La lama del rasoio nella urbanizzazione cinese

Un altro record, una semplice rilevazione numerica, consente di riflettere su problemi più grandi per la Cina. L’Ufficio di Statistica ha comunicato che la popolazione di Pechino ha superato i 21 milioni. Si tratta di residenti legali, aumentati nel 2013 di quasi mezzo milione. Non si arresta dunque la straordinaria velocità dell’urbanizzazione cinese. Per la prima volta nella sua storia il paese, nel 2010, ha registrato

più abitanti nelle città che nelle campagne. Nel 1980 i cittadini erano 140 milioni; sono divenuti 670 milioni 30 anni dopo e raggiungeranno 930 milioni nel 2030, a fronte di una popolazione totale sostanzialmente stabile. Le città cinesi con più di un milione di abitanti erano 34 nel 2000, 102 nel 2012, e saranno 221 nel 2025.

Da questi numeri emerge chiaramente la più massiccia migrazione interna della storia, il trasferimento dei contadini che sono diventati operai nelle città, nelle fabbriche e nei cantieri. Le statistiche mostrano altresì contraddizioni laceranti e prospettive economiche. Il 38% dei Pechinesi – più di 8 milioni di persone – vive in una sorta di legalità controllata e concessa. Il sistemahukou li vincola al luogo di nascita e di registrazione, dal quale teoricamente non potrebbero muoversi senza autorizzazione. Questa viene concessa su base informale, tollerando la presenza per più di 6 mesi nella città che li definisce “residenti”. Il permesso formale di vivere nelle città non viene concesso, perché porterebbe con sé una serie di miglioramenti legali e salariali, de facto un’estensione del welfare state che aumenterebbe i costi per le aziende che li impiegano. Questi milioni di lavoratori – spesso lontano dalle proprie famiglie oltreché dal luogo di nascita – sono cittadini di serie b rispetto ai colleghi che hanno un hukou cittadino e per questo trovano lavori più qualificati e remunerati. La Cina globalizzata non può tuttavia fare a meno di questa forza lavoro per le proprie esigenze produttive: li usa per fini economici, ma non concede loro diritti politici.

Il loro ruolo eccede ora i cancelli delle fabbriche e si riversa nella società Il tentativo è di inserirli maggiormente nel circuito economico per dargli maggior dinamismo. Le società urbane sono in grado di produrre ricchezza più rapidamente di quelle rurali. Ne ha bisogno la Cina, con il rallentamento della crescita, l’invecchiamento della popolazione, l’aumento dei costi di produzione, il decrescente rendimento dei capitali. Appare vicino lo spettro della “trappola del reddito medio” che ha già colpito altre società asiatiche. Inserire nuovi consumatori – sicuri del reddito e del futuro – potrebbe essere la leva per risvegliare l’economia. Il mercato immobiliare è ormai in preoccupante rallentamento, così come i settori a esso collegati dei materiali (vetro, cemento, acciaio) e il comparto delle ristrutturazioni. Nel loro complesso, le spese immobiliari sono diminuite del 14% nei primi 5 mesi del 2014, dopo una crescita del 22% nell’intero 2013.

È evidente che l’ingresso di nuovi consumatori – liberati dai timori del loro status e dall’impellenza del risparmio – darebbe linfa vitale alla temuta brusca frenata del pil. Il governo conosce bene questi fattori di politica economica. Sa tuttavia che riformare il sistema della residenza trova resistenze forti, soprattutto di chi si è arricchito con questa discriminazione. D’altra parte la situazione non è più controllabile; sono all’ordine del giorno in tutto il paese disagi e proteste innescati da questa insoddisfazione. La dirigenza dovrebbe smentire la politica che ha condotto finora, basata sulla compressione dei salari e dei consumi. Sarebbe giusto trovasse il coraggio di evitare l’acuirsi di insopportabili disuguaglianze sociali, traendo vantaggio dall’emersione di più forti soggetti economici. Se non lo fa, rischia la protesta di massa, se invece si avventura nelle riforme può farsi sfuggire il controllo sociale. Per questo cammina su un crinale insidioso, una lama di rasoio rischiosa perché ha rimandato per troppo tempo ciò che avrebbe dovuto fare se non altro per giustizia sociale.

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Pubblicato da Alberto Forchielli

Presidente dell’Osservatorio Asia, AD di Mandarin Capital Management S.A., membro dell’Advisory Committee del China Europe International Business School in Shangai, corrispondente per il Sole24Ore – Radiocor

Una risposta a “La lama del rasoio nella urbanizzazione cinese”

  1. Grande commento, un analisis perffeto della realita politica, economica social della Cina, quello sistema hukou, essere emigrante dentro del tuo paese grande paradossa, Condivido tutte toui idee, the last paragraph superb, speriamo che loro capiscano che devono essere più flexiblie che ci sono necesarie fare riforme che per altro sarebe il camino per reagiugere quella giustizia sociale che loro sistema proclama.

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