Pian piano: Titani

Titani Nella mitologia greca, i 6 figli maschi di Urano e di Gaia (Oceano, Ceo, Crio, Iperione, Giapeto, Crono), della generazione più antica degli dei. Dal più giovane dei Titani, Crono, derivò la generazione degli Olimpi. In Esiodo i Titani sono protagonisti della cosiddetta Titanomachia, che narra la lotta di Zeus e degli altri dei dell’Olimpo contro i Titani per la conquista del trono celeste. La lotta si conclude con la sconfitta dei Titani, fatti precipitare nel Tartaro. (Treccani.it)

C’era una volta un’epoca, ed il passato remoto par d’obbligo, in cui il mondo era ferreamente diviso in nazioni, in classi sociali ben definite ed in conflitto perenne fra loro. In Belgio, Italia ed Inghilterra vivevano Titani che entravano nelle viscere della terra per cavare carbone e altri minerali e ci fu una Lady di ferro che entrò in cruenta rotta di collisione proprio con i minatori della terra d’Albione.

Ne nacque uno sciopero lungo un anno. Era il 1984, ci furono due morti, 710 licenziamenti e 10.000 procedimenti giudiziari.  L’agitato tramonto del XX secolo inesorabilmente avanzava e oggi molte di quelle miniere sono solo siti abbandonati, pozzi deserti, ascensori sfasciati e dei Titani dalla faccia sporca di nero, resta solo l’ombra ed un ricordo sbiadito. In quell’epoca ci fu chi come i Test Department sostenne i minatori con dedizione, andando a suonare là dove lo sciopero era stato proclamato e gli scontri si facevano sempre più duri. Fuel to fight (dal vivo nel teatro della protesta) resta a testimonianza di quella lotta che si concluse con una dura sconfitta e che aprì definitivamente le porte al neoliberismo di Margaret Thatcher ed al XXI secolo.

https://www.youtube.com/watch?v=sE86ZcwUays

Dopo soli quattro anni dalla fine dello sciopero dei minatori (1985), quello che era stato lo scontro titanico delle ideologie, dei sistemi economici, del capitalismo contrapposto al comunismo, della NATO contro il Patto di Varsavia avrebbe trovato il suo epilogo fra i calcinacci del muro di Berlino. Venticinque anni fa, era il 9 novembre 1989, assistemmo all’implosione di quel che pareva una barriera eterna di idee, fucili spianati, mattoni e filo spinato. Per un breve attimo ideali di fratellanza parevano spalancare orizzonti nuovi e progressivi nel riunirsi di unanazione. Il ritorno della grande Germania ed il sogno di un’Europa unita e senza guerre pareva a portata di mano. Il gigante comunista stramazzò al suolo lasciando spazio a nuovi orizzonti. L’oro del Reno di Wagner è il canto di una grande Germania che torna e ritorna nella storia, carica di speranze e di uno slancio ideale destinato a dissolversi in pochi decenni, per far posto alla disillusione, al disorientamento ed a nuove guerre fratricide proprio alle porte d’Europa.

Dopo le incredibili tessiture tonali per orchestra di Wagner cosa resta?  Dove si nasconde ora la ribellione dei Titani contro tutte le forze superiori (divinità, destino, natura, potere dispotico ecc.) che dominano e opprimono gli slanci vitali e la libertà stessa? Nella postmoderna erosione di senso, in un capitalismo ridotto a monarchia di banche centrali e oligopolio di multinazionali, nel comunismo Cinese o nel dispotico postcomunismo Putiniano c’è ancora posto per i Titani? Dov’è la loro ribellione che frantuma muri, sradica eserciti e blocca miniere? Dov’è quel combustibile per combattere ed inveire contro il cielo e gli elementi? Il Titano oggi è solo, combatte contro se stesso, apre il suo fagotto pieno di cucchiai e li mena nell’aria a vuoto. Ecco allora lo Spoonman (personaggio in carne ed ossa) celebrato dai Soundgarden, il don Chisciotte impegnato in un’ennesima missione di sicuro insuccesso.

La nostra epoca è un piano inclinato dove la furia dei Titani ribolle dimenticata in un deserto: impera la paura, la diffidenza, il timore, la rabbia impotente e la violenza vigliacca.  Dove pulsa l’urlo di un’epoca nuova che incanali la furia dei Titani nell’alveo di un nuovo orizzonte?

..occhi alzati quel vertice di luce ove s’appuntano le aspirazioni degli uomini dal giorno in cui un Titano sanguinante pose in cuori di Efimeri speranze immortali..

