Invito a cena per un vecchio amico

patuelli

E’ sempre un grande piacere per me avere vecchi amici a cena. A tavola possono nascere le conversazioni più interessanti. Talvolta ci sono però discorsi e dichiarazioni che hanno il potere di avvilirmi, e spesso a produrre questo effetto sono quelli di presidenti di Autorità (ne abbiamo avuto un recente esempio, viva Los Vegas!) e presidenti di banca. Non deve quindi sorprendere che le dichiarazioni di Antonio Patuelli, presidente della Associazione Bancaria Italiana, abbiano un posto di onore in questa triste classifica.

L’occasione è una lettera pubblicata sul Sole di venerdì 12 maggio: il titolo è già un programma

I tanti luoghi comuni sulle banche

Riassumendo il discorso che il presidentissimo fa è il seguente: basta sparare sulle banche!, hanno fatto i compiti a casa: hanno ridotto gli NPL; hanno ridotto drasticamente il numero delle filiali incidendo sul tragico rapporto cost/income; anche sviluppando le nuove tecnologie; prosegue la campagna di concentrazioni e fusioni tanto che i coefficienti di capitale sono raddoppiati; i rapporti con i sindacati in questo pur difficile momento sono buoni e costruttivi (ma ci parla con Lodesani, che di queste relazioni sindacali ne è responsabile?); la loro governance è profondamente cambiata e le banche si sono aperte al capitale di terzi investitori anche stranieri divenendo public companies.

Peccato – conclude – per questa abnorme produzione normativa di requisiti di capitale, liquidità, macroprudenziali e simili, che affaticano le banche e non permettono loro di dare credito alla economia reale (curioso: giusto a inizio articolo aveva detto che i prestiti sono stratosfericamente aumentati superando addirittura di 87 miliardi la raccolta nello stesso periodo analizzato).

Sono parole che sentiamo da anni, e hanno quel fastidioso gusto di deja-vu che periodicamente viene ribaltato dalla ennesima crisi bancaria, generata dalle stesse o analoghe cause di quelle citate come risolte magistralmente dal Sistema.
Quel che mi avvilisce è ciò che non viene detto, anzi gelosamente taciuto.
Lo stock di NPL diminuisce? Al netto o al lordo delle cessioni e cartolarizzazioni? Sapete, non è che se escono dai bilanci bancari significa che sofferenze ed inadempienze probabili (i vecchi ‘incagli’) spariscano anche dalla economia produttiva.

Il tasso di ingresso a credito deteriorato sta diminuendo? Sappiamo che questo è un parametro chiave perché l’offerta di credito bancario riprenda, molto più importante dello stock nominale , e quindi questa sembra una buona notizia.

Peccato che le cronache sembrano smentire tali affermazioni generose.

Carige non sta rivelandosi un opificio di credito malato giusto alle porte dell’aumento di capitale? E i tassi di ingresso delle due ex popolari venete stanno mostrando alcun accenno a rallentare? E le 4 good banks di “etrusca” memoria non sono state cedute per la mirabilante cifra di un euro tutte insieme da quanto nuovo deteriorato stavano producendo? E le BCC, che abbiamo recentemente asfaltato quanto a capacità di selezione del credito?

Continuiamo? O siamo già sufficientemente avviliti e disillusi?

Le filiali chiudono, e qui Patuelli ha ragione. Che chiudano e i costi diminuiscano resta però da dimostrare. Parliamo del Fondo solidarietà esuberi? Abbiamo contato anche quei costi (che non sono pochi se ogni esodato costa 60mila euro all’anno secondo stime del sindacato FABI)?
Ma penso proprio che torneremo a parlarne e dettaglieremo la prossima apocalisse che si sta preparando. Negli ultimi dieci anni oltre 40mila bancari sono stati esodati a spese del Fondo privatistico alimentato dalle banche e dai colleghi rimasti in ufficio.[sociallocker].[/sociallocker]

Patuelli fa riferimento alla ‘innovazione tecnologica’ quale propellente del ridotto cost/income: ma di quale innovazione sta cianciando?

La massima innovazione che si vede è l’internet banking e le carte che stanno giocoforza prendendo piede, ma la vera innovazione, quella targata fintech, è ancora in stato embrionale di sviluppo e ricerca in alcune banche, come un mesetto fa ha mostrato una inchiesta dell’inserto Nòva del Sole24Ore.
La mia impressione è che l’automazione dei processi aziendali e nei comportamenti della clientela dipenda prevalentemente dal fatale ricambio generazionale piuttosto che dalla volontà dei vertici creditizi.

