Pierre Lemaitre ed il ritorno al noir

Lemaitre

Attendevamo da tempo, noi delle #LettureInclinate, il momento giusto per affrontare Pierre Lemaitre, nato a Parigi nel 1951.

E’ un po’ difficile spiegare il perché, ma ci proviamo: avevamo conosciuto questo autore per i suoi noir, racconti durissimi con forte carica psicologica, sulle avventure del Camille Verhoeven, un piccolo, tormentato commissario di polizia con la vita devastata dal suo lavoro, dalle tragedie, anche famigliari, che esso gli scaraventa addosso, un uomo dall’anima tormentata, dall’intelligenza viva ed un po’ allucinata.

Ma il fatto è che poi Lemaitre ha smesso di scriverli, questi capolavori, si è messo a fare altro.

Con “Lavoro a Mano Armata” (Fazi, 2013), Lemaitre si è spostato su una storia un po’ bizzarra, pur se convincente, di spionaggio industriale, all’interno di multinazionali luccicanti, mentre con “Ci Rivediamo Lassù” (Mondadori, 2014) ha iniziato un progetto più ambizioso, sulla storia della sua Francia a partire dalla Prima Guerra Mondiale, proseguendolo con altri due libri (“I Colori dell’Incendio”, 2016, e “Lo Specchio delle nostre Miserie”, 2021, entrambi editi da Mondadori): ecco, il punto è che questi tre libri, a nostro umilissimo avviso, hanno rappresentato un’involuzione, hanno allontanato questo autore da quello che conoscevamo, lo hanno reso più molle e mellifluo, e meno spietato ed incisivo.

Ci Rivediamo Lassù, peraltro, è un bellissimo romanzo, ricco di personaggi particolarissimi, con una trama accattivante, ma poi ci è parso che la vena si sia andata via via inaridendo, banalizzando, scadendo. Opinione ovviamente contestabile, la nostra, ma insomma, diciamo che ci è mancato il Lemaitre delle sue prime storie, e forse, per non dover parlare di quello attuale, lo abbiamo un po’ messo da parte, lo abbiamo un po’ trascurato.

Ora però c’è una novità che ci fornisce lo spunto per tornarci sopra: perché Mondadori ha pubblicato il primo lavoro di Pierre Lemaitre, scritto nel 1985 e mai dato alle stampe: Il Serpente Maiuscolo (Mondadori, 2022, 245 pag., Euro 20); quale occasione migliore, allora, per discutere di questo autore, di fare un po’ i conti con lui?

Partiamo allora dalla prefazione che Lemaitre stesso fa all’opera, che ci pare illuminante sotto vari punti di vista perché egli va subito dritto al punto, quasi avesse sentito le lamentele di coloro, come noi, che hanno nostalgia delle sue opere noir:

“Non è raro che i lettori mi chiedano se un giorno tornerò a scrivere romanzi gialli o noir. Di solito rispondo che è poco probabile, un modo per dire che non ne sono affatto certo. Quello che mi lascia l’amaro in bocca è aver smesso senza preavviso. In un certo senso, senza salutare nessuno. Cosa che non è nel mio stile”.

Sì, Pierre, te lo volevamo sentir dire, questo, lo pensiamo anche noi! E allora eccoci a questo bellissimo romanzo, scritto quasi quarant’anni fa, solo lievemente immaturo, ma con dentro tanto di quel Lemaitre che ci piace: sfrontato, spietato, un po’ allucinato, quasi compiaciuto nel raccontare le peripezie di Mathilde, la protagonista assoluta del racconto; è con lei al volante, in una Parigi trafficata del 1985, che si apre la storia:

“Mathilde guida molto vicina al volante perché ha le braccia corte. Ha sessantatrè anni, è bassa, larga e pesante. Ma guardandola in viso si vede che era una bella donna”.

Il fatto è che questa donna, che “ha tutto raddoppiato, il mento, il seno, il fondoschiena”, si rivela essere uno spietato sicario, e non riveliamo nulla della trama, perché commette il primo omicidio alla quarta pagina, devastando con una pistola di calibro inutilmente enorme un ricco signore sull’Avenue Foch (e, già che c’è, anche il suo povero cane); e un altro fatto è che poi ci saranno altri nove cadaveri, se abbiamo contato bene, più un altro povero cane.