Gabriele D’Annunzio

/ 5
Grazie per aver votato!

Pubblicato da Mr Pian Piano

king for a day, fool for a lifetime

13 Risposte a “Pian piano: Titani”

  1. In tutte queste trasformazioni così radicali e nello scorrere della storia, a volte ho la sensazione di essere trascinato dalla corrente di un fiume senza poterci far nulla. Capita anche a te?

    Discutiamo e ci infervoriamo, ma gli eventi ci sovrastano con una forza immane. Oceano era uno dei Titani e ben rende l’idea di questa forza ben oltre l’umano.

    E’ sempre bello ritrovarti fra i commenti. Grazie.

  2. Si, forse nulla possiamo contro l’inevitabile svolgersi degli eventi. Ma è provare comunque a cambiarli, nonostante tutto, che ci rende grandi, no? E tuttavia noi partiamo con un grande handicap culturale: siamo, innegabilmente, nel Paese del Gattopardo. Non Titani, dunque, ma meri rimestatori di eventi.

  3. Il titano del III millennio non ha più il compito di cambiare il mondo, può unicamente preservarlo dalla distruzione.

  4. Mi chiedo e vi chiedo se ci sia questo potere di “preservare dalla distruzione” o se al massimo possiamo preservarci dall’autodistruzione.Il pianeta andrà avanti, anche senza dinosaurii come noi temo, visto che ha sopportato il boombardamento di enormi asteroidi….

    Eppure il Titano deve avere un obiettivo, un orizzonte d’azione, un antagonista contro cui concentrare le forze e un senso attraverso cui darsi appunto un obiettivo.
    Manca l’orizzonte di senso ed infatti stiamo assistendo ad un disfacimento o al meglio ad un indebolimento di ogni idea di cambiamento e non riusciamo a lavorare nemmeno alla salvaguardia della nostra specie, all’autoconservazione, così come abbiamo sempre più difficoltà ad educare ed a governare, così come a ragionare in termini di benessere condiviso.

    La questione del climate change è un buon esempio, anche se drammatico, di questa conclamata impotenza.

  5. Vorrei consigliarvi un bel libro di Mike Davis dal titolo “Città morte. Storie di inferno metropolitano.”
    – Le città muoiono quando le comunità che le animano sono ridotte a comunità passive, incapaci di ogni iniziativa, in balia di forze esterne che non sono più in grado di contrastare o condizionare. –

  6. The Virgin: Il passaggio che hai citato pare la descrizione perfetta del tempo che stiamo vivendo.
    Enrico: abbiamo perso la capacità di ( o l’interesse a) essere lungimiranti. Ragioniamo solo con orizzonti temporali ristretti, come in uno scellerato carpe diem che consuma il giorno senza pensare a costruire un domani creando i presupposti perché possa esserci. Noi dinosauri ci estingueremo, ma gli studiosi di climate chance ci stanno dicendo da tempo, dati alla mano, (se vogliamo ascoltarli)che ciò che resterà sarà un pianeta non vivibile. Fine della storia.

  7. Cosmicamente niente finisce, non siamo indispensabili e chissà quanti altri pianeti sono saturi di vita. Metterci al centro del cosmo lo vedo come un fraintendimento. La terra non doveva essere al suo meglio dopo l’impatto di un asteroide e l’estizione dei grandi rettili, anzi, eppure siamo venuti noi.

    A parte questo concordo su tutta la linea. La lungimiranza è qualcosa che ha tempi lunghi, addirittura una staffetta fra vivi e morti, un dire e un fare costruito sul rispetto di chi verrà ben al di là del nostro orizzonte. La tecnica, quella ben definita da Heidegger e Severino, offre soluzioni rapide ed efficaci, ma nella sua rapidità ed efficacia nasconde proprio un’assenza di lungimiranza. E’ pensata per l’immediatezza e funziona maledettamente bene. E’ una droga e le droghe “funzionano”. La nostra epoca evidentemente è quella del cortocircuito, fra una tecnica che intende la terra e gli esseri viventi come risorse ed un’ormai cronica assenza di lungimiranza che ha intaccato non solo l’habitat, ma anche le nostre menti. Quando un sito non dà più risorse lo si abbandona ed è quel che succede alle miniere come agli anziani ( e i bambini?) e agli animali. La tecnica da strumento è ora fondamento e alla tecnica si fa affidamento al punto da sperare che possa se non risolvere almeno eludere la vecchiaia e la morte. Un carpe diem eterno o pseudoeterno. L’assenza di lungimiranza è il trionfo della morte di Bruegel, perchè è un morire ogni giorno nell’incapacità di pensare oltre l’immediatezza.

