Come si persegue la crescita?

mercantilismo

Negli ultimi 40 anni il mondo Occidentale ha vissuto un’inusuale divergenza: al continuo crescere della produttività del lavoro, i salari reali che prima crescevano a braccetto, hanno iniziato a rallentare, attraversando anche lunghe fasi di stasi, generando un costante allargamento delle disuguaglianze, frutto della crescente proporzione dei ritorni da capitale a fronte del ritorno da salario.
La società Occidentale è però una società basata sui consumi (2/3 del PIL americano si determina sui consumi) e questo continuo “impoverimento” relativo della classe media, che deve lavorare sempre più duramente per guadagnare sempre meno, porta fasce crescenti della popolazione a dubitare del modello.

Sui dubbi generati dalle crisi, e la rabbia sociale generata dalle disuguaglianze (accelerate da immigrazione e automazione), stanno sorgendo, emergendo (e talvolta vincendo) forze definite “populiste” che propongono ricette orientate alla difesa dal mercato, dallo straniero, dal calo dei salari e dalla concorrenza. D’altra parte è sempre maggiore la fetta di persone che credeva nel lavoro come catarsi e crescita personale e si ritrova calata nel lavoro come mansione in perenne svalutazione (emblematico il recente caso Carpisa). E’ quindi fisiologico che la rabbia aumenti.

Queste ricette contengono invariabilmente delle riduzioni di orizzonte, parlano di protezionismo e autarchia, confidando che un orizzonte più ristretto possa risultare più rassicurante, che la percezione sia di avere un maggior controllo degli sviluppi della propria economia e che in questo modo sia possibile perseguire (o forse pilotare) di più la crescita.

In realtà il dibattito fra libero mercato e protezionismo è vecchio di secoli: nel XV secolo venne concepita la teoria detta “mercantilismo” (fondata sul principio che la ricchezza di un paese si identifica con la quantità di moneta posseduta, e quindi sostenitrice di una politica protezionistica da parte dello stato nei confronti delle importazioni e incentivante nei confronti delle esportazioni). Ovviamente l’obiettivo del mercantilismo era la crescita del benessere.

Il primo passaggio del mercantilismo prevedeva di produrre internamente quante più risorse possibili, restringendo al minimo le importazioni. Al governo veniva assegnato il ruolo di aiutare le imprese locali applicando dazi e tariffe vessatorie sui beni importati, limitando così la competizione ai produttori locali. La forza di una nazione si esprimeva così nel suo grado di autarchia. Il mercantilismo regnò incontrastato fino al 9 Marzo 1776, data della pubblicazione de “An Inquiry into the Nature and Causes of the Wealth of Nations” (Ricerca sulla Natura e le Cause della ricchezza delle nazioni), uno dei più importanti ed influenti libri della Storia. Il filosofo (gli economisti a quei tempi non esistevano ancora) scozzese Adam Smith propose un’idea in pieno contrasto con l’opinione dominante: che il miglior modo per perseguire la crescita di un Paese non è quello di cercare di fare tutto in autonomia, perché nessun Paese può sperare di riuscire bene in ogni settore economico.

Smith rilevò che ogni Paese ha delle aree di forza e delle aree di debolezza, c’è chi è migliore nella produzione del vino, atri eccellono nella ceramica, ed è su queste aree di forza che secondo Smith è corretto focalizzarsi. E’ l’applicazione su scala nazionale di un meccanismo che comprendiamo bene su scala individuale: se qualcuno ha una attitudine naturale per il giardinaggio, non ha senso che applichi la sua vita alla contabilità, al cucito, al pianoforte o alla produzione del formaggio.

E’ molto meglio che un giardiniere, contabile, un sarto e un pianista si specializzino in quello che amano e in cui riescono meglio, scambiandosi poi reciprocamente i prodotti ed i servizi che possono produrre facendo sì che ciascuno di loro abbia il meglio.

