Mario Desiati: Spatriati alla ricerca di un centro

Desiati

Lo possiamo confessare tranquillamente: dei dieci precedenti libri dell’autore di oggi, il vostro umile estensore delle #LettureInclinate non ne aveva ancora letto alcuno; ma i libri possono attenderci, sono sempre lì, non deperiscono, e c’è comunque sempre il tempo per recuperare, come stiamo facendo.

E’ stato un tweet di Sandro Veronesi ad attirare la nostra attenzione sul romanzo di oggi:

Dato il nostro amore incondizionato per l’autore de “il Colibrì” (di cui non possiamo che tornare a consigliare la lettura, con l’occasione), non potevamo certo esimerci dal leggerlo, questo romanzo uscito il maggio scorso: si tratta di Spatriati (pagine 277, Einaudi, 2021, Euro 20) di Mario Desiati (1977), un giovane autore già molto prolifico, come detto, che espone nella sua biografia esperienze in campo giuridico (ha al suo attivo diverse pubblicazioni) ed editoriale (è stato editor alla Mondadori e alla Fandango Libri).

In esergo al romanzo ci sono poche parole di Giacomo Leopardi che ci aiutano ad inquadrare il tema di fondo di questa storia di due ragazzi del Sud e della loro ricerca, anche interiore:

“…mai contento, mai nel mio centro…”

e quindi, senza alcun dubbio, questo è un romanzo sulla ricerca di se stessi, di una strada per essere “centrati”, realizzati, felici: e infatti l’autore, in una conversazione con Valentina Barengo afferma che “tutto è possibile nella vita, nella scoperta di se stessi”, dicendoci quindi che con questa storia ha voluto raccontare il percorso attraverso il quale Francesco Veleno, l’io narrante, e Claudia Fanelli, amica e amore di una vita, cercano di trovare il loro centro.

Questo percorso ha come presupposto la loro condizione degli “spatriati”, parola dialettale che Desiati definisce in apertura della Parte Seconda (prendendo dal dizionario Martinese di Gaetano Marangi):

“Ramingo, senza meta, interrotto, detto del sonno che si interrompe…. Anche balordo, irrisolto, allontanato, sparpagliato, disperso, incerto”.

E, in aggiunto a ciò (che tuttavia ci pare già parecchio), Desiati, nella conversazione già citata, precisa ulteriormente che la “spatriatezza” può esserci sia che tu stia fermo, nel posto dove sei nato, come fa prevalentemente il nostro narratore, Francesco, sia che tu le tue inquietudini le vada a curare fuori, fuggendo, partendo, tornando e ripartendo, come invece fa Claudia, conosciuta da adolescente, al paese, ed inseguita, nel vero senso della parola, per una vita intera. Ecco cosa dice Francesco, quando Claudia decide di andarsene da Milano, verso Berlino:

“…mi scrisse prima di annunciarmi che sarebbe partita…ancora più a Nord di dove era stata in questi anni, dove sciamavano i nuovi italiani di ventura: Berlino. E anche se fosse stata Atlantide, l’isola dei Feaci o Marte, io non avrei mai smesso di inseguirla”.

Spatriati è un romanzo dalla struttura classica, con una trama semplice, resa in senso cronologico dal narratore che, raccontando il suo rapporto con Claudia, ci parla così della vita di lei: si parte dal paese, Martina Franca, e dall’incontro dei due protagonisti, e da qui si dipana la loro lunga storia, con lei irrequieta, dissacrante, vulcanica, e lui chiuso, stanziale, irrisolto, incerto, anche nell’orientamento sessuale.

Francesco, in qualche modo, è il cantore, il testimone della vita di Claudia: è lui che ce la racconta, perché fra loro nasce uno strano rapporto, presto minato, o forse alimentato, dalla relazione clandestina fra la madre di lui ed il padre di lei (è una rivelazione che arriva subito, non stiamo anticipando troppo della trama). Un rapporto particolare, si diceva, con lui che la ama, ma si accontenta del ruolo di amico e confidente perché sa che è l’unico modo per averla, e quindi ci racconta di lei e della sua vita, come filtrata dai loro rapporti, dalle telefonate, dalle mail, con lei che gli racconta delle sue relazioni, spesso con uomini maturi, per poi sparire per mesi e riapparire improvvisamente.

