Pian Piano: la felicità si può comprare?

Oggi un Pian Piano leggero e primaverile, fuori c’è il sole, i campi soffocano di margherite ed anche il nostro Direttore si è lasciato andare a domande esistenziali e l’ha fatto sguaiatamente qui.
Noi di Pian Piano abbiamo apprezzato la solita abilità del nostro capobanda, che ha saputo evitare glucosio e derivati, battendo un paletto: un ingrediente della felicità è la capacità di condividere esperienze.
Con tutti questi fiori, pollini, api, farfalle e coccinelle non ci chiudiamo in salotto nemmeno noi e andiamo alla ricerca di assonanze e dissonanze sul tema passeggiando fra vigne e colline. Ci vengono incontro spuntando proprio da un vigneto i quattro di Liverpool, ovvero i Beatles, che declinano a modo loro la questione, con una ricetta opportunamente ambigua. Ognuno interpreti il testo come meglio gli o le aggrada…..Magari evitate di sparare al vicino per vedere se funziona, di questi tempi pare una raccomandazione opportuna. Personalmente propenderei per altre interpretazioni….

https://www.youtube.com/watch?v=zAK_Qttgp2U

Incrociamo sulla carraia che sale alla collina la simpatica Mrs Goldfrapp con le sue gambe da giraffa ed i dolcissimi occhi azzurri. Ci regala una parodia dello zucchero filato con un umano ridotto a canguro dalla foia gioiosa dell’esser felice. Ritroviamo qui un ambito parodistico dell’hit planetario di Pharrell Williams. Il finale con l’anziano paralitico spinto a fatica da un’altrettanto anziana signora, richiama bene quell’idea di impermanenza che caratterizza le gioie (ed i dolori) terreni.

Infine vi propongo per gioco di precipitare in un girone hippie, salire sulla macchina del tempo, innestare la retromarcia e ritrovare quella stagione fra la fine dei 60 ed i primi anni 70, che diede adito a molte speranze per un mondo completamente diverso, basato su comunanza e pacifismo, e più in generale edificato intorno all’idea di un sogno d’amore cosmico poi dissolto. Era il momento di chiedere e chiedere senza comprimessi. Nothing less than happiness, sembra proprio fare al caso nostro e siamo in compagnia di Sly and the family stone.

Andiamo al solito alla ricerca di un poeta che si faccia oggi cantore della felicità e dei territori limitrofi, che con gran difficoltà tentano di circoscriverne il Regno. Oggi diamoci in pasto ad una poetessa e la voglio Americana, per continuare la vecchia polemica con chi vede negli USA la sorgente di tutti i mali, compresi i reumatismi. Emily Dickinson si mostra improvvisamente. Dice che tornerà indietro dopo la passeggiata in campagna e penserà lei stessa a chiudere la porta del nostro salotto. La ringrazio, accenno un inchino e le porgo la chiave con gentilezza.

Io so guadare il Dolore –
Interi Stagni di Dolore –
Ci sono abituata –
Ma il minimo impulso di Gioia
Disorienta i miei passi –
E barcollo – ubriaca –
Non rida – il Ciottolo –
Era un Liquore Nuovo –
Tutto qui!

La forza è solo Pena –
Imbrigliata, dalla Disciplina,
Finché i Fardelli – saranno sospesi –
Date Balsami – ai Giganti –
E avvizziranno, come Uomini –
Dategli l’Himalaya –
Lo sorreggeranno

 

Emily Dickinson

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Pubblicato da Mr Pian Piano

king for a day, fool for a lifetime

3 Risposte a “Pian Piano: la felicità si può comprare?”

  1. non so da quale vigna siano usciti i quattro di Liverpool, ma di certo non è quella davanti a casa mia: che anche stamattina è lì, inondata di sole e di foglioline verdi e di margheritine e tarassaco e non-ti-scordar-di-me (te ne prego, ricorda anche solo un gesto o una parola) – e già questo basta a farmi sentire qualcosa di molto vicino alla felicità.
    Dunque lascio la poltroncina rossa, apro la finestra e salto fuori, a sentire il tepore del sole e i profumi portati dalla brezza primaverile. Questa sensazione di appagamento non è molto ragionevole, ed è così superficialmente fisica, ma siamo mammiferi, soggetti a meccanismi automatici: gli stessi che spingono gatti e cavalli (le due specie che conosco meglio) a rotolarsi in terra beandosi del calore del sole.
    Scrive nei suoi Diari Sylvia Plath , poetessa nata a Boston che morì suicida nel 1963 a 30 anni:
    “Forse non sarò mai felice, ma stasera sono contenta. Mi basta la casa vuota, un caldo, vago senso di stanchezza fisica per aver lavorato tutto il giorno al sole a piantare fragole rampicanti, un bicchiere di latte freddo zuccherato, una ciotola di mirtilli affogati nella panna. Ora capisco come la gente possa vivere senza leggere, senza studiare. Quando uno è così stanco, alla fine della giornata ha bisogno di dormire e il mattino dopo, all’alba, lo aspettano altre fragole da piantare, e così si va avanti a vivere, vicino alla terra. In momenti come questi sarei una stupida a chiedere di più…”.
    Non vorremo mica metterci discettare su cosa sia la felicità: sono stati scritti volumi interi sull’argomento, che pure continua ad avere un certo fascino.
    Una cosa è certa: la felicità è un valore transitorio ed effimero, legato a circostanze esterne e casuali (difficile essere felici se ci si ammala o se si perde il lavoro o se si vive in luoghi dove ogni giorno si teme per la propria incolumità) ma anche da un’apertura mentale che consente di percepire sfumature e di gioire di piccole cose per altri del tutto insignificanti.
    Di certo la distrazione e la noia allontanano da qualsiasi momento di felicità, e distrazione e noia sono dentro di noi, non fuori.
    E, naturalmente, un’appassionata storia d’amore ti può rendere tanto felice da spingerti a danzare nella notte a piedi nudi. Finché dura: non è vero, Patricia Lee?
    https://youtu.be/HLNyigUDxT8

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