Non cascate nella rete di Piketty: ha torto

Spero che questo mio post passi inosservato per evitare le critiche non solo dai lettori ma anche dagli amici del blog. Tuttavia sento il dovere di esprimere le mie opinioni per quanto impopolari su un argomento ormai talmente di moda da far nominare Piketty fra i 30 migliori economisti nascenti al mondo. Tutti ormai parlano della crescita diseguale e della distribuzione ineguale della ricchezza, con la conseguente necessità di un intervento à la Robin Hood.

La vulgata si può riassumere in questo modo: le diseguaglienze sono ormai talmente inaccettabili che bisogna riconoscere almeno due elementi:

  1. I meccanismi di aggiustamento automatico non hanno funzionato o al massimo sono stati insufficenti.
  2. Necessario intervenire per modificare l’andamento degli ultimi anni

Su entrambi i punti, in linea di principio, non si può che essere d’accordo: durante gli ultimi due decenni le diseguaglianze su reddito e ricchezza sono aumentate. A questo punto, ogni negazionismo su tale andamento non fa altro che aumentare gli estremismi e le tensioni sociali. E allora perché Piketty ha torto?

Sul modello di riferimento, i Proff Hamilton e Solow et al. evidenziano il punto debole di Piketty (Su econbrowser; su newrepublic; su gregmankiv; ed in questo paper Yale), i quali smontano l’apparato teorico su cui fonda le sue conclusioni: poiché il rendimento del capitale (che P. usa intendendo “ricchezza”) è superiore al tasso di crescita dell’economia, ne consegue che l’accumulazione della ricchezza domina la creazione di nuovo reddito, causando instabilità. Ma su questo non vado oltre.

La mia riflessione invece si concentra sulla definizione funzionale del concetto di uguaglianza e disuguaglianza della distribuzione di reddito e ricchezza. Utilizzare una curva di distribuzione del reddito in funzione delle classi di reddito (curva di Lorenz e rappresentazioni varie, da cui si calcola l’indice del Gini), si porta dietro un errore concettuale di fondo: la definizione di un parametro di riferimento, un benchmark, che rappresenta la curva sociale “giusta” in termini assoluti. Ogni indicatore considera come ideale la diagonale del quadrato che rappresenta redditi e classi di individui.

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Nessun riferimento ai fattori macro e microeconomici che determinano la ricchezza; nulla riguardo alle determinanti del livello di reddito procapite che in ultima analisi consente l’accumulazione della ricchezza. Di fatto si parla di reddito e ricchezza ignorando il concetto di benessere economico. In altre parole, un indicatore di diseguaglienze appropriato non dovrebbe misurare la differenza dallo stato di totale uguaglianza fra individui, ma la distanza dalla curva osservata e la curva ideale in presenza di uguaglianza di opportunità.

In Piketty, il meccanismo autocorrettivo non funziona perché in alcun caso il percettore di reddito potrà godere del rendimento superiore del capitale per cui, senza intervento esterno, la diseguaglianza è destinata ad aumentare. Qual è la probabilità per un “saver” di diventare un “rentier”? vale a dire, a prescindere dallo sforzo negli studi, dalle doti naturali ed acquisite, investimenti e volontà, esistono o meno le condizioni perché ogni individuo possa accedere ad una classe sociale superiore rispetto a quella di provenienza? Quindi un indicatore sintetico della disuguaglianza dovrebbe rappresentare esclusivamente le resistenze, le frizioni che impediscono eguali opportunità (fattore oggettivo). Tutti gli altri fattori sono ascrivibili alle scelte individuali nell’accedere a quelle opportunità lungo l’arco della vita di un individuo (fattore soggettivo). Ogni analisi che non distingue la componente oggettiva da quella soggettiva è destinata a restare incompleta nella descrizione e fuorviante nelle prescrizioni. Piketty non solo non mostra la differenza, ma non se ne cura nemmeno.

La seconda critica riguarda il concetto di uguaglianza da parte dei governi: Piketty suggerisce di intervenire per correggere un meccanismo destabilizzante dell’economia capitalistica che ha prodotto le diseguaglienze, attraverso una perequazione diretta sulla ricchezza da parte dei governi. Suggerisce in pratica un intervento correttivo governativo, introducendo un target sul modo in cui si distribuisce la ricchezza. Ecco il primo problema: un governo, per quanto ispirato e lungimirante, sarebbe in grado di decidere ex-ante una curva target di distribuzione della ricchezza? in base a quali parametri? un governo esprime la propria preferenza attraverso un’ideologia politica (spesso non trasparente) riguardante la progressività/mix della tassazione sui redditi e sui consumi, all’intensità della tassazione sui beni, la percentuale e l’uso della spesa pubblica. Il secondo problema riguarda la reazione di tutti gli individui in caso di intervento perequativo, per esempio, sul 10% più ricco. Nell’aspettativa di reiterazione di tale politica, quale incentivo avrebbe il 10% più povero nel usufruire dell’opportunità di muoversi verso una classe economica superiore caratterizzata di un migliore benessere sociale? Nessuna!

In conclusione, il problema della diseguaglianza non è da ascrivere all’ipotesi di instabilità dei sistemi capitalistici, ma probabilmente dalla scarsissima attenzione dedicata alle politiche pubbliche di incentivo per promuovere le opportunità individuali di migrare classe sociale. A fronte del solito specchietto per le allodole e la caccia all’immeritata ricchezza dell’1% di popolazione, si fa poco (e si spende meno) per incentivare, incoraggiare ogni individuo nell’intraprendere un sentiero di miglioramento delle condizioni di vita attraverso la scommessa su se stesso. In Italia ormai l’attesa e, tristemente, l’aspirazione di molti giovani rimane l’assunzione a tempo indeterminato nel settore pubblico, nessuno ha mostrato loro una strada diversa. La curva di Lorenz è a somma zero per definizione. Scalarla però non solo non vuol dire togliere ad altri: significa migliorare tutti.

