Pian Piano: fight the power!

C’è una rabbia che viene da secoli di sofferenze. La segregazione della gente di colore negli USA, il male del white power, armato, violento e xenofobo, l’orrore della polizia che spara senza tanti complimenti a ragazzi della comunità afroamericana, la CIA che fa fuori Malcolm X, Muhammad Ali (R.I.P.)  scippato del titolo di campione del mondo per il suo rifiuto di far da carne da macello in Vietnam…..Da lontano arriva un dolore ancestrale e autentico, non la logorrea artefatta e tutta italica degli intellettuali in preda alla lotta continua ed al diritto d’asilo a Parigi e dintorni. Qui abbiamo il desiderio di combattere, di chiudere i pugni e farsi pantera nera, milizia a difesa della comunità e proprio qui si rinnova la spinta a contrapporsi al male, ad essere baluardo, combattere l’ingiustizia e aprire uno spiraglio alla felicità. I Public Enemy incarnano la rabbia nera negli USA dagli anni 80 in poi, rifacendosi a quegli eroi che negli anni 60 e 70 hanno simbolicamente dato inizio ad una battaglia per i diritti degli afroamericani in un paese razzista e poco incline all’integrazione. Il crescere dell’idea di un new world order alla fine degli anni 80, la guerra in Afghanistan prima e in Iraq poi sono il nuovo Vietnam che si profila all’orizzonte. Public Enemy è la furia contro lo sguardo sinistro dei tre amigos, ed a quel disegno i nostri eroi si oppongono utilizzando quel che hanno: rime, dj e vinili.

Spike Lee, da sempre attento a costruire un discorso culturale intorno alla black culture vuole i loro brani all’interno di suoi famosi film e nasce quella sinergia fra musica e suoni che darà frutti notevoli negli anni 90. Public Enemy arrivano però anche nel cuore della nostra contemporaneità di cui colgono la melassa mediatica, una melassa in cui si annienta la contrapposizione fra bene e male e la stessa verità imputridisce, invece di splendere come un diamante ed il male si infiltra come un fluido infetto là dove non lo aspettavi. Truth decay, niente più battaglie campali, non Rosa Parks o Martin Luther King, ma solo ghetti e spaccio, spaccio e ghetti, HIV, sparatorie e cadaveri sull’asfalto. Non sono più gli anni degli speech e delle famose interviste di Ali, dei pugni chiusi alle olimpiadi, delle folle oceaniche radunate per chiedere giustizia. Ora al tramonto dell’era del primo Presidente nero, l’Islam da cultura del riscatto così come è stato interpretato dalle icone nere degli anni 60 si è trasformato in fraintesa voce del terrore. Simmetricamente i Donald Trump di turno e ad ogni latitudine blaterano chiusure, muri ed esclusioni che parevano definitivamente debellate. Welcome to the terrordrome.

Gli speech di Chuck D sono ormai veri e propri anthem, icone che infiammano anche le piste da ballo. Ne sa qualcosa il più importante dj Italiano, alias Benny Benassi che qui remixa Bring the noise in un hit da dancefloor. La musica ha un sapore aggressivo e ossessivo al contempo, pulsante di suoni metallici, ma senza autentica carica ribelle, senza sangue e sudore. E’ a tutti gli effetti musica frutto di un’epoca in cui la politica evapora fra uno scuotersi di corpi disorientati e storditi[sociallocker id=11719].[/sociallocker]
Allora cosa resta in questa inesorabile truth decay, in questo disfacimento del bene nel male e del male nel bene? Resta l’umanità nel suo farsi quotidiano, l’everything delle nostre giornate, il blues di un esistere che non si è ancora stancato di esprimere e cercare affannosamente dignità e speranza.

 

Arriverà questa rivoluzione, politica o interiore se preferite, che si prenda appunto everything? Una rivoluzione capace nuovamente di separare le acque sporche da quelle buone per dissetare?

