Meno mamme per colpa della precarietà

madre precaria

Spesso il ritardo della maternità viene attribuito a un desiderio della donna di fare carriera a discapito della famiglia. Uno studio australiano pubblicato sulla rivista Human Reproduction rivela che il fenomeno è molto più complesso e che la tendenza, rispetto al passato, è cambiata radicalmente. I risultati della ricerca dimostrano, infatti, che nella maggior parte dei casi se una donna ha un figlio dopo i 35 anni è dovuto alla precarietà della suo posto di lavoro. L’analisi, svolta su un campione di oltre 600 donne nate tra il 1973 e il 1975, prende in considerazione tutte le classi sociali. Non stiamo quindi parlando delle coppie ‘childfree’, quelle che rifiutano per scelta di avere figli, ma di coppie che vorrebbero dei figli ma valutano di non poterselo permettere.

Qui in Italia non sembra che le cose vadano tanto diversamente: la crisi ha fatto crollare le nascite fino al 10% l’anno. Con picchi nel sud, dove un tempo le gravidanze superavano la media nazionale. Così la famiglia italiana diventa sempre più vecchia e sempre più povera. Abbiamo già affrontato l’argomento la settimana scorsa, ospitando la testimonianza di Francesco Raiola. Oggi vi raccontiamo le storie di quattro donne e le loro scelte.

In Sintesi:

Non si ritarda la gravidanza per “fare carriera”, ma per “tirare a campare”

Ogni anno di lavoro precario posticipa la scelta di avere un figlio

Questo fenomeno non riguarda solo gli alti carichi ma tutti i livelli lavorativi

“Sono giornalista. Non mi sognerei mai di fare un figlio adesso”, ci confessa Francesca senza esitare. “Attualmente sono al mio terzo stage. Mi sono laureata in comunicazione, specializzata in editoria e ho preso un master in giornalismo, ma non ho mai avuto un posto fisso. Collaboro con alcuni giornali locali e con qualche rivista. Poca roba”. Riesce a vivere del suo stipendio, senza dover chiedere aiuto ai genitori, ma non può permettersi nessun vizio. “Il problema è che non riesco a mettere da parte nulla: pago l’affitto e faccio la spesa, punto. Ogni tanto una birra con gli amici, ma conto ogni centesimo che spendo. Convivo con il mio ragazzo, stiamo in un bilocale abbastanza centrale: i 40 metri quadri più cari della nostra vita. Anche lui è precario, lavora con contratti a progetto in varie iniziative dell’Unione Europea”. Per Francesca non è in discussione l’idea di avere figli, “solo che non li posso avere adesso”, dice. “È troppo presto per me. Voglio dire, in fin de conti cosa sono? Una stagista. Una giornalista precaria. Guadagno 350 euro fissi al mese, più quella miseria che mi pagano per gli articoli che scrivo”.

Abbiamo parlato anche con Mariella, classe 1967, impiegata in cassa integrazione da un anno. Lei una figlia ce l’ha, Cinzia, 20 anni. Erano altri tempi, dice. “Quando è nata io avevo un posto fisso e tutta la vita davanti. Mio marito pure, lavorava in fabbrica. Un giorno ci siamo guardati in faccia e abbiamo detto è il momento. Non c’era nessuna ragione perché non dovessimo avere dei figli: eravamo giovani, avevamo una casa e ci amavamo”. Oggi suo marito è in mobilità e Mariella in cassa integrazione straordinaria. “Abbiamo finito di pagare il mutuo, però le spese sono comunque tantissime. Meno male che Cinzia è grande e brava: ha una borsa di studio, altrimenti non avremmo mai potuto pagarle l’università”. I tempi cambiano e il tempo cambia le vite delle persone.

Giovanna, 30 anni, si sta specializzando in medicina, neanche lei pensa ai figli. “Fra qualche anno sarò una cardiologa disoccupata”, dice. “Un tempo una laurea in medicina mi avrebbe aperto tutte le porte, permesso di fare progetti a lungo termine. Mettere le radici, insomma”. Adesso? “Adesso non so nemmeno dove sarò tra un anno, ma la cosa che più mi spaventa è che non so se avrò mai un lavoro stabile. La crisi ha colpito fortemente gli ospedali”. Le chiediamo se la sua decisione di non avere figli sia legata al desiderio di fare carriera. “Desiderio di fare carriera?? Ah ah ah, desiderio di pagare l’affitto, direi piuttosto!”, ride.

