Siete pronti per il supercervello?

interfaccia neurale

la nostra interfaccia neurale ci suggerirà cosa fare

C’è un’altra scienza ai “primi giorni” della sua esistenza ma che fin d’ora si preannuncia ricca di incredibili potenzialità. È quella delle interfacce neurali.

Da Wikipedia capiamo di cosa si tratta:

Una interfaccia neurale, nota anche con il termine inglese Brain-computer interface (BCI, letteralmente “interfaccia cervello-computer”), è un mezzo di comunicazione diretto tra un cervello (o più in generale parti funzionali del sistema nervoso centrale) e un dispositivo esterno quale ad esempio un computer. Nelle classiche BCI mono-direzionali, il dispositivo esterno riceve comandi direttamente da segnali derivanti dall’attività cerebrale, quali ad esempio il segnale elettroencefalografico. Le interfacce neurali monodirezionali rappresentano quindi la funzione complementare a quella delle neuroprotesi, che invece sono dedicate tipicamente al sistema nervoso periferico. Le BCI bi-direzionali combinano il descritto canale di comunicazione con una linea di ritorno che permetterebbe lo scambio di informazioni tra il dispositivo esterno e il cervello.

È tutto più o meno piuttosto chiaro. Come lo è anche il campo di applicazione pratica. Ancora da Wiki:

Nel contesto dell’ingegneria biomedica e della neuroingegneria, il ruolo svolto dalle BCI è nella direzione di sistemi di supporto funzionale e ausilio per persone con disabilità.

Ma è il futuro – l’orizzonte è all’incirca di almeno vent’anni – che ci riserva scenari fantascientifici, come l’invenzione di “protesi” che consentiranno ai ciechi di vedere e che permetteranno di camminare ai lesionati del midollo spinale.

Come ha spiegato Mikhail Lebedev, neuroscienziato della Duke University e super-esperto di BCI, in una chiacchierata con Edd Gent nel suo blog, i processi cognitivi sono ancora a un livello di conoscenza di base. Per adesso sappiamo che alcune aree del cervello sono più cognitive di altre. Quindi è qui che bisogna collocare gli elettrodi (a contatto diretto con il tessuto nervoso). Ma un giorno, ben più lontano dell’orizzonte ventennale, probabilmente riusciremo a decodificare i nostri pensieri. Per un dialogo tra cervello e intelligenza artificiale che apre scenari immaginati soltanto nei film di fantascienza. E per adesso, come primo passo realistico, è l’interazione con la realtà aumentata, che arricchisce la percezione sensoriale umana mediante informazioni di solito manipolate e convogliate elettronicamente. Con gli esempi più noti che sono la geolocalizzazione cittadina puntando la telecamera dello smartphone e la chirurgia robotica a distanza. Ma tutto, va detto, è limitato non dallo sviluppo nano-tecnologico ma dalla poca conoscenza che ancora abbiamo dei “codici” del nostro cervello… tranne quello del politico medio italiano, che purtroppo conosciamo alla perfezione!

Invece l’aspetto trionfale – e forse più difficile da comprendere per l’uomo di oggi – è pensare alle possibilità che possono scaturire da una reale interazione tra computer – o, meglio, tra intelligenza artificiale – e cervello. In sostanza, tra il cervello, che dà continui esempi, e il computer, capace di apprenderli. Per un risultato pazzesco: il cervello “dopato”, in senso positivo, realmente in grado di sfruttare la potenza di calcolo di un dispositivo esterno.

Ma quale “doping” può darci un’interfaccia neurale?

Be’, in linea generale è possibile aggiungere nuovi sensori su tutti i fronti, “sentendo”, per esempio, i campi elettromagnetici che non possiamo avvertire normalmente (e, di fatto, avremmo un nuovo senso, oltre ai classici cinque: vista, udito, gusto, tatto e olfatto). Oppure è possibile velocizzare le nostre decisioni. Per esempio, immaginate determinate attività che una persona sta portando avanti, con il computer che già conosce la risposta giusta. Lui, semplicemente, invia un impulso soppressivo a determinate parti del cervello per guidarlo a prendere le decisioni corrette.

[tweetthis]le nuove possibilità offerte dall’interfaccia neurale. Di @Forchielli[/tweetthis]

Mentre sono due i principali approcci per l’aumento delle potenzialità del cervello. Il primo è un dispositivo non invasivo sulla falsariga dell’elettroencefalogramma, con il problema di una limitata qualità dei segnali forniti e interferenze varie. Poi c’è la spettroscopia funzionale nel vicino infrarosso (Functional near infrared spectroscopy, fNIRS), una nuova tecnica non invasiva che utilizza la luce diffusa per indagare le funzioni cerebrali, tecnologia efficace nel rilevare determinate attività, ma con la controindicazione di essere molto lenta.

Se il potenziale di approcci invasivi – figli d’interventi chirurgici necessari per impiantare dispositivi – è agli inizi, quello farmacologico è a buon punto. Difatti sono al vaglio molecole che interagiscono con un recettore del cervello ma non con un altro, con un’area del cervello e non con un’altra. E complessivamente, in linea di principio, possiamo affermare che tutti questi metodi verranno migliorati e diventeranno sempre più mirati verso problematiche particolari.[sociallocker id=12172].[/sociallocker]

In via sperimentale è anche possibile modificare le cellule cerebrali in modo genetico, come nell’ottogenetica (cellule sensibili alla luce). Le cellule, inoltre, possono essere sensibili ai campi magnetici. Mediante l’ingegneria genetica si possono realizzare neuroni meccanosensitivi. Ancora si può provare a impiantare nel cervello cellule da un altro organismo. Insomma, tutto quello che era fantascientifico qualche decennio fa oggi è quantomeno ipotizzabile concretamente, anche se soltanto in via sperimentale.

Tutto ciò a quale scopo? Diventare esseri umani migliori, nel senso di più prestanti e intelligenti, eccetera, in un parallelo automobilistico tra una macchina degli anni Cinquanta con una odierna.

E l’inconveniente principale qual è? All’incirca viene inquadrato come l’utilizzo di una droga, almeno nell’utilizzo di tecniche non definitive. Nel senso che se quello stato “alterato” ti fa stare bene è poi difficile tornare alla normalità.

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Pubblicato da Alberto Forchielli

Presidente dell’Osservatorio Asia, AD di Mandarin Capital Management S.A., membro dell’Advisory Committee del China Europe International Business School in Shangai, corrispondente per il Sole24Ore – Radiocor

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