“Un buon padre di famiglia non dovrebbe cercare di fare in casa ciò che gli costerebbe di più produrre invece che comprare”

Smith scelse come esempio di confrontare la capacità inglese di confezionare prodotti in lana, con quella portoghese di produrre il vino. Se entrambi hanno la capacità di produrre la propria specialità a costi inferiori dell’altro paese, allora sarà un vantaggio per entrambi lo scambio dei rispettivi prodotti che ciascuno può produrre a minor costo, ottenendo in cambio quello che avrebbe dovuto produrre a maggior costo.

Questo fa crescere la ricchezza di entrambi. Lavoro e capitale vengono entrambi impegati in maniera più vicina all’ottimale. Il lavoro del governo è allora quello di individuare i settori che offrono un vantaggio competitivo al Paese, assistere alla formazione della forza lavoro, e facilitarene lo scambio, riducendo tariffe e dazi.[sociallocker].[/sociallocker]

L’Inghilterra provò a testare le idee di Smith su una delle principali fonti alimentari del Paese: il mais. I prezzi del grano erano protetti da decreti governativi, il grano estero -più economico- veniva tenuto fuori mercato con dazi per proteggere i posti di lavoro e di conseguenza la ricchezza nazionale. Ma le idee di Smith, spinte dal suo discepolo David Ricardo, suggerivano che i dazi sul grano straniero erano di fatto ostacoli alla crescita economica. Dopo aspro dibattito parlamentare, nel 1846 i dazi sul grano furono abrogati, mostrando due vantaggi: il prezzo del grano calò rapidamente, il cibo divenne più economico e ciascuno -specialmente la classe operaia- si ritrovò più soldi da spendere in altri beni.

Questo fece crescere la dimensione dell’economia britannica, facendola accelerare rispetto agli altri paesi europei, ma il grano importato dagli USA e dal Canada distrusse fattorie e stili di vita di tradizione secolare. Pertanto le idee di Smith, se da una parte di mostravano corrette, dall’altra mostravano anche quanto potesse essere dolorosa la loro applicazione. I lamenti di chi viene colpito dal cambiamento diventano minacce alla stabilità del sistema e alla dignità morale della nazione.

I benefici di un’economia aperta offrono i migliori frutti se vengono accompagnati da opportuni accorgimenti: i settori più avvantaggiati vanno tassati per proteggere i lavoratori dei settori più svantaggiati, senza questa redistribuzione di denaro e di lavoro una nazione resta vittima dell’instabilità politica, mettendo a repentaglio ogni beneficio portato dal libero mercato.

Inoltre il governo deve consentire e facilitare per ciascuno la possibilità di trovare i propri punti di forza, il che significa che sono necessari forti investimenti scolastici e misure che favoriscono la mobilità sociale, due cose che nel Paese in cui viviamo sono da troppo tempo latitanti.

[tweetthis]Smettiamola di chiamarli populisti: sono neomercantilisti[/tweetthis]

Chi cavalca la rabbia degli appartenenti alle classi “dimenticate” non sono dunque dei populisti ma dei neo-mercantilisti che riscuotono successo nel proporre di ripristinare muri, dazi, e che le importazioni a basso prezzo danneggiano il lavoro domestico. Sono argomenti privi di senso e smontati dall’evidenza storica, ma finché il libero mercato non viene adeguatamente accompagnato da quegli accorgimenti che ne stemperano i suoi lati più ruvidi, intere nazioni continueranno a restare sedotte dalle facili promesse dei neo-mercantilisti che rischiano solo di portarli verso un impoverimento più rapido e strutturale.

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Pubblicato da L'Alieno Gentile

Precedentemente conosciuto con il nickname Bimbo Alieno, L'Alieno Gentile è un operatore finanziario dal 1998; ha collaborato con diverse banche italiane ed estere. Contributor OCSE nel 2012, oggi è Global Strategist per l'asset management di una banca italiana.

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