La Nebbia di Pechino nei cieli delle Bahamas

Come punture di insetti sulla dura pelle di un elefante, gli investimenti cinesi all’estero sono costellati di fallimenti. Senza dubbio permane l’impatto dell’ingente spostamento di capitali. Presto la Cina accoppierà al primato di maggiore ricettore quello di più grande esportatore mondiale di investimenti produttivi. È nota la convenienza economica: Pechino ha riserve e appetiti per materie prime e tecnologia; aziende e governi hanno bisogno di liquidità e vendono, spesso senza vincoli societari, al migliore acquirente, cioè la Cina. Il meccanismo è allo stesso tempo vantaggioso, perverso, pericoloso, unidirezionale. Un recentissimo servizio del New York Times lo riassume in maniera eccellente.

Insieme al flusso di denaro verso l’estero, cresce lo scontento verso l’ingombro cinese. I casi sono ormai numerosi e diffusi, indipendentemente dalla localizzazione geografica o dalla specializzazione merceologica.  In Polonia è stata bloccata la costruzione di un’autostrada affidata a un progetto di Pechino; in Zambia è stata chiusa una miniera di carbone per le proteste delle maestranze locali che hanno condotto alla morte di un manager cinese; in Myanmar sono stati chiusi i cantieri di una diga che avrebbe dovuto fornire – con una probabile devastazione ambientale – energia idroelettrica alla provincia cinese dello Yunnan.

L’ultimo caso – ovviamente per ora – è la fine lavori di un immenso resort nelle Bahamas. Vicino la capitale Nassau era in costruzione un centro vacanziero, con migliaia di stanze, campi da golf, sale da gioco d’azzardo. La China State Construction aveva fiutato un affare promettente: i lavori erano stati sospesi perché gli originari developer erano stati colpiti dalla crisi del 2008. Con un finanziamento della Exim Bank (anch’essa controllata da Pechino) era subentrata nei lavori in corso, imprimendo loro una forte accelerazione. Le prospettive erano ottime, perché l’arcipelago caraibico vive praticamente sul turismo (e sull’intermediazione finanziaria), offrendo la bellezza e gli svaghi del luogo a prezzi ridotti. Al completamento, il progetto Baha Mar avrebbe avuto un valore pari al 12% del Pil delle Bahamas. Sarebbe stato inoltre creatore di 5.000 posti di lavoro, importanti per una popolazione di 350.000 abitanti. Ora il partner locale degli investitori cinesi ha dichiarato bancarotta, accusando i partner cinesi di ritardi, inadempienze contrattuali e di avere materialmente cessato i lavori.

La disputa proietta un’altra ombra sulla China State Construction, che già nel 2009 era stata bandita dalle gare del Fondo Monetario Internazionali per corruzione. Il cono è ancora più esteso per la Cina. La sua politica di espansione verso l’America Latina e i Caraibi potrebbe subire un rallentamento. Non è in discussione la convenienza economica, quanto le modalità di business. Pechino è spesso accusata di confondere la grandezza con l’arroganza, il pragmatismo con la disinvoltura. Talvolta la sua opacità si trasmette anche ai Caraibi e la sua nebbia oscura il sole delle isole, costringendole a portare i libri in tribunale.

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Pubblicato da Alberto Forchielli

Presidente dell’Osservatorio Asia, AD di Mandarin Capital Management S.A., membro dell’Advisory Committee del China Europe International Business School in Shangai, corrispondente per il Sole24Ore – Radiocor

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