Mal d’archivio

Di quella volta che l’ennesima sparata del Ministro Franceschini quasi quasi era invece un’idea inedita e bella.

Se uno non sta attento ci casca, ma procediamo con ordine. Tra le poche cose rimaste in piedi in Italia c’è il trittico dell’almeno questo. Mi riferisco al piccolo comfort delle certezze oneste, a quel minimo apporto di endorfine da passeggio regalate dai piccoli punti di riferimento che servono a orientarsi nella palude italica. Ovunque tu sia, fisso o in viaggio, nel Bel Paese puoi contare su almeno tre cose.
La prima è il pessimo livello del nostro giornalismo (giornalismo italico, si badi, inteso come cultura, con luminosissime eccezioni secondo i gusti e le inclinazioni di ognuno).
Il secondo è l’eterno brigare morto e senza orizzonte delle guerricciuole tra parrocchiette (quello dei “non m’importa di vivere, mi basta che tiziocaia muori” (sic)) .
La terza è che sì, può anche capitare te ne servano uno pessimo, ma hai la ragionevole certezza di riuscire a farti servire un signor caffè da qualche altra parte, ovunque tu sia, nell’arco di trecento metri o cinque minuti bighellonando.
Chiamiamola l’Italia dei mezzi campanilotti.
E poi ce n’è un’altra, che ha la medesima durata del governo in carica: dovunque comunque apra bocca, il Ministro Franceschini è diventato ahilui famoso perché bofonchia una serie di insulsaggini. Non entro nel merito, il mio parere non fa testo: qui mi riferisco alla vulgata, cioè a come viene percepito e mediato il Franceschini pensiero. Un esempio? Pesco a caso: la polemica con Google sulla cultura patria, oppure le disavventure di VeryBello, e infine aggiungetene una a caso voi se vi pare. 
Ecco, qui casca l’asino. Come dicevo in apertura, se uno non sta attento ci casca. Anche ieri una dichiarazione all’apparenza in perfetto stile franceschiniano.

“Eccaallà”, pensi. E subito puntuali una ridda di commenti negativi, benaltristi  e compiaciuti. Insomma, l’ennesima esternazione del ministro sembrerebbe proseguire nel solco delle uscite precedenti. E invece.
E invece per una volta mi sembra un’idea degna di attenzione. E di una riflessione.
La mia tesi è sempre la stessa: l’editoria è (e quasi non si dibatte nemmeno) in una crisi di identità profonda e forse irreversibile. Non parlo del libro, che ci seppellirà tutti, ma del tanfo della carta per come asfissia i modelli di business editoriali. L’esito prevedibile di questa crisi d’identità è la fine del filtro editoriale per come siamo stati abituati a intenderlo negli ultimi tre secoli: “scelto, visto, si stampi”. Ora il processo diventa sempre di più “scelto, visto, si stampi, macché, si va alle ortiche, mioddio”. Vado ripetendo da anni che è in atto una grande rivincita della scrittura ai danni della lettura. Nonostante i peana di #ioleggoperché, i proclami dello stesso Ministro (ora non è che perché ne azzecca una abbia accesso a un’indulgenza plenaria), sempre meno persone leggono e sempre più persone scrivono.
Anche grazie ai social media, grandi editori globali monstre del nuovo blob scrittorio.
Cosa ci dice il #luminol applicato al nuovo boom delle scritture?
Dice almeno tre cose (diciamo due e mezzo):

  • nell’oceano mare delle scritture è sempre più difficile azzeccare un libro di successo. Mi riferisco al successo commerciale (vendite): nell’epoca del marketing quasi nessuno fa più un bestseller progettato a tavolino (se mai ne sono stati fatti invece di dichiararli tali ex post).
  • che le scritture nel loro profluvio vanno probabilmente intese come archivio di big data da processare e distillare all’occorrenza
    (corollario della precedente)
  • che se non siamo capaci di dire cosa è una buona scrittura meglio prudentemente archiviarla tutta in vista di una futura idea catalogatoria migliore

Ed è qui che entra in campo l’idea di Dario Franceschini: prendere atto del fallimento del mercato editoriale istituendo un enorme indolore back-up degli inediti. Perché seguitemi: se l’editore fallisce, l’inedito diventa mainstream: non essere “pubblicati” is the new black. 
Prima se avevi talento, mestiere e seguito venivi ragionevolmente pubblicato; ora il canale ufficiale di pubblicazione fa acqua e rosso da tutte le parti e non garantisce più il fulgore scrittorio a chi lo ambisca e/o lo meriti. 
Il pattern è netto e nel suo goffo procedere Il self-publishing sta già in parte tessendo una rete parallela di pubblicabilità. Ma si naviga ancora un po’ a casaccio ed ecco che è prezioso che la massima istituzione della cultura patria ne prenda atto e intervenga. In fondo siamo un popolo che scrive, non un popolo di scrittori. Non pensiamo solo al passato, anche se non è mai finita: pensiamo al fatto che d’ora in poi chi scrive, chi ha la malattia assurda di redigere testi a qualunque titolo confidando in un interlocutore, ha la sana speranza che qualcosa resti, che il caso e l’improbabile lettore possano intercettarlo un domani.

Per questo l’archivio Franceschini farà forse sorridere i benpensanti ma mi sembra un’idea degna di questo nome. La cultura è fatta di scritture, non solo di libri e forse non è giusto che la crisi delle bottiglie affossi il vino e quella del libro le scritture.
E allora ben venga l’archivio degli inediti. Non è un caso che altri progetti in qualche modo simili stiano avendo sempre più successo. Penso all’Archivio dei Diari, penso ai mille fondachi d’Italia. Penso anche alle produzioni parallele di qualità: autori pluripubblicati che negli anni hanno però deciso di riservare la parte più intima della loro produzione a una tiratura privata. A volte è riservata agli amici (Le leggi fondamentali della stupidità umana di Carlo M. Cipolla è nato così), oppure si tratta di progetti occasionali collettivi (il Post sotto l’albero e L’ennesimo libro della fantascienza) o dei generosissimi diari di Giampaolo Barosso e a tutto quello che adesso non mi viene in mente.
L’italiano medio ha un libro illeggibile nel cassetto. Fa niente, siamo un popolo di (meta)scrittori, mica di lettori.

L’immagine di testata è © Shutterstock
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Pubblicato da Filippo Pretolani

Non tutto quello che esiste implicitamente ha bisogno di essere reso esplicito — Peter Sloterdijk. Fondatore di Gallizio editore e co-fondatore dell’Istituto Kaspar Hauser per gli Studi Economici.

4 Risposte a “Mal d’archivio”

  1. mi sa più l’interpretazione di Gallizio che l’idea di Franceschini. Franceschini però ne sarà entusiasta! 😀

  2. molto bene, allora io terrò tutto in un cassetto e aspetterò che Franceschini mi dica dove apre ‘sta biblioteca, per dire. Del resto, scripta manent, e magari davvero qualcosa rimane, tra le pagine chiare e le pagine scure. O forse il ventaglio di possibilità diventa talmente ampio che resteremo solo dust in the wind.

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