L’insostenibile leggerezza delle previsioni del Pil

In Italia negli ultimi 12 trimestri il Prodotto Interno Lordo ha fatto   segnare 11 risultati negativi. Da tre anni quindi la crescita dell’economia, valutata su base trimestrale, è rimasta in territorio negativo, con la sola eccezione della lievissima crescita fatta registrare nel 4° trimestre 2013 (+0,1%).

Lo si apprende dai dati trimestrali contenuti nella stima preliminare del Pil, pubblicati dall’Istat il 6 agosto scorso.

Nel secondo trimestre del 2014 la crescita del Pil è risultata negativa e pari a -0,2%, dopo che nel primo trimestre si era assistito ad una caduta dello 0,1%. La cosiddetta variazione acquisita per il 2014, ossia la variazione annua derivante dai dati già pubblicati relativi ai primi due trimestri, nell’ipotesi di invarianza nei due trimestri successivi, portebbe ad un risultato per l’intero anno pari a -0,3%.

Il dato pubblicato dall’Istat, che ricordiamo ha ancora il carattere di dato preliminare in attesa del numero definitivo normalmente pubblicato dopo un mese, ha deluso le aspettative degli operatori che si attendevano un moderato rialzo dopo il già deludente risultato dei primi tre mesi dell’anno.

Infatti nella nota mensile pubblicata dall’Istat a fine maggio la previsione di crescita del Pil relativo al trimestre corrente, previsione formulata sulla base del modello trimestrale di breve periodo e delle informazione al tempo disponibili, era ottimistica e compresa nell’intervallo tra +0,1% e +0,4%.

Un mese dopo, nella propria Nota Mensile sull’andamento dell’economia italiana diffusa il 30 giugno, Istituto di Statistica aveva rivisto al ribasso la previsione  del risultato trimestrale del Pil che risultava compreso tra -0,1% e +0,3% (corrispondenti all’intervallo tra il 30° ed il 70° percentile della distribuzione),

Il risultato effettivo si è quindi collocato su un valore inferiore rispetto al minimo previsto solo qualche settimana prima della diffusione del dato preliminare.

Anche nel primo trimestre la previsione del valore della crescita del Pil si era rilevata estremamente ottimistica: nella nota di fine marzo l’Istat formalizzava una previsione di crescita trimestrale pari allo 0,3% che sarebbe stata smentita a metà maggio dal risultato preliminare (poi confermato) negativo pari a -0,1%.

Le previsioni economiche si basano, com’è noto, su un approccio probabilistico e l’ampiezza degli intervalli è determinata dall’errore standard di stima. L’economia non è una scienza esatta e le previsioni spesso si rivelano sbagliate: è un limite che non riguarda solo il nostro Istituto di Statistica ma la maggior parte delle organizzazioni che producono statistiche e previsioni macroeconomiche.

Tuttavia un conto è sbagliare la previsione su ciò che avverrà l’anno prossimo, un altro conto è sbagliare la valutazione quantitativa di ciò che è già avvenuto negli ultimi tre mesi.

Nel corso del trimestre lo stesso Istituto di Statistica e molte altre istituzioni pubblicano infatti un notevole complesso di dati statistici dai quali si può inferire una stima dell’andamento corrente dell’economia. In alcuni casi si tratta di indici anticipatori, che possono fornire utili spunti per una valutazione delle prospettive a breve dell’economia. In altri casi le informazioni statistiche sono coincidenti ossia forniscono un’indicazione relativa all’andamento corrente del quadro economico.

Tuttavia occorre riconoscere che nel nostro paese molti dati statistici di rilievo ai fini delle valutazioni macroeconomiche sono pubblicati con eccessivo ritardo rispetto al periodo di riferimento e con frequenza minore rispetto a quanto avviene in altri paesi. Per fare un esempio, negli Stati Uniti le vendite al dettaglio nei supermercati oppure le nuove richieste di sussidi di disoccupazione vengono rilasciati con frequenza settimanale e con tempistiche molto brevi.

Tali ritardi nella frequenza e nella tempistica di raccolta ed elaborazione delle informazioni e la scarsa capacità previsiva dei modelli macroeconomici probabilmente spiegano la mediocre performance delle previsioni a breve termine sul quadro economico italiano.

Le conseguenze sono particolarmente gravi sia per chi deve prendere decisioni di politica economica sia per gli operatori economici: entrambi si trovano a navigare senza bussola dovendo prendere decisioni, di politica economica i primi, di investimento o consumo i secondi, senza avere un’idea chiara di come si stia evolvendo il quadro economico nazionale.

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Pubblicato da Massimo Scolari

Presidente di Ascosim, in precedenza Membro del Consultative Working Group della European Securities and Markets Authority (ESMA).

