Riappropriazione post esproprio. Di Keynes

Keynes MMT

Salve cari lettori, da molto lungo tempo mancava la rubrica Inclinami la Storia. Un lungo ricovero, tutt’ora in corso, per guarire da una malattia me ne ha tenuto lontano.

Durante questo periodo più volte ho discusso, troppo spesso poco costruttivamente, con i sostenitori della Modern Monetary Theory, la MMT, benché nella cucina italiota essa abbia preso ingredienti e un gusto in parte diversi da quelli originari.

Premessa

In estrema sintesi, i nostri populisti sovranisti mmammettari invocano una Banca Centrale sovrana, ma dipendente dal potere politico, che confondono, temo, con sagge e ponderate esigenze di politica fiscale, pronta a finanziare ogni esigenza del Fabbisogno statale. Infine, ne incitano la stampa di moneta perché essa è attualmente insufficiente nel sistema e non supporta consumi e investimenti.

In termini tecnici, essi credono in una offerta esogena di moneta, nell’assenza di significativi effetti inflazionistici e nella elevata sostituibilità fra moneta e beni reali, tanto di consumo quanto di investimento. Ricordare questi termini, fra poco li ritroveremo.

Durante questi confronti, fin troppo spesso mi sono trovato in imbarazzo: i mmters nostrani si definiscono keynesiani, addirittura “veri”. Letture vecchie e nuove mi confortano invece che costoro non solo non capiscono nulla o quasi di economia, ma tradiscono Keynes quasi quanto facciano all’amore con il monetarismo.

Sì, avete capito bene, in politica monetaria (che è il loro piagnisteo continuo) sono friedmaniani piuttosto che keynesiani. Con un pizzico di Abba Lerner… se mai lo avessero letto.

In noccioline Keynes funziona così: la domanda di moneta è molto elastica al tasso di interesse, ma sotto un certo tasso “normale” tende ad appiartirsi, scatta la preferenza per la liquidità (quella che diventerà la famigerata trappola nelle mani di Hicks Samuelson e Modigliani); il tasso di interesse reagisce lentamente a ulteriori spinte verso il basso e questo rende difficile sia eguagliare investimenti e risparmi, sia raggiungere il reddito di piena occupazione.

Per Keynes la funzione di domanda di moneta è inoltre piuttosto instabile perché può variare sia seguendo il reddito, sia per il mutare delle aspettative dei detentori di moneta. Per questo motivo Keynes era scettico sulla possibilità di usare la politica monetaria come strumento di crescita e le preferiva quella fiscale.

Infine, sebbene Keynes nella Teoria Generale trattava l’offerta di moneta come esogena, per ragioni di semplicità espositiva, abbiamo prove sia qui che nel Treatise, che ne considerasse endogena la formazione. Attualmente tutti i post keynesiani la considerano tale.

Fine delle noccioline.

I più accorti avranno già notato le differenze con i sovranisti nostrani. Diranno:

ma di acqua ne è passata sotto i ponti, oggi…eccetera eccetera.

Acqua un corno, sbagliavano e sbagliano.

Oggi i post keynesiani adottano un modello macro erede di Keynes, Minsky e Tobin, che mette in primo piano il mercato della base monetaria (la moneta legale, rozzamente il circolante), quello bancario, quello dei titoli liquidi a breve scadenza (“finanziario”, titoli pubblici specialmente) e quello dei titoli rappresentativi di attività reali (corporate bonds, azioni, e poi i beni reali in senso proprio).

Tobin fu il primo a generalizzare il discorso di Keynes, mettendo come ipotesi che la sostituibilità fra moneta e titoli finanziari fosse alta, mentre fosse bassa fra titoli e settore reale.[sociallocker].[/sociallocker]

In tal modo, gli impulsi di politica monetaria potrebbero disperdersi nel settore finanziario senza trasmetterci a quello reale, in assenza di un significativo effetto reddito, il quale a sua volta è influenzato dalla più o meno omogenea distribuzione fra la popolazione come insegna Kalecki.

