Modello comunitario vs modello intergovernativo

Ispirato da un bell’articolo di Marco Valerio Lo Prete, vorrei condividere con voi una riflessione sulle diverse modalità di gestione delle problematiche europee e delle reazioni che ne scaturiscono.

Esistono due modelli, attualmente, e la loro coesistenza genera confusione: il modello comunitario, in cui le decisioni vengono prese centralmente da una autorità comune (l’esempio classico è la BCE) ed il modello intergovernativo, dove invece i singoli Paesi si consultano e godono, ciascuno, di un diritto di veto che tutela la “sovranità” nazionale (ad esempio nel caso dell’ EUCO).

Chi è avverso al concetto di Unione Europea esprime il proprio dissenso in varie forme: alcuni, ad esempio, chiedono una poco ben definita Unione “dei popoli“, altri vorrebbero il ripristino della sovranità nazionale smontando la moneta unica. Entrambi sembrano avversare la logica di un’unione figlia dell’economia di mercato.

In questa impostazione istintiva dimenticano che l’economia di mercato è ciò che ha segnato un passo decisivo nell’evoluzione della civiltà Umana. L’economia di mercato è, infatti, ciò che ha permesso all’uomo di non vedere più nello straniero, nel forestiero, una possibile minaccia, ma un interlocutore, un possibile partner commerciale, un cliente dove esportare la propria produzione, od un fornitore da cui comprare beni o prodotti non disponibili fra le risorse del proprio territorio. Il confronto e la contaminazione culturale che ne segue è stata la principale benzina dello sviluppo dell’Umanità, ed ha permesso ai popoli che ne hanno saputo fare miglior uso, di accelerare il proprio sviluppo dando loro un vantaggio competitivo essenziale quando si sono trovati a confrontarsi con nuove realtà (pensate al divario di sviluppo in cui si sono trovati i colonizzatori europei ed i nativi americani e di come questo abbia segnato il destino degli uni e degli altri).

[tweetthis]L’economia di mercato è un passaggio decisivo nella storia dell’evoluzione della civiltà Umana[/tweetthis]

Chi vede l’Europa come sede dei vincoli esterni e come minaccia per la sovranità nazionale, spesso dimentica di distinguere i due approcci, o -ancora peggio, quantomeno in termini di coerenza- inneggia agli interventi della BCE come unico segnale di saggezza “europea”.

Da una parte, dunque, rivendicano sovranità, dall’altra certificano che l’unico strumento che funziona è quello che non si cura di mediare tra i singoli governi, ma decide secondo un approccio comunitario, in barba a qualunque sovranità nazionale (ed è infatti l’istituzione che riesce a provocare travasi di bile anche a Berlino).

Aggiungo un interessante, quantomeno dal punto di vista sociologico, spaccato proposto dall’Economist che mostra alcune curiose speciosità di come i popoli europei percepiscono se stessi, i loro partner ed il contesto europeo in generale:
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La dialettica politica che alimenta il dibattito e condiziona l’opinione pubblica ha prodotto un risultato: ovunque in Europa si pensa che il proprio popolo sia il più compassionevole, in pratica si sentono tutti, dalla Grecia alla Germania, passando per la Polonia o l’Inghilterra, “vittime” dell’Europa e questo spiega molto bene quanto il populismo abbia proliferato (o abbia spazio per proliferare): tutti pensano di aver dato più di altri, di essere vittima di qualche carnefice, sia esso inaffidabile o arrogante (e per Greci, Inglesi e Polacchi l’uno e l’altro sono per giunta lo stesso soggetto).

Gli italiani, che gli stereotipi vedono come esterofili, sono gli unici -in effetti- a mettersi all’ultimo posto della credibilità, ma poi -in nutrita compagnia- abbinano la spietatezza all’arroganza, dando per entrambe la palma alla Germania (superando un altro stereotipo: l’arroganza dei cugini Francesi).