Spero questo mio contributo possa essere utile al dibattito promosso da Piano Inclinato su Piketty che si terrà al Macchianera Italian Awards. Partecipate anche voi e votateci come miglior sito di economia.

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Grazie per aver votato!

Pubblicato da liukzilla

Wealth/Asset manager. Ha sposato la causa dei bond ed è ossessionato dalle banche centrali.

6 Risposte a “Non cascate nella rete di Piketty: ha torto”

  1. Pensare che Piketty abbia scoperto la pietra filosofale è sicuramente eccessivo. Però ha dato spunto a degli inrteressanti spunti di discussione come questo.
    Io credo che nel lavoro di TP ci siano molte inesattezze e molte teorie discutibili, ma è altrettanto vero che ha effettuato un lavoro di raccolta dati veramente mostruoso e degno di nota.
    Proprio recentemente, e Liuk tu lo sai bene, mi sembra, è uscito proprio un interessante lavoro su Bruegere sul ruolo dell’istruzione. Ecco, questo elemento è assolutamente fondamentale per poter generare diseguaglianza (la storia lo insegna, vedi il caso degli ebrei ad esempio)… La cosa gravissima è che in Italia….
    :-(((
    http://www.bruegel.org/nc/blog/detail/article/1430-why-does-italy-not-grow/

    1. Grazie del commento Danilo.
      I grafici di oggi di @thmanfredi sull’istruzione descrivono perfettamente il problema, che io ho solo velocemente menzionato nell’articolo. L’articolo di Bruegel sull’italia mostra il deficit di investimento in R&D e il gap di education causa non solo del declino ma anche delle difficoltà per il “saver” di accumulare ricchezza. Altro che “r>g”…
      Piketty ha fatto un gran lavoro di collezione di dati. Tuttavia, forzando alcune conclusioni teoriche ha trovato delle prescrizioni di politica economica totalmente inadeguate al problema delle iniquità sociali e concentrazione della ricchezza.

      1. Credo ci sia un passaggio importante nel post, quando si accenna al rischio di una società che intende l’uguaglianza come livellamento: parli della mancanza di incentivo per chi è “in basso” nella ricerca di andare “in alto”. Paritariamente in una società con regole livellanti manca l’incentivo a cercare di stare “in alto”, il rischio di impresa deve poter rendere in caso di successo più dell’impiego del lavoro. Ed in effetti Piketty si è concentrato più sulle distorsioni che derivano dal maggior profitto del capitale rispetto a quello del lavoro, non ai diseguali profitti che derivano da differenti lavori.
        In ogni caso concordo con Danilo: spunti di riflessioni aperti, per ridiscutere il sistema, per poi magari decidere che non c’è niente da cambiare (è un’iperbole, mi raccomando)

        1. Infatti il dibattito, per esempio in USA, si è spostato sulle ricchezze familiari e sulle distorsioni derivanti dalle influenze politiche delle ricchezze familiari (vedi Krugman vs Mankiw) o quell’1% di popolazione. E nel frattempo si sono scordati del restante 99%, quelli che nascono e muoiono nella stessa riga in cui Piketty li ha classificati.

  2. Ciao Liuk bentrovato!!
    non ho capito una cosa: qual è il benchmark che rappresenta la curva sociale “giusta” in termini assoluti?

    A già un’altra cosa: non pensi che “un indicatore sintetico della disuguaglianza dovrebbe rappresentare esclusivamente le resistenze, le frizioni che impediscono eguali opportunità (fattore oggettivo)” sufficientemente buono sia appunto… il reddito?

    1. Ciao, ho la sensazione di conoscerti nonostante quel “hogo de paganis” 😉
      La mia risposta collega le tue domande e difatto nell’articolo lascio indere proprio questo: se con gli attuali indicatori, l’ideale rappresenta eguaglianza assoluta, immagino che la curva benckmark debba rappresentare uguali opportunità per ogni classe di reddito che al mom rappresenta largo circa una classe sociale (chiedo venia per l’eccessiva semplificazione).
      Il questo caso difatti la curva bmk dovrebbe essere oggettiva, in modo da poter distinguere fra le frizioni che impediscono eguali opportunità e i fattori soggettivi che portano alla distribuzione osservata. Il risultato, arricchito da un livello superiore di qualità rispetto ad un singolo numerello, dovrebbe consentire una calibrazione notevole delle decisioni di policy.
      Sul reddito ti direi di no poichè è la combinazione di fattori oggettivi e soggettivi. Soggettivo perchè dipende fortemente da scelte individuale indipendenti dal contesto. Su questo possiamo discutere sul “quanto”, ma non sul “se”. In definitiva la scelta di cambiare classe sociale e quindi di reddito non dipende solo da impedimenti esterni, ma anche (e a volte soprattutto) dalle scelte individuali a volte anche inconsapevoli.
      Un esempio: quanti pensano che perdere un anno al college (o all’università) sia cosa da poco. Un recente articolo della Fed mostra quanto sia costoso tale comportamento (http://libertystreeteconomics.newyorkfed.org/2014/09/staying-in-college-longer-than-four-years-costs-more-than-you-might-think.html#.VBBZAfmSyT8). Ma questo è solo un esempio.

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