Se c’è chi delinque, inevitabilmente arriva anche chi indaga ed è il poliziotto, René Vassiliev, un giovane detective; poichè Lemaitre non disdegna mai di portarci dentro la vita dei suoi protagonisti, sappiamo che Vassiliev è un uomo triste, dall’esistenza un po’ dissestata dall’essere rimasto presto orfano, solo, con un legame particolare con un ex prefetto in pensione ed affetto da demenza senile.

Ma eccolo, Vassiliev:

“Da Papà aveva ereditato l’altezza (193 centimetri) e da Mamma la magrezza (79 chilogrammi). Papà gli ha lasciato la fronte alta, il petto ampio, la camminata pesante, l’occhio chiaro e la mascella pronunciata. Mamma una certa tendenza al linfatismo, una pazienza infinita e un’onestà a prova di bomba”.

Lo sguardo di Lemaitre, come si conviene a chi fa noir (ricorderete certo il grande maestro Cain, che ci spiattella realtà imbarazzanti senza alcun riguardo), è sfrontato, sarcastico, attento alle sfumature e a cogliere sempre l’analisi psicologica dei personaggi.

Questa è la moglie di Monsieur Quentin, il pezzo grosso ammazzato con uno squarcio all’addome in Avenue Foch, che risponde così, aprendo un mondo del non-detto in poche righe, al detective Vassiliev che la interroga (interrogatorio divertentissimo, folgorante, imperdibile) dopo la dipartita del marito sotto i colpi di Mathilde:

“Ebbene, mentre mio marito veniva ucciso sotto casa nostra, io ero in un club libertino a carattere feticista, la Tour del Nesle, con molti amici. Una serata meravigliosa, come bisognerebbe passarne più spesso. Tanti uomini, pochissime donne”.

Il romanzo procede veloce, pieno di azione, di fatti, quasi tutti esecrabili, e, come abbiamo detto, sarà una carneficina: scopriremo che Mathilde fa parte di un’organizzazione che esegue condanne a morte su commissione; siamo nel 1985 e ciò avviene con un complesso meccanismo di messaggi in cabine telefoniche; seguiremo l’insospettabile anziana signora che si apposta, conosce la sua vittima, trova il momento per finirla, simpatizzando spesso con gli sconosciuti mandanti; eccola mentre sorveglia un bersaglio, una ragazza:

“Non sa chi ce l’abbia con lei al punto di commissionare la sua morte, ma può capirlo, quella ragazza è insopportabile, è odiosa. La faremo fuori”.

Però Mathilde (che nel frattempo vorrebbe, in sovrappiù, far fuori l’odioso vicino) ha pur sempre oltre sessant’anni, perde un po’ di lucidità, commette degli errori, viene messa in discussione e….leggerete come finisce questa vicenda, che assume tratti di rocambolesca ironia, di commedia nera, che tuttavia Lemaitre mantiene su un registro narrativo sempre rigoroso, lucido, mai eccessivo (e non è facile).

Nel 2015, Antonio d’Orrico su Sette del Corriere della Sera, scrisse che Alex, una giovane donna protagonista di uno dei romanzi della trilogia di Camille Verhoeven, è “l’unico personaggio della letteratura contemporanea che Alfred Hitchcock avrebbe messo in scena”; forse anche Mathilde, questa specie di Miss Marple in versione vecchia Nikita, avrebbe meritato questa citazione, ora che l’abbiamo conosciuta.

Ma torniamo dove siamo partiti: Pierre Lemaitre il noir lo conosce bene, ne ha scritto pagine memorabili, dichiarando che “se il giallo è la medicina, allora il noir è la psicanalisi”; e inoltre, in relazione alla crisi generale della nostra società, lo scrittore parigino ha aggiunto che

“nella crisi il noir ha caratteristiche di agilità, di plasticità, di capacità inquisitoria necessarie per denunciare le origini stesse della crisi. E quindi temo abbia molti anni di storia davanti a sé”.

Se Lemaitre teme che la crisi sociale non finirà a breve, noi temiamo di non leggere più i suoi noir, e la sua indagine di questa crisi; ma chissà, la speranza è l’ultima a morire, la pubblicazione di questo libro ci fa sperare….nel frattempo, godiamocelo.

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Pubblicato da Leonardo Dorini

Manager, consulente, blogger. Mi occupo di finanza ed impresa, amo lo sport. Ma sono qui per l'altra mia grande passione: la letteratura.

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