Mifid 2: come possono cambiare i servizi di investimento

Il nuovo Commissario europeo, l’inglese Lord Jonathan Hill, Barone di Oareford, è stato nominato da Jean-Claude Junker e sarà responsabile dell’area “Financial Stability, Financial Services and Capital Markets Union”.  La nomina di Lord J. Hill, che succede al francese Michel Barnier, non è stata esente da critiche da parte di alcuni osservatori a causa delle passate relazioni professionali intrattenute dal neo Commissario con le banche della City di Londra.

Il nuovo Commissario si trova ad affrontare dossier legislativi molto rilevanti che potrebbero ridisegnare la struttura del mercato e dell’industria finanziaria europea, dalla Banking Union alla riforma della struttura dei mercati, alla protezione degli investitori.

Quest’ultimo tema è incardinato nella nuova Direttiva Mifid 2, che modificando la precedente Direttiva in vigore dal novembre 2007, si propone, tra l’altro, l’obiettivo di accrescere la protezione degli investitori mediante un miglioramento della qualità dei servizi finanziari, una maggiore trasparenza ed una più efficace gestione dei conflitti di interesse.

“Un sempre maggior numero di investitori opera nei mercati finanziari e fruisce di un’offerta di servizi e strumenti sempre più ampia e complessa; in considerazione di tali sviluppi è necessario prevedere una più estesa armonizzazione affinché gli investitori possano godere di un elevato livello di protezione in tutta l’Unione.” (Mifid 2 – Considerando 70).

A motivo dell’importanza sempre considerevole delle raccomandazioni personalizzate per i clienti e della crescente complessità di servizi e strumenti da un lato si ribadisce che  la prestazione di consulenza in materia di investimenti è un servizio di investimento soggetto ad autorizzazione e a specifiche norme di comportamento. E dall’altro si intendono rafforzare le regole di condotta  da rispettare al fine di accrescere la tutela degli investitori.

Uno dei punti rilevanti della nuova disciplina in tema di servizio di consulenza finanziaria è la previsione di una specifica modalità di prestazione del servizio che le imprese di investiemento e le banche possono adottare: si tratta della consulenza indipendente le cui caratteristiche principali sono costituite dall’obbligo di prendere in considerazione una gamma sufficientemente ampia e diversificata di strumenti e prodotti finanziari e dal divieto di percepire commissioni (inducements) o altri benefici non monetari da terze parti, in particolare dalle imprese che fabbricano o emettono i prodotti finanziari oggetto della consulenza.

La modalità indipendente di prestazione del servizio di consulenza non viene imposta come obbligatoria per tutti gli operatori (in tal senso la Mifid 2 si discosta dalla ancor più rigorosa disciplina adottata nel Regno Unito denominata Retail and Distribution Review- RDR): gli intermediari potranno scegliere se adottare il modello di consulenza indipendente oppure non indipendente e dovranno comunicarlo con chiarezza alla propria clientela prima di avviare il servizio.

La  nuova Direttiva Mifid2 sta percorrendo la complessa strada legislativa europea. Avviata da una proposta della Commissione nel 2011 è stata approvata dal Parlamento e dal Consiglio nel maggio di quest’anno. Il testo approvato contiene i principi e le norme generali e rinvia ad una nuova Direttiva applicativa (Livello 2) che dovrà essere varata dalla Commissione nei prossimi 18 mesi.

Il compito assegnato alla Commissione di definire le linee applicative della riforma sarà da un lato facilitato dal lavoro che l’Authority europea dei servizi finanziari (ESMA) sta portando a termine e che si completerà entro fine anno con la formalizzazione delle “opinion” sui temi più caldi della riforma. Dall’altro il lavoro di Lord J. Hill si preannuncia invece più complicato  a causa del clima di forte opposizione dagli stakeholder (associazioni di banche e di imprese finanziarie) alle interpretazioni e alle proposte formulate dall’Authority europea. Il documento di consultazione dell’Esma ha infatti ricevuto dagli operatori di mercato circa 250 risposte, per un totale di 17 mila pagine, contenenti in gran parte considerazioni decisamente critiche.

