Profit e No Profit: siamo sempre noi.

Raccolgo un suggerimento impegnativo e mi permetto di entrare in un territorio davvero difficile, consapevole del rischio di urtare alcune sensibilità e sapendo di toccare temi per i quali serve avere molto studiato.
Tuttavia, le questioni del volontariato, della cooperazione e del no profit sono spesso trattate con un pudore che si traduce in ipocrisia, political correctness e in ampie circonvoluzioni.
Per questo ne scrivo comunque, sperando di dare un contributo che, se non sufficientemente competente, abbia almeno il pregio di essere incondizionato.

Esistono molte motivazioni per impegnarsi nel no profit, oltre a quella più ovvia del voler aiutare gli altri. Ad esempio, dimostrare a se stessi e agli altri che si è una brava persona. Oppure, affermare una differenza rispetto a chi il volontariato non lo fa. O, ancora, compensare un atteggiamento di ritrosia e allontanamento dalle pratiche ignobili del mondo, ad esempio sul lavoro, nelle quali non ci si vuole riconoscere. Cioè dimostrarsi di saper partecipare al consesso umano quando, normalmente, in ciò che ci richiede la vita di tutti i giorni, non lo si vuole fare. Sono tutte cose che soddisfano esigenze profonde, molto personali e interne; che, per questo, spingono a impegnarsi trascurando altri aspetti che potrebbero essere un ostacolo oggettivo.

Tra questi ostacoli potrebbe esserci, ad esempio, qualcuno che, proprio approfittando di questa motivazione molto forte e un po’ cieca, voglia usare a proprio vantaggio questa disponibilità.
Usare un’associazione no profit come veicolo per scopi esterni è molto conveniente.
Innanzitutto si parte in un contesto favorevole, per i naturali sentimenti di solidarietà che animano la maggior parte delle persone, almeno fintanto che non è loro richiesta una partecipazione concreta.
Poi, pur con la proliferazione delle regole che si ampliano sempre più, si gode di un’applicazione spesso indulgente.
Inoltre, poiché spesso è la necessità, più o meno oggettiva, a legare i partecipanti a queste organizzazioni, si può contare da parte loro su un’affezione molto alta. Questo consente di formare uno spirito di corpo, di far sviluppare un impulso di difesa comune verso l’esterno, di avere, in sostanza, delle forze motivate e leali.
Verso le relazioni di lavoro abbiamo sviluppato un’etica tutto sommato abbastanza condivisa, che consente di accettare le imposizioni e l’esercizio delle forze contrapposte. Ci troviamo, viceversa, in maggiore ambiguità in queste relazioni, che si pretendono più libere e alle quali si vuole associare un significato più alto e, in qualche misura, compensativo di bisogni altrimenti accantonati.

Finché non faremo pace con questo stato di cose e non accetteremo, per davvero e non con falso cinismo, che anche in queste relazioni c’è lo stesso grado di malignità di ogni altra relazione non intima, resteranno quelle aspettative improprie che, di tanto in tanto, faranno gridare allo scandalo o soffrire qualcuno.

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Pubblicato da Luca Bianchetti

Laureato in ingegneria e psicologia, ha un MBA. Ha fatto il consulente direzionale con società multinazionali, si è occupato di molti progetti di trasformazione e di ridisegno dei processi. Iscritto al PRI nella prima repubblica, non sa più a che santo votarsi.

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