Naturalmente ci sono anche ragazze che questa decisione l’hanno presa, nonostante l’instabilità lavorativa. Come Laura, 32 anni, diplomata all’Istituto Europeo di Design in grafica digitale. Lavora come freelance e oggi ha una figlia di due anni e mezzo, Gemma. “È difficile soprattutto all’inizio della gravidanza, quando ti prende quell’angoscia di non essere all’altezza, di non poterle dare quel che si merita dalla vita. È destabilizzante. Poi ricordo che avevo molti complessi di inferiorità rispetto al mio ragazzo, per via del lavoro. Lui è ingegnere informatico in una grande impresa (che adesso però è in crisi). Insomma un casino”. Ma ora… “Ora, se non avessi Gemma, non so proprio come farei. È una parte indispensabile della mia vita, una fonte inesauribile di ispirazione e felicità”.

di Marco Nurra (pubblicato originariamente su “L’Isola dei Cassintegrati“)
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10 Risposte a “Meno mamme per colpa della precarietà”

  1. Meno mamme per colpa della precarietà?

    Grazie agli studi australiani abbiamo una nuova scusa per non fare figli, la precarietà, oltre, in ordine di tempo, alla carriera e alla crisi economica. Quella della carriera mi sembrava la scusa più sincera.

    Sia ben chiaro, ogni scelta merita rispetto, i pretesti no.

    L’andamento demografico dei cittadini extra comunitari è di segno opposto. Non solo nei loro disgraziati paesi d’origine dove la crescita demografica è straordinaria ma anche nell’impossibile occidente.

    Eppure chi è più precario di un extra-comunitario, specie se precario? Qualcosa non quadra.

    Temo che dietro le scuse di debolezza economica si nascondano profonde modificazioni genetiche di tipo culturale.

    La paternità e la maternità sono amore senza condizioni, generosità senza platea, sacrificio senza ricompensa, rinuncia individuale. Valori che hanno smesso di appartenerci da lungo tempo.

    Siamo certi che le cause del fenomeno non vadano piuttosto ricercate tra le illusorie aspettative sulla qualità dell’esistenza (comodità) o tra gli inconfessabili egoismi di eterne adolescenze?

    Non ho la risposta, ma permettetemi il dubbio.

    1. Caro J599, lo studio australiano è semplicemente una fotografia della realtà: descrive statisticamente il fenomeno attuale. Tu parli di scuse, ma io credo che avere (o non avere) un figlio sia una scelta talmente importante e personale da non aver certo bisogno di giustificazioni davanti a nessuno.

      “Quella della carriera mi sembrava la scusa più sincera”… e invece, come vedi, si tratta solo di uno stereotipo.

      Su una cosa siamo d’accordo: stiamo parlando di cambiamenti culturali (che come ben saprai, sono condizionati ANCHE dal contesto economico).

  2. eppure ,eppure eppure… J599 a mio avviso ha perfettamente colto nel segno.


    La paternità e la maternità sono amore senza condizioni, generosità senza platea, sacrificio senza ricompensa, rinuncia individuale. Valori che hanno smesso di appartenerci da lungo tempo.Chi è più precario di un extra-comunitario, specie se precario? Qualcosa non quadra.

    Meditate gente…meditate.


    I tempi cambiano e il tempo cambia le vite delle persone.

    Quanta gente oggi non riesce più a socializzare per il semplice motivo che una volta finito il lavoro ognuno torna sui suoi passi e non ha tempo da dedicare nè a se stesso nè ad altri?.

    Stiamo per entrare nell’era dell’alienazione da lavoro che una volta credevamo essere patrimonio dei giapponesi.

    Venti anni fa guardavamo al fenomeno come ad una curiosità di culture a noi sconosciute, oggi i nostri figli stanno cominciando a toccarlo con mano.

  3. Come spesso accade mi ritrovo con il buon vecchio Yuma.
    Come si fa a non essere d’accordo con un cowBOY ???

    E’ l’idea di “sacrificio” e di “senza condizioni” che oggi sono poco
    frequentate ed anzi causano allergie e mal di pancia. Confermo anche
    io J599 e lo tocco con mano per esperienza diretta.

    Questo non toglie che avere una maternità vera, qualche assegno familiare in più
    e la possibilità di aprire un mutuo senza essere “impiccati” aiuterebbe…..

  4. Il fatto che nessuna donna commenti è emblematico del fatto che J599 ha centrato il bersaglio.
    Ha colto esattamente ogni punto e replicare nel merito è praticamente impossibile. Complimenti!

    1. Mi scuso con Marco Nurra, ma mi trovo a commentare un commento al suo articolo, che comunque credo abbia raccontato una parte della realtà con cui dobbiamo fare i conti.
      Aggiungo solo che il centro del bersaglio è di J599: “La paternità e la maternità sono amore senza condizioni, generosità senza platea, sacrificio senza ricompensa, rinuncia individuale, Valori che hanno smesso di appartenerci da lungo tempo”.
      Però c’è la ricompensa, c’è eccome.

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