Solo se il tasso di interesse prevalente sul mercato reale scendesse sotto l’efficienza marginale del capitale, la politica monetaria avrebbe effetto su investimenti, reddito e consumi (in questo ordine).

Come è intuitivo vedere, la trasmissione della politica monetaria avviene via tassi di interesse, o se preferite, via variazione nei prezzi/rendimenti dei titoli, secondo il portfolio approach di Markowitz e Tobin.

D’altronde la stessa definizione di moneta dei keynesiani aiuta a capirlo: essa non sarebbe né una commodity, né un unicum rispetto ad altre attività finanziarie altrettanto liquide, è semplicemente la più liquida di tutte.

Perciò è il tasso di interesse, o meglio la struttura a scadenza e a rischio che Tobin ha esplicitato, che diventa il prevalente canale di trasmissione della politica monetaria.

Questo non significa che la quantità offerta di moneta sia ininfluente, ma data la sua endogenità, non è uno strumento in piena disponibilità delle banche centrali.

Ormai le differenze fra Keynes&Co e i nostri sovranisti sono chiare: non sentirete mai uno di loro accennare ai tassi, alla loro struttura, figuriamoci alle aspettative di inflazione, che fraintendono sistematicamente. Tutto ciò che propongono non è keynesiano, specialmente la ipotizzata alta sostituibilità fra moneta e beni reali.

Invece è curiosa e divertente la vicinanza a temi monetaristi. Alla fine degli anni 60, per tante ragioni già viste, il monetarismo soppiantó il keynesismo.

Anche Friedman adottó il portfolio approach di Markowitz ma fece due ipotesi diverse da Tobin: che la moneta fosse un bene, un unicum non confondibile con gli altri titoli finanziari, perciò essa era molto sostituibile con azioni, corporate bonds, e consumi in generale, mentre lo fosse poco con i titoli pubblici.

Già il fatto di considerare la moneta un bene fa la differenza: solo una variazione della sua quantità mette in moto il processo di trasmissione dal mercato della base monetaria a quello reale.

Per questo l’emissione di moneta legale deve essere a totale discrezione della banca centrale e sotto il suo pieno controllo: la moneta cioè deve essere esogena per forza, ogni minimo impedimento renderebbe impossibile perseguire efficacemente un obiettivo intermedio di aggregato monetario e il reddito di piena occupazione (NARU) diventerebbe una favoletta.

Vedete le analogie? Sono incredibili!

Cosa ci insegna questo?

Che i nostri sovranisti sono ignoranti, e fin qua..

Che l’economia è in generale insegnata male e soprattutto divulgata peggio dai loro guru.

Che DOBBIAMO RIAPPROPIARCI DI KEYNES, ostaggio di questi pazzi.

Ho avuto abbastanza confronti sui social da poter affermare che stiamo perdendo una guerra, quella molto importante della divulgazione esatta e esaustiva.

L’arma usata è la semplificazione, spesso la banalizzazione, dei concetti.

Non nego che per una persona che si avvicini all’economia, la strategia che usano i sovranisti risulti preferibile: spesso chi si avvicina non ha il tempo di “riflettere”, e si lascia irretire dal primo demagogo le cui idee assomigli o ai propri preconcetti (classicismo effetto Dunning-Krueger).

È opportuno che si continui “la buona battaglia” contro queste errate ideologie, ma bisogna, penso, studiare mezzi migliori.

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Pubblicato da Beneath Surface

Alla soglia degli anta decide di tornare alla sua passione giovanile: la macroeconomia. Quadro direttivo bancario, fu nottambulo ballerino di tango salòn, salsa cubana e rueda. Oggi condivide felicemente la vita reale con le sue due stupende donne.

Una risposta a “Riappropriazione post esproprio. Di Keynes”

  1. L’arma usata è la semplificazione, spesso la banalizzazione, dei concetti.

    Concordo, infatti personalmente li ho definiti esperti in economia voodoo. Fantastica teoria ma nel pratico un disastro.

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