Gil Scott Heron è il nostro poeta di oggi, sicuramente uno dei padri che hanno ispirato anche i Public Enemy. Il testo ha quasi 50 anni eppure suona ancora bene alle nostre orecchie stanche ed intasate da un cerume di merci che sempre meno possiamo permetterci e sempre meno desideriamo.

La rivoluzione non sarà teletrasmessa

Non potrai startene a casa, fratello
Non potrai né collegarti, eccitarti o squagliartela
Non potrai perder tempo a farti pere o fare un salto
A farti una birretta quando arriva la pubblicità
Perché la rivoluzione non sarà teletrasmessa
La rivoluzione non la teletrasmetteranno
Non sarà certo Xerox a offrirtela
In quattro parti senza interruzioni pubblicitarie
La rivoluzione non ti mostrerà immagini di Nixon
Che suona la tromba alla testa della carica
Di John Mitchell, del generale Abrams di Spiro Agnew che vanno a mangiare
La trippa di maiale confiscata a un santuario di Harlem
La rivoluzione non la faranno vedere alla televisione
La rivoluzione non ti sarà offerta dal
Teatro Schaefer Award e non avrà come protagonista
Le star Natalie Woods e Steve McQueen o Bullwinkle e Julia
La rivoluzione non renderà sexy la tua bocca
La rivoluzione non ti libererà dai difetti
La rivoluzione non ti farà sembrare cinque chili
Più magro, perché la rivoluzione non la trasmetteranno in TV, fratello
Non ci saranno immagini tue e del campione di baseball Willie Mays
Che spingete il carrello per strada a raccogliere le anime dei morti
O che cercate di fregarvi quella TV a colori caricandola su un’ambulanza rubata
La NBC non sarà in grado di fare previsioni alle 8,32
O a trasmettere servizi da 29 distretti
La rivoluzione non la teletrasmetteranno
Non ci saranno immagini di sbirri che sparano
Contro i fratelli con il re-play istantaneo
Non ci saranno immagini di sbirri che sparano
Contro i fratelli con il re-play istantaneo
Non ci saranno immagini di Whitney Young
Mentre lo inseguono e lo cacciano da Harlem
Su un treno con un procedimento dell’ultima ora
Non ci saranno immagini ferme o al rallentatore
Di Roy Wilkins che passeggia per Watts in quell’abito
Di liberazione rosso, nero e verde che teneva
Da parte proprio per l’occasione giusta
I telefilm Green Acres, The Beverly Hillbillies e Hooterville
Junction non saranno più tanto dannatamente rilevanti, e
Alle donne non importerà se alla fine Dick seduce
Jane nella telenovela Search for Tomorrow perché i neri
Saranno nelle strade a cercare un futuro migliore
La rivoluzione non la faranno vedere in televisione
Non ci saranno servizi speciali al telegiornale delle 23
Ne immagini di femministe dalle ascelle pelose
O di Jackie Onassis che si soffia il naso
La sigla non sarà scritta da Jim Webb,
Francis Scott Key, e a cantarla non sarà Glen Campbell, Tom
Jones, Johnny Cash Englebert Humperdink o Rare Earth
La rivoluzione non te la teletrasmettono
La rivoluzione non ritorna dopo una breve interruzione
Per la pubblicità del tornado bianco, del lampo bianco o della gente bianca
Non dovrete stare a preoccuparvi per colombe nella
Camera da letto, tigri nel motore, o giganti nella tazza.
La rivoluzione non va meglio con la Coca cola
La rivoluzione non combatte i germi che provocano l’alito cattivo
La rivoluzione vi metterà al posto di guida
La rivoluzione non la daranno alla televisione, non la daranno alla televisione,
Non la daranno alla televisione, non la daranno alla televisione
La rivoluzione non sarà una replica, fratelli

La rivoluzione sarà in diretta

Gil Scott-Heron

 

 

 

 

 

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Pubblicato da Mr Pian Piano

king for a day, fool for a lifetime

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