Si tratta di una riflessione che va al di là della questione Euro o NoEuro, visto che coinvolge anche Paesi Europei che hanno una loro moneta nazionale.  Si tratta di distinguere che cosa sia lecito aspettarsi che un Paese membro possa ancora decidere di fare o non fare in autonomia dagli altri partner e cosa è lecito attendersi che sia demandato ad un organo comune (anzi, comunitario). Si tratta di prendere atto che la libertà di ogni Paese di autodeterminarsi non può non tenere conto delle esigenze e delle richieste dei suoi partner, quelli con cui ha deciso di convivere, di stringere dei patti, dei compromessi.

Quello che in questi anni di crisi è emerso in modo chiaro è che l’approccio intergovernativo, concepito da Mitterand per tutelare di più le singole sovranità, è anche quello che ha reso più farraginoso, lento e complicato il processo decisionale e di intervento, mentre la velocità della crisi -specie sui mercati finanziari- rendeva paradossali i lunghi meeting tra ministri per decidere su basi condivise le regole per i bail-in, l’unione bancaria, la costituzione dell’EFSF, o dell’ESM. Specie se rapportata alla velocità con cui Mario Draghi poteva permettersi di spegnere la speculazione mondiale con un semplice “whatever it takes“.

Non a caso, difronte alle questioni Ucraine, o al tema immigrazione, si evoca un piano energetico comunitario, una politica estera europea, un esercito dell’Unione, una politica di accoglienza profughi condivisa.

Le strutture europee risultano essere covi di lumaconi incapaci di trovare il bandolo della matassa, mentre Draghi passa per supereroe, l’unico uomo capace di gestire con freddezza ed efficacia una situazione di crisi, di infischiarsene dei veti di Berlino (o di Atene, Lisbona, Roma, Madrid, Parigi…). Il processo intergovernativo, quindi, se da un lato è nato con lo scopo di preservare il ruolo delle singole sovranità, dall’altro si è rivelato un imbuto che ha spinto le sovranità a diventare meno rilevanti, perché sempre più dipendenti dall’organo che invece -ragionando su logiche comunitarie- aveva il margine di manovra per intervenire in maniera diretta ed imperativa.

Da qui si arriva al tema dello svuotamento della democrazia che taluni denunciano. Prendi il caso eclatante della Grecia, con cui molti sono portati a simpatizzare vedendola vittima di un’Europa usuraia: se si fa un confronto tra ciò che Syriza proponeva in campagna elettorale e ciò che lo stesso Syriza ha proposto alle Istituzioni (guai a chiamarli Trojka…) ci si accorge che dele promesse elettorali non è rimasto quasi più nulla.

E’ davvero corretto dire che la democrazia in Grecia è svuotata? Che il diritto di “sbagliare” sia stato cancellato a favore di un commissariamento superiore che determina il destino delle nazioni indipendentemente da chi vinca le elezioni?

Quello che è accaduto ad Alexis Tsipras, una volta al timone, è stato il dover analizzare le opzioni a disposizione. Il suo ruolo di primo ministro gli impone di far prevalere quella con il miglior rapporto costi/benefici. L’indebitamento greco è figlio di una politica assistenzialista (pensioni facili, impiego pubblico oltre ogni logica…) portata avanti per anni e mai modificata per non dilapidare consenso e se oggi c’è l’esigenza di rinnovarlo e di trovare dei sodali che comprino ciò che il mercato non vuole è molto arduo dare la colpa a chicchessia. La Grecia, paese sovrano, desidera continuare a essere un Paese membro dell’eurozona, dove ha dei partner che, per aiutarla a realizzare quello che in primis è il suo desiderio, hanno stanziato aiuti a tassi molto lontani da qualunque forma di usura, mentre la BCE gira al paese ellenico i profitti che ricava dai titoli greci comprati a supporto della Grecia stessa.