Claudia si iscrive alla Bocconi (“voglio capire perché esistono i ricchissimi e i poverissimi, non mi basta la filosofia”, dice), poi ovviamente rimane a Milano, a occuparsi di Risorse Umane, mentre Francesco non si muove da Martina Franca, cerca la sua strada in campo immobiliare, cavalca la moda delle masserie da ristrutturare; il racconto è un continuo, lungo filo rosso fra loro due, con le loro famiglie distrutte dal silenzio, dalla mancanza di amore, dal dolore, dal lutto, dal provincialismo.

Ecco, questo è un aspetto che certamente unisce questo libro al Colibrì di Veronesi: la famiglia come luogo dell’incomprensione e della sofferenza, come simbolo, quasi, di quella che Desiati chiama “spatriatezza”, come elemento purtroppo fondante della vita irrisolta di molti personaggi di questo romanzo. Ecco ad esempio quando la madre di Francesco parte per un viaggio da cui non tornerà più:

“Mi baciò sulla punta del naso. Partiva per un viaggio in Vietnam. Sulla porta d’ingresso mio padre con lo sguardo da cane bastonato. Sua moglie e suo figlio erano lì a due passi ma con i cuori distanti. Subito dopo avvertii un magone fortissimo. – Tanto torna -, disse mio padre con voce malferma. <<Dove l’ho già sentita?>>, pensai.”

Desiati scava profondamente nelle inquietudini dei suoi personaggi, con una prosa schietta, ricca, attentissima alle sfumature, con dialoghi molto ben scritti, profondi: ci pare di conoscerli questi due, sono della nostra generazione, li vediamo nei rave degli anni Novanta, siamo con loro in auto mentre cadono le Torri Gemelle, mentre sentono gli Oasis e quando sono già al lavoro mentre c’è la grande crisi dei mutui sub-prime, nel 2008, li vediamo aprirsi i primi profili social, passare dalle telefonate alle mail ai messaggini con le facce, mettersi gli auricolari mentre corrono in bici.

La loro storia è la nostra allora, quella della generazione figlia dei boomers (quelli veri), che abbiamo ritrovato ad esempio anche con Teresa Ciabatti, altra anima inquieta, in Sembrava Bellezza (Mondadori), con la protagonista madre insicura e spiantata, anche lei spesso fuori dal suo centro*.

Ed è questo quello che fanno Francesco e Claudia: cercano se stessi e si cercano, fra dolori, ferite, vita quotidiana, stravaganze, esperienze di liberazione sessuale e di trasgressione; qui è proprio quando Claudia perde il lavoro a Milano, e organizza il trasporto dei suoi libri per la capitale tedesca:

“…con un corriere che ogni giorno, per ventuno giorni, le aveva consegnato una scatola. …così Claudia per un mese aveva aperto una scatola alle sei in punto appena tornata dal lavoro. Nei giorni in cui stilava l’accordo con la ditta aveva avuto una piacevole sensazione immaginando il suo approdo in una nuova città dove il tempo le avrebbe rilasciato poco alla volta parti di sé. Poi le si era affacciato un pensiero: la tentazione di perdere tutte le ventuno scatole in arrivo dall’Italia come antidoto alle ferite”.

Lasciamo ai lettori il proseguimento di questa storia, il capire se Francesco e Claudia troveranno il loro modo di vivere ed essere finalmente sereni: questa è certamente una storia che, come si conviene, narra di noi quando soffriamo (“I’m interested in people when they’re not happy“, usava dire Philip Roth), quando cerchiamo il senso vero di quello che facciamo; ed è questo che deve fare il romanzo, no?

*”Noi stesse ci scopriamo confuse, cosa siamo diventate, costellazione senza luna, microscopiche stelle a punteggiare il cielo buio”
è una citazione da Ciabatti che pare perfetta anche per i nostri Spatriati.

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Pubblicato da Leonardo Dorini

Manager, consulente, blogger. Mi occupo di finanza ed impresa, amo lo sport. Ma sono qui per l'altra mia grande passione: la letteratura.

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