[tweetthis]Il Banchiere Cannibale organizza una cena con Patuelli…[/tweetthis]

E arriviamo al discorso sulla governance: è curioso pensare che per Patuelli la riforma delle popolari e delle Bcc sia avvenuta col loro assenso e placet, senza tentativi di ostacolarla o snaturarla. Curioso veramente. Beh! Meglio così se ci siamo sbagliati, no?

Anche parlando di SpA, siamo sicuri che l’apertura e la diffusione a capitali terzi, che hanno reso alcuni dei nostri campioni nazionali delle public companies (Alleluia!!!), sia stata una scelta cercata e desiderata?
Forse che per Unicredit non si è trattato di una imposizione dovuta alla necessaria ricapitalizzazione monstre, conseguenza di passate gestioni sbagliate, eccessiva per i soci storici?

E poi, l’attuale peso massimo italiano, Intesa SanPaolo, non è ancora de facto governata dalle fondazioni?
E i notabiliati e le cricche di potere politico-finanziario non siedono ancora nelle due holding cooperative in via di costituzione?
Eppure non è di tanto tempo fa l’inchiesta che ha colpito Bazoli per il ruolo avuto nelle vicende di UBI, da cui sono emersi due “soci occulti”, il polo bresciano guidato dal presidente onorario di Intesa, e quello bergamasco guidato da E.Zanetti, che avrebbero stipulato (sosteneva la procura) un patto di sindacato occulto senza portarlo a conoscenza della Consob.

Concentrazioni di potere si avvertono ancora in Carige, PopBari, Bper, istituti di medie dimensioni, senza dimenticare MPS, Popolare Vicenza e Veneto Banca, partecipate prossimamente dallo Stato in via prevalente per assenza di sottoscrittori?

Ecco, è in questo concetto di ‘fuga degli investitori’ che sta il punto centrale: non sono i soldi a mancare, bensì difetta la volontà di investire in una attività poco redditizia e rischiosa quale è oggi una banca italiana.

Assimilata questa idea, viene da sé che l’auspicio di Patuelli di ridurre la normativa sul capitale risulta essere un controsenso. Che sia auspicabile un Testo Unico in materia è giusto, ma sono pronto a scommettere che Patuelli& Co. desiderino in realtà requisiti inferiori, deroghe più larghe, tempi di attuazione più lunghi.
I motivi addotti da costoro li conoscete già): per loro più capitale significa disponibilità ‘dormienti’ neppure fossero messe in un cassetto, e quindi non prestate alla economia reale.
Sono stronzate.

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Più capitale significa più liquidità e potenzialmente più impieghi….se c’è la volontà di concederli!

Ho sentito dotte spiegazioni della posizione di ABI, e dell’Institute for International Finance, una lobby mondiale del credito, che fanno leva sul famoso teorema di finanza aziendale dei nobel Modigliani e Miller. Secondo tale teorema non è necessariamente preferibile una azienda capitalizzata rispetto ad una indebitata, anzi la seconda garantisce una redditività (ROE) più alta a parità di fatturato e utile.

Qui la confusione nelle teste di questi presidentissimi è massima: la confusione consiste nel dimenticare il rischio, perché più alto è il debito e maggiore è il rischio in quanto basta una percentuale inferiore di svalutazioni per erodere il capitale di una banca meno patrimonializzata. Per questo il ROE delle banche indebitate deve essere maggiore: il rischio va remunerato, ma per farlo bisogna intraprendere operazioni meno sicure.

Quando Patuelli attacca i requisiti MREL e TLAC dice in breve che ad una banca sistemica e globale e di dimensioni rilevanti, non va chiesto di essere più responsabile e patrimonializzata per ridurre il rischio di contagi mondiali: gestitevi pure come un credito cooperativo locale.

Quando critica i requisiti MREL dice che è assurdo che una banca predisponga strumenti, oltre al capitale, in misura sufficiente per gestire ordinatamente un eventuale crisi che azzeri capitale. Certo, vi diranno che nel MREL ci sono i subordinati, venduti ai poveri risparmiatori italiani.

Ma chi cazzo ha venduto titoli rischiosi ai nonni, presidente?!?!

È irritante che ABI e Consob sbraitino contro la retroattività della BRRD (bailin), cosa peraltro nota da sempre, dato che loro per primi non hanno vigilato sulla corretta vendita di questi strumenti rischiosi. Eppure la normativa MiFID, che doveva salvaguardare i risparmiatori non esperti e non propensi al rischio, esiste dal 2004. Villaneggiata e adulterata come i 58mila profili falsificati dai bancari della vicentina.

Ma l’importante è smetterla con i luoghi comuni..

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Pubblicato da Banchiere Cannibale

Mi piace avere vecchi amici a cena... Perché sotto la più bella ruota di pavone si cela sempre un culo di pollo.

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