Non mi pare così strano che Tsipras cerchi di mantenere questo impianto, specie se l’alternativa per “difendere la democrazia” è quella di gettarsi nelle braccia della Russia di Putin, che gode di simpatie diffuse tra coloro che parlano di sovranità, dimentichi che chi elimina gli oppositori, tacita i giornalisti ed incarcera gli avversari politici può fare tante cose, ma non ergersi a paladino della democrazia.

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Grazie per aver votato!

Pubblicato da L'Alieno Gentile

Precedentemente conosciuto con il nickname Bimbo Alieno, L'Alieno Gentile è un operatore finanziario dal 1998; ha collaborato con diverse banche italiane ed estere. Contributor OCSE nel 2012, oggi è Global Strategist per l'asset management di una banca italiana.

16 Risposte a “Modello comunitario vs modello intergovernativo”

  1. Il Citato Jean Monnet è in effetti considerato uno dei padri fondatori dell’Europa. e sua è la (quantomai pertinente in questo contesto) frase:
    «Non ci sarà mai pace in Europa se gli stati si ricostituiranno su una base di sovranità nazionale…
    [ciò] presuppone che gli stati d’Europa formino una federazione o una entità europea che ne faccia una comune unità economica
    »

    Nonché ideatore della “Dichiarazione Schuman” che venne presentata a Parigi nel 1950 e che diede inizio al processo di creazione delle Comunità Europee, da sviluppare -secondo la dichiarazione- come base concreta per una futura unione federale.

  2. una considerazione veloce su Tsipras, che secondo me sapeva benissimo che non avrebbe potuto mantenere gran parte delle promesse sule quali con nonchalante demagogia ha sviluppato la sua campagna elettorale. Va poi anche ricordato (ma quanto sono noiosa) che se la Grecia non fosse entrata in Europa grazie a dei conti clamorosamente truccati ora i cittadini greci non si troverebbero a dover pagare un prezzo tanto alto per non fallire.
    Già, ma che colpa ne hanno i cittadini? Hanno la responsabilità di avere votato chi promuoveva un sistema di governo assistenzialista e clientelare, pensando che potesse reggere all’infinito.
    Chiusa la parentesi greca, la mia personale impressione è che il problema di fondo è che nessuno degli Stati membri ha mai deciso se vuole far parte di una reale confederazione di Stati, e dunque rinunciare ad una parte di sovranità per aderire a delle scelte comuni: intendo con politiche fiscali comuni e con scelte comuni a livello di politica estera. Allo stato attuale delle cose, e nonostante una Banca Centrale, continueremo a porci gli uni di fronte agli altri con una diffidenza di fondo, ognuno pronto a cercar di difendere gli interessi del proprio Paese “contro” le imposizioni europee.
    Salvo dire, quando fa comodo, “ce lo chiede l’Europa”

  3. Azzarderei una provocazione.

    E se la sovranità fosse a tutti gli effetti morta e sepolta da tempo e non ne restasse che un simulacro ad uso delle formazioni politiche nazionali per produrre consenso?

    Una sostanziale scatola vuota.

    Se il mercato del lavoro è globale, se i capitali si muovono globalmente e velocemente, se l’interdipendenza cresce esponenzialmente, se i flussi di migranti si muovono drammaticamente ben oltre qualsiasi confine, se le materie prime attraversano interi continenti, gasdotti ed oleodotti in primis, se i trattati commerciali interessano interi continenti, se le banche sono sempre più grandi (vedi manovre fra BP e BPM) se il terrorismo stesso ed il crimine si muovono a scala planetaria, come le problematiche ambientali, cos’è oggi la sovranità nazionale fattivamente?

    Uno zombie che ci procura multe per le quote latte?

    Non sarà che Galbraith, Varoufakis e compagnia hanno ben chiaro il concetto che o si potenziano reti e interrelazioni ben al di là dei confini della sovranità nazionale o si è condannati a rapidissimo ed inevitabile deragliamento ed a svendita di asset strategici?

