La fabbrica delle navi

La conquista del Mar Cinese Meridionale si arricchisce di nuove interpretazioni. Alcune sono fantasiose o frutto della propaganda, altre crescono nei dubbi e prevedono scenari multipli. La Cina sta cercando di mettere la comunità internazionale – cioè sostanzialmente gli Stati Uniti e i paesi dell’Asia Orientale – di fronte al fait accompli. Costruisce fari, piste per aerei, porti di attracco e addirittura nuovi isolotti con terra di riporto, asserendo una sovranità su territori prima inesistenti. La situazione è molto tesa, probabilmente più di quanto sia avvertita nelle cancellerie occidentali e sicuramente europee. Per capirne l’incertezza, la complessità e la pericolosità è certamente più opportuno studiare le forze in campo e se la politica offre diverse interpretazioni, la freddezza dei numeri fornisce un appiglio analitico. Le spese militari ne sono un esempio evidente. È noto che gli Stati Uniti registrano di gran lunga il budget militare più consistente al mondo, così come appurata è la rincorsa della Cina che ogni anno aumenta significativamente la sua spesa. Altrettanto acclarata è la supremazia statunitense – e poi europea – nella vendita di armi, ma numeri in ascesa vengono conteggiati per la Cina, soprattutto verso quei paesi che l’Occidente considera antagonisti. Per non rimanere colti nella trappola dei segreti militari – e dunque nell’impossibilità di fare previsioni – uno studio pubblicato da The Diplomat, la prestigiosa rivista statunitense che si occupa di Asia, analizza il costo della più diffusa nave da guerra cinese, la fregata Type 054A, conosciuta con il codice Nato Jangkai-II. Le autorità cinesi comprensibilmente non rilasciano informazioni sui costi e sugli approvvigionamenti; l’analisi deve dunque basarsi su una certosina e accurata raccolta di informazioni indirette. La rivista scompone e ricompone tutti la contabilità industriale della nave da guerra: lo scafo, i motori, l’elettronica, l’armamento, il lavoro. I primi 4 costi, a fronte delle messe di dati che supportano l’analisi, sono verosimilmente inferiori a quelli internazionali, mentre sono certamente più bassi per il lavoro, sia per il genio militare che per la manodopera. Basandosi su alcuni contratti recenti, una fregata Jangkai-II è stata offerta a 365 milioni di dollari e il prezzo include una percentuale di profitto ai costruttori che l’hanno prodotta su commissione della Marina cinese che la rivende in seguito ad altri paesi. I rapporti con altri paesi, rileva The Diplomat, sono molto vantaggiosi per la Cina perché la Francia e la Germania richiedono per una fregata simile rispettivamente 676 e 740 milioni di dollari. Anche nella produzione di navi, certamente più sofisticata di acciaio, cemento e calzature tipici della “fabbrica del mondo”, la Cina si presenta competitiva e dunque in grado di insidiare l’oligopolio americano ed europeo. È un’altra sfida per i 2 lati dell’Atlantico, proprio mentre nell’altro Oceano incrociano minacciosamente le navi da guerra.

l’immagine di testata è © Shutterstock

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Pubblicato da Alberto Forchielli

Presidente dell’Osservatorio Asia, AD di Mandarin Capital Management S.A., membro dell’Advisory Committee del China Europe International Business School in Shangai, corrispondente per il Sole24Ore – Radiocor

Una risposta a “La fabbrica delle navi”

  1. E’ competitiva PERCHE’ NOI vogliamo che lo sia.

    Purtroppo…

    Quando si raccoglieranno i cocci prodotti dal Globalismo, forse ci sarà un Professore della Harward Business School che ci spiegherà l’importanza del comportamento etico nell’economia…

    sinbad

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