    E qui Virgin viene secondo me d’obbligo il riferimento alle città, che sono da sempre luoghi fragili e dove assolutamente l’assenza di lungimiranza è da subito concreta minaccia per qualsiasi città, dall’atto terroristico al cataclisma, la città non solidale frana su se stessa. Un attimo e la civilissima Oslo diventa un inferno con più di un’assonanza con Gaza:
    https://www.youtube.com/watch?v=1E07Bu9pdgM

    Ridiscutere la tecnica è ridiscutere una sostanza che abbiamo in vena da anni. Eventuali crisi d’astinenza avrebbero risvolti critici. Ma non è già mostruoso questo umano ormai non più umano? Grazie per i pensieri.

    1. Per massimizzare il piacere dei pochi si massimizza la sofferenza dei molti.
      IL TITANICO STA NEL MINIMIZZARE LA SOFFERENZA UMANA.
      (Sì, Enrico, il mostruoso è l’umano non più umano, questo merdoso presente).

  8. Cari Enrico e Sonia,
    vi riporto alcuni significativi passaggi tratti dal cortometraggio di Pier Paolo Pasolini, “La forma della città” (1973)

    Percorrendo un “selciato sconnesso e antico” presso Orte, Pasolini dichiara:
    “è un’umile cosa, non si può nemmeno confrontare con certe opere d’arte, d’autore, stupende, della tradizione italiana. Eppure io penso che questa stradina da niente, così umile, sia da difendere con lo stesso accanimento, con la stessa buona volontà, con lo stesso rigore, con cui si difende l’opera d’arte di un grande autore. […] Nessuno si batterebbe con rigore, con rabbia, per difendere questa cosa e io ho scelto invece proprio di difendere questo. […] Voglio difendere qualcosa che non è sanzionato, che non è codificato, che nessuno difende, che è opera, diciamo così, del popolo, di un’intera storia, dell’intera storia del popolo di una città, di un’infinità di uomini senza nome che però hanno lavorato all’interno di un’epoca che poi ha prodotto i frutti più estremi e più assoluti nelle opere d’arte e d’autore. […] Con chiunque tu parli, è immediatamente d’accordo con te nel dover difendere […] un monumento, una chiesa, la facciata della chiesa, un campanile, un ponte, un rudere il cui valore storico è ormai assodato ma nessuno si rende conto che quello che va difeso è proprio […] questo passato anonimo, questo passato senza nome, questo passato popolare”.
    – – –
    “Il fascismo, il regime fascista non è stato altro, in conclusione, che un gruppo di criminali al potere” che “non ha potuto fare niente, non è riuscito ad incidere, nemmeno a scalfire lontanamente la realtà dell’Italia. Sicché Sabaudia, benché ordinata dal regime secondo certi criteri di carattere razionalistico-estetizzante-accademico, non trova le sue radici nel regime che l’ha ordinata ma […] in quella realtà che il fascismo ha dominato tirannicamente ma che non è riuscito a scalfire, cioè è la realtà dell’Italia provinciale, rustica, paleoindustriale, che ha prodotto Sabaudia e non il fascismo”.
    “Ora, invece, succede il contrario. Il regime è un regime democratico, eccetera, eccetera, però quella acculturazione, quella omologazione che il fascismo non è riuscito assolutamente a ottenere, il potere di oggi, cioè il potere della società dei consumi, invece, riesce a ottenere perfettamente. […] Il vero fascismo è proprio questo potere della civiltà dei consumi che sta distruggendo l’Italia, e questa cosa è avvenuta talmente rapidamente che non ce ne siamo resi conto, è avvenuta in questi ultimi cinque, sei, sette, dieci anni… è stato una specie di incubo in cui abbiamo visto l’Italia intorno a noi distruggersi, sparire. Adesso, risvegliandoci, forse, da questo incubo, e guardandoci intorno, ci accorgiamo che non c’è più niente da fare” .

    Ha ragione il titano brutalmente sconfitto, Pier Paolo Pasolini: quello che va difeso è proprio questo passato anonimo, questo passato senza nome, questo passato popolare.

  9. da salotto della domenica a spunto per riflessioni che si alimentano e si propagano per tutta la settimana. Complimenti, Enrico: e pensare che all’inizio credevamo fosse una sfida al ripescaggio di chicche musicali…

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.