    Non sarà che le sirene della sovranità servono solo a far dei territori che si proclamano sovrani, territori di facilissima conquista finanziaria e politica?

    Pensate solo alle dinamiche demografiche nella UE ed Italia in particolare, fate un confronto con quelle Asiatiche e di fronte alla sovranità nazionale tricolore degli ex Padani potrebbe anche scapparvi una risata…..E ridere fa bene alla salute.

  4. Eccolo qua il solito Sakura, rivoluzionario e dissacrante, che nel bel mezzo del corteo celebrativo se ne esce con un “ehi, ma il re e’ nudo!”
    E’ che i re sono davvero nudi, con ogni probabilità , ma non ne sono consapevoli, tant’è che ognuno va “a trattare con l’Europa”. Vale anche per la Germania, che forte della sua stabilità politica ed economica detiene il comando. L’Europa nel sentire comune non esiste. Esiste ancora il mercato comune europeo: mercato, non comunità.
    Ciao, rivoluzionario Sakura.
    Chiuderei con un Rock the Casbah, per continuare con la provocazione.

  5. Fansonia forse più che non esserne consapevoli i governanti non ne sono consapevoli i cittadini…..ed i governanti li accontentano, come quando i bimbi vogliono un altro cartone e mamma e papà hanno le pile scariche: lo concedono.

    La creazione del consenso passa da bubbole cosmiche condite in tutte le salse, da Mussolini con il suo impero di cartapesta che tanto impressionò Goebbels, al delirio Berlusconiano per cui anche il maltempo è un complotto attribuibile ai comunisti, fino alla “volta buona” Renziana.

    Sono solo figure retoriche, che il potente fabbrica in laboratorio per ammansire e irretire. La sovranità è appunto una di queste favole marziane.

    https://www.youtube.com/watch?v=hJsNo0OZTUg

    Il mito autarchico.
    Non vi scappa da ridere?

  6. Sicuramente chi governa mira a creare del consenso attraverso un utilizzo modulato della demagogia, ma credo che vi sia anche la convinzione di poter contare qualcosa in un contesto più ampio del proprio Paese. E se fossero invece figure retoriche fabbricate ad arte da un potente sarebbe davvero preoccupante.

  7. Alieno, quasi tutto abbastanza saggio e ragionevole, lo avrei trovato più corretto però non aver omesso la questione “del colonialismo” nei suoi risvolti negativi di sopruso e schiavitù, oltre alla sola visione irreale (irreale perchè non l’unica) che lascia intendere il solo intento “collaborativo” e che sia stato anche quello un “non vedere più nello straniero, nel forestiero, una possibile minaccia, ma un interlocutore, un possibile partner commerciale, un cliente dove esportare la propria produzione, od un fornitore da cui comprare beni o prodotti non disponibili fra le risorse del proprio territorio”, talmente palese l’omissione da essere quasi imbarazzante, dato che sta sui libri di storia.

    Poi un’altra stortura riguarda una mancata considerazione, e cioè che bisognerebbe distinguere tra i disonesti che votano “ammaliati dall’assistenzialismo” e chi e’ oppresso ed emarginato dalla società, che spera soltanto di respirare un pò di più, oltre al fatto che sono giuste le condizioni agli aiuti, si subiscono ma anche impongono essendo tutti parte di una unione da completare, ma e’ sbagliato scaricarne la gestione con carta bianca agli stessi amministratori che le hanno causate, dato che puntualmente, spesso succede che al posto di riforme positive (Ripristino dei numerosi scalini della tax progressiva, moderate patrimoniali, lotta evasione, concorrenza e non clientelismo/ assistenzialismo ecc. ) si scarica il peso sulle parti più fragili della società, tagliando scuola, sanità, servizi pubblici e Welfare, deprimendo ancora di più la società e alimentando i pericolosi populismi autoritari ingannevoli

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