Le aree e i punti di dissenso sono molti. Tuttavia su tutti spicca il tema della legittimità degli incentivi (monetari e non) nella prestazione dei servizi di investimento, in particolare nella consulenza. La Direttiva di Livello 1 dispone il divieto di percepire incentivi se l’intermediario adotta il modello della consulenza indipendente e nella gestione di portafogli. E questo è ormai sancito e fuori discussione, senza se e senza ma.

La discussione piuttosto vivace riguarda invece le condizioni di ammissibilità degli incentivi percepiti nell’ambito del servizio di consulenza non indipendente, come ad esempio la retrocessioni di commissioni da parte di un gestore di fondi alla rete commerciale (banche o promotori finanziari). Si tenga conto che ad oggi l’importo di questo tipologia di remunerazione rappresenta una quota rilevante, e in alcuni casi preponderante, dei ricavi da servizi degli intermediari.

La Direttiva prevede, in linea con la precedente disciplina, che questa tipologia di remunerazione sia ammissibile a due condizioni: che l’intermediario-consulente non sia distolto dall’obbligo di servire al meglio gli interessi del cliente e che possa dimostrare che tale remunerazione viene utilizzata al fine di accrescere la qualità del servizio al cliente.

La specificazione proposa dall’ESMA in merito alle concrete modalità da adottare da parte degli intermediari per verificare la legittimità degli incentivi ha quindi scatenato forti opposizioni e l’accusa di introdurre nei fatti un divieto degli inducements, non solo nella consulenza indipendente e nelle gestioni di patrimoni, ma generalizzato a tutti i servizi di investimento.

Risulta evidente che i rappresentanti degli intermediari e delle banche, in particolare dei paesi dell’Europa meridionale dove è maggiore il ruolo ricoperto dei gruppi bancari nei servizi di investimento, cercano di difendere e mantenere inalterato l’attuale modus operandi dell’industria che è costituito dall’abbinamento della consulenza (fornita gratuitamente) alla distribuzione dei prodotti finanziari propri o di terzi (remunerata da retrocessioni di commissioni dalle case prodotto).

Consigliare al cliente l’investimento in un prodotto finanziario dal quale si riceve una remunerazione espone ad un potenziale o effettivo conflitto di interesse e, quando le cose vanno male, a crisi di fiducia nel sistema finanziario.

Lo sviluppo di un servizio di consulenza su base indipendente, remunerato quindi direttamente dal cliente, in funzione della capacità di generare valore aggiunto  può essere un fattore importante di sviluppo sostenibile del settore finanziario.

Come tutte le riforme anche questa nuova Direttiva, la cui entrata in vigore nei paesi membri è prevista all’inizio del 2017, porterà cambiamenti rilevanti nel rapporto tra intermediari e clienti. Non tutti sapranno adattarsi alle nuove regole e non tutti sapranno cogliere l’opportunità. Tuttavia la maggiore trasparenza e l’assenza di conflitti di interesse porteranno un miglioramento della qualità degli investimenti finanziari della clientela, del clima di fiducia e dell’integrità del mercato finanziario.

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Grazie per aver votato!

Pubblicato da Massimo Scolari

Presidente di Ascosim, in precedenza Membro del Consultative Working Group della European Securities and Markets Authority (ESMA).

Una risposta a “Mifid 2: come possono cambiare i servizi di investimento”

  1. Ciao Massimo,
    benvenuto in questa banda di matti “inclinati”. Articolo molto pertinente e di assoluto interesse.

    Io penso ci siano 2 problemi:
    1) conflitto deriva dalla posizione dominante delle banche sulla gestione dei patrimoni in una sorta di monopsonio di fatto. Sarebbe necessaria una netta separazione fra banca commerciale e servizi di investimento (gestione di patrimoni, prodotti assicurativi e fondi pensione), convergendo verso il modello anglosassone. Invece di banche forti e deboli gestori di servizi di investimento, gioverebbe a tutti un sistema + equilibrato di raccolta vs investimenti finanziari.

    2) Un altro mio dubbio riguarda la traslazione del costo al cliente, che da implicito diventa esplicito: il cliente dovrebbe pagare direttamente un servizio. Il principio è validissimo, ma nella pratica si rischia che la competizione sul costo della consulenza riduca eccessivamente la qualità ritorcendosi su cliente stesso.

    Più facile a dirsi che a farsi.

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