Una risposta a “L’insostenibile leggerezza delle previsioni del Pil”

  1. … ❝Tra il 2010 e il 2013 la spesa pubblica primaria corrente al netto delle prestazioni sociali è scesa di oltre il 9% in termini reali; tale riduzione si è tuttavia principalmente realizzata mediante tagli di carattere lineare, spesso operati senza una previa valutazione d’impatto.

    I tagli lineari offrono una copertura, ma non sono coerenti con la logica della Revisione della Spesa, né con la legge di contabilità.

    Essi, peraltro, riducendo l’area delle uscite da sottoporre a una approfondita analisi rendono più complesso lo svolgimento stesso di un processo di revisione della spesa.

    Per le modalità con cui sono adottati, spesso in condizioni di urgenza e attraverso misure da approntare in corso di gestione, essi determinano effetti su quelle spese che più facilmente possono essere ridotte.

    Non necessariamente, queste rappresentano, tuttavia, le correzioni necessarie ad assicurare un miglioramento dell’efficienza pubblica❞ …

    -[ P. C. Padoan (GOV, MEF, Ministro dell’economia e delle finanze), “Informativa urgente, sugli interventi in materia di revisione della spesa pubblica alla luce degli attuali vincoli di bilancio, alla Camera dei Deputati della Repubblica Italiana” – Agosto 7, 2014

    http://www.mef.gov.it/ufficio-stampa/articoli/2014_2018-Pier_Carlo_Padoan/documenti/Audizione_Camera_8_agosto_2014_-_testo_pubblico.pdf ◄Pagina 1 ]-

    ISTAT, “(Andamento della) Spesa per consumi finali della pubblica amministrazione – prezzi correnti, € mln” – (ultimo ⌛aggiornamento⌛ con dati disponibili) ☤Novembre 2013☤

    http://dati.istat.it/Index.aspx?DataSetCode=DCCN_CONSPAT

    ☾La spesa della Repubblica Italiana, 2009 – 2012 – [2013]☽

    L’Amministrazione Centrale ha ridotto la spesa primaria (ossia, al netto degli interessi) – in termini nominali – del 10%.

    I Comuni hanno ridotto la spesa primaria dell’8%.

    Le Province hanno ridotto la spesa primaria del 14%.

    Le Regioni, al netto del settore sanità, hanno ridotto la spesa primaria del 16%.

    La spesa del settore sanità – in termini nominali – è rimasta, negli anni 2009-2012, pressocché costante.

    La spesa per le pensioni – sempre in termini nominali – è, invece, aumentata del 7%.

    Al di fuori delle pensioni, quindi, negli anni 2009-2012, la spesa primaria dell’Amministrazione Centrale si è ridotta del 10%.

    Nell’anno 2013 sembra che non Vi saranno dei grossi scostamenti – i dati in DETTAGLIO, tuttavia, ancora devono essere rilasciati UFFICIALMENTE dall’ISTAT.

    In breve, ora – lo “scenario” (Europeo).

    In Italia, il saldo primario delle Amministrazioni Pubbliche, che non considera gli interessi sul debito e quindi fornisce una rappresentazione accurata dell’equilibrio dei conti, è passato da un deficit dello 0,8% del PIL nel 2009 ad un surplus del 2,2% nel 2013.

    Una correzione di 3 punti percentuali, che risulta meno profonda di quella realizzata nello stesso periodo dall’Irlanda, dalla Spagna e dal Portogallo, uguale a quella della Francia, più ampia di quella della Germania.

    La manovra Italiana appare, tuttavia, nel complesso ben equilibrata.

    Il 60% dei 3 punti di correzione è stato, infatti, ottenuto da una riduzione dell’incidenza delle spese al netto degli interessi sul PIL.

    Meglio ha fatto solo l’Irlanda, con oltre l’80%, ma soprattutto la Germania.

    La Germania è l’UNICO, tra i principali Paesi Europei, ad aver ridotto il rapporto tra le entrate totali ed il PIL.

    In Italia, siamo passati dal 46,5% nel 2009 al 47,7% nel 2013, un aumento di 1,2 punti percentuali pari a circa un terzo dell’incremento Francese.

    Negli ultimi quattro anni, i Tedeschi hanno potuto beneficiare di una riduzione della pressione fiscale – in quanto, hanno spostato parte del prelievo dai contributi sociali alle imposte dirette.

    L’aumento subito dagli Italiani (dal 43% del PIL al 43,8%) risulta, comunque, molto MENO AMPIO di quello che ha colpito i Francesi (dal 44,2% al 48%) – hanno agito prevalentemente sulle imposte dirette, sebbene il Paese continui a caratterizzarsi nel confronto con le altre economie europee per una forte incidenza dei contributi sociali, che sono arrivati a valere quasi un quinto del PIL.

