febbraio, afferma che Onora il Padre è

Vediamo proprio New York:

“[Bill si] addentrò nel cuore della città, passando davanti agli ingressi sfavillanti dei cinema di Broadway e lasciandosi alle spalle una fragorosa orchestra jazz che suonava nel bar Metrodome….sentì intorno a sé la vicinanza stranamente remota di mille persone, osservandone le facce che mutavano colore sotto il mutamento delle luci. Sulla Cinquantatreesima Strada, mentre aspettava a un semaforo, un poliziotto a cavallo gli passò così vicino che potè sentire l’odore familiare dell’animale”.

Ed ecco il boss, Joseph Bonanno

“…aveva una bellezza vigorosa e allo stesso tempo serena: caldi occhi castani, un viso finemente disegnato, un’espressione benevola che riusciva evidente perfino nelle fotografie degli archivi criminali”.

Notevolissima la descrizione dello sbarco di Bill Bonanno nei luoghi aviti, a Castellammare del Golfo, in occasione del suo viaggio di nozze, viaggio che ovviamente Talese riporta sia per essere stato lui stesso a vedere quei luoghi, sia per i suoi colloqui con Bill, svoltisi nel corso di molti anni, avendolo avvicinato per la prima volta come inviato in un’aula di tribunale per poi diventarne amico e confidente, contro il volere del padre e non senza varie peripezie per entrarci in contatto. Gay Talese abita con la moglie Nan (stanno insieme da una vita e lei è stata editor alla Doubleday) in una townhouse nell’Upper East Side ed è un personaggio noto nel quartiere, dove lo si vede spesso passeggiare con i suoi abiti fatti a mano dai colori sgargianti; in questa casa, nello scantinato, 14 gradini sotto il piano stradale, c’è il famoso archivio-museo dello scrittore, una specie di bunker senza telefono, con muri spessi, dove lui si isola a scrivere e dove tiene il suo smisurato archivio sul quale ha basato i suoi libri. E’ sempre Walter Siti che ci illustra questo metodo:

“nessuna onniscienza romanzesca, tutto è frutto di interviste (con relativa liberatoria), di diari che i protagonisti gli hanno consentito di consultare, di ricerche in archivio e in biblioteca…Nessun nome è inventato, tutte le storie sono reali: Eppure….”.

Abbiamo chiuso qui la citazione, perché in quell’”eppure” sta a nostro parere il fulcro della questione: eppure, questi reportage sembrano romanzi, e di fatto lo sono; quando Talese entra nella testa di Bill Bonanno, ci racconta della sua infanzia e giovinezza, ci mette a parte delle sue riflessioni su cosa sarebbe stato, senza l’ingombrante parentela con un boss mafioso di origine italiana, lui che confessa di non aver studiato abbastanza per farsi una vita, ecco, con questo, non ci sono dubbi, Gay Talese fa giornalismo, storia e anche narrazione romanzesca.

“Scrivere è come guidare un camion nella notte senza fari, perdere la strada e finire in un fosso per dieci anni”

ha dichiarato Gay Talese, a significare – secondo noi – tutta la fatica dello scrivere, del ricostruire tutto minuziosamente, del perdere il filo e poi ritrovarlo. E, in definitiva, cos’è la prosa di Gay Talese se non proprio un inno alla scrittura e alla letteratura? Favorite pure!

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Pubblicato da Leonardo Dorini

Manager, consulente, blogger. Mi occupo di finanza ed impresa, amo lo sport. Ma sono qui per l'altra mia grande passione: la letteratura.

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