    Escludendo gli interessi sul debito, negli ultimi quattro anni, la spesa pubblica in Italia è scesa dal 47,9% del PIL nel 2009 al 46% nel 2013.

    Solo 0,3 degli 1,9 punti percentuali del taglio complessivo sono, però, il risultato di una riduzione delle uscite correnti al netto degli interessi.

    La restante parte è il frutto del risparmio ottenuto grazie ad una consistente riduzione delle uscite in conto capitale.

    Il calo degli investimenti delle Amministrazioni Pubbliche Italiane ha interessato TUTTE le tipologie di beni, andando ad impattare anche su quelle voci di spesa che incidono sulle potenzialità di SVILUPPO dell’economia.

    Dal 2009 al 2013, gli investimenti in fabbricati, che rappresentano quasi il 40% del dato complessivo, si sono ridotti di circa un terzo.

    La spesa per le opere stradali è passata dai €9 miliardi nel 2009 a meno di €7 miliardi, con una flessione di circa un quarto simile a quella che ha interessato tutte le altre spese del genio civile, che comprendono tra le altre cose gli investimenti nei porti e nelle linee ferroviarie, scese da €6.5 a meno di €5 miliardi.

    La riduzione degli investimenti appare ancora più evidente se dai valori correnti passiamo alle quantità.

    Al netto della variazione dei prezzi, l’insieme degli investimenti pubblici e del sostegno fornito a quelli privati si è ridotto negli ultimi quattro anni di quasi il 40%, crollando sul livello minimo dal 1990.

    Dal 2011 al 2013, gli investimenti in opere stradali si sono ridotti di oltre un quarto, scendendo di 10 punti percentuali sotto il livello del 2000.

    Stesso discorso per le altre opere del genio civile, crollate su livelli inferiori di circa il 30% rispetto a quelli dell’inizio dello scorso decennio.

    La correzione dei conti pubblici realizzata in Italia nel corso degli ultimi anni, sebbene di rilievo, non appare di ampiezza straordinaria se confrontata con quella delle altre principali economie Europee.

    Una visione d’insieme mostra un certo equilibrio nella distribuzione degli interventi tra le entrate e le uscite.

    Andando a guardare i DETTAGLI emergono, però, alcuni aspetti che meritano ATTENZIONE.

    Seguendo l’evoluzione delle decisioni nel corso degli anni 2009-2013 si può notare prima di tutto una tendenza a spostare l’attenzione maggiormente su un aumento delle entrate a scapito del contenimento delle uscite.

    Sul fronte delle entrate, l’aumento della pressione fiscale appare poca cosa nel confronto Internazionale, soprattutto avendo bene in mente il valore finale, che risulta ben lontano da quello degli altri Paesi.

    Negli ultimi quattro anni, la riduzione dell’imposizione fiscale sul lavoro sembra, inoltre, meno coraggiosa di quella seguita in altri Paesi.

    Dal lato delle uscite, positiva appare la riduzione di alcune voci correnti.

    Sull’aumento delle prestazioni sociali in denaro poco può esser fatto, tenuto conto delle manovre sulle pensioni già approvate. L’aumento del costo sostenuto per gli ammortizzatori sociali rende, però, sempre più opportuna un’adeguata riorganizzazione dell’intero sistema.

    L’aspetto più PREOCCUPANTE è, senza dubbio, il brusco calo degli investimenti – come testé accennato, brevemente.

    Un Paese che già soffre un livello di infrastrutture non adeguato rischia di essere ulteriormente penalizzato da decisioni di riduzioni della spesa che vanno ad incidere su voci, quali ad esempio le opere stradali, che attraggono meno l’attenzione dell’opinione pubblica di quanto accada per alcune spese correnti.

    Gli effetti sulla crescita delle politiche di riequilibrio dei conti potrebbero, dunque, andare ben OLTRE il BREVE TERMINE qualora questa tendenza di costante riduzione degli investimenti proseguisse anche nei prossimi anni.

    ☢IMPORTANTE☢

    -[da ricordare SEMPRE e BENE come l’AVE MARIA, NOSTRA SIGNORA ILLUMINATA-ANTE]-

    Nel valutare gli effetti che una correzione dei conti pubblici produce sull’economia – e il Suo “relativo” impatto sul PIL – di un Paese l’ampiezza della manovra non è, però, l’unico elemento da considerare.

    Quello che rileva è soprattutto la composizione delle misure, con la suddivisione tra entrate e uscite.

    Generalmente, una riduzione delle spese, con una particolare attenzione al contenimento degli sprechi, produce effetti MIGLIORI per l’economia di quelli ottenuti da un “semplice” aumento delle entrate.

    ✍✓_s-U-r-f-E-r_✍✓[Saluti marini☼]

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