Quaderni dalla fabbrica

Questa è la storia  di Nino, l’operaio che raccolse l’eredità di Gramsci

Tano D'Amico, Panino all'Alfa Romeo
© Tano D’Amico, Panino all’Alfa Romeo

Quando mi consegnò il telegramma della convocazione in fabbrica, dalla gioia irrefrenabile abbracciai il postino che si rallegrò. Avevo inviato una lettera all’ufficio del personale, l’avevo scritta a mano su un foglio uso carta bollo, quella dai margini definiti ed invalicabili.  Mi ero diplomato frequentando a domicilio i corsi della Scuola Radio Elettra di Torino: ero molto orgoglioso della mia calligrafia rispettosa e precisa, così la imbucai fiducioso di fare bella figura. E’ così fu.

Il capo del personale, il giorno del colloquio di lavoro, si vantò con me delle sue qualità di provetto grafologo e di aver scoperto la mia attitudine docile ed obbediente “da materiale per ricambi” o per dirla come lui ” di uno che non rompe i coglioni”

Mi sembrò un discorso umiliante dallo sguardo insolente. Dentro di me la rivoluzione era appena cominciata.

© Salvatore Loconsolo, Alfa Romeo di Arese. Operai su impalcature all'interno della fabbrica
© Silvestre Loconsolo, Alfa Romeo di Arese. Assemblea di fabbrica. Operai su impalcature all’interno della fabbrica (1976)

Orgoglioso di indossare la tuta blu ed in mano il porta pranzo con panino e le polpette al sugo, feci il mio primo ingresso in fabbrica timbrando l’agognato cartellino. Ore 7:00 e nessuna anima intorno. Un cartello catturò la mia attenzione: Assemblea permanente. Chi entra sarà perquisito.

Silvestre Loconsolo, Alfa Romeo di Arese - Assemblea permanente - Targhe della fabbrica - Comunicato dei lavoratori (1972)
© Silvestre Loconsolo, Alfa Romeo di Arese – Assemblea permanente – Targhe della fabbrica – Comunicato dei lavoratori (1972)

Proseguii verso il capannone centrale cercando il reparto assegnatomi, non potevo presentarmi in ritardo il primo giorno di lavoro. In un silenzio assordante di macchinari spenti, ritornando indietro verso la portineria, mi rivolsi ad un gruppo di operai che discutevano animatamente. “Sei quello nuovo? Vieni con noi, oggi non si lavora, c’è consiglio di fabbrica”

Timidamente mi affacciai incuriosito al capannone 5 e vidi una folla immensa di operai assieparsi verso un palco improvvisato da dove il crepitio di un megafono annunciava il discorso del comitato. Condizione operaia, lotta di classe, piattaforma rivendicativa: parole e frasi dal significato sconosciuto rimbombavano nella mia testa poi applausi scroscianti mi scossero da quel torpore riportandomi alla realtà.

Loconsolo, Silvestre, Lavoro a domicilio - Donna lavora con la macchina da cucire - Bimbo nel box
© Loconsolo, Silvestre, Lavoro a domicilio – Donna lavora con la macchina da cucire – Bimbo nel box (1974)

Quando rientrai a casa quella sera, vidi mia madre ancora china sulla macchina da cucire, intenta a completare il suo lavoro pagato a nero; provai un senso di sconfitta e al tempo stesso di ribellione: quanto avrei voluto liberarla da quella schiavitù e dalle catene del cottimo!

Passarono i mesi, l’economia non sembrava riprendersi, in fabbrica la febbre del sindacato saliva alta, così la rabbia e le contestazioni per i primi licenziamenti. Le assemblee erano all’ordine del giorno, sit-in e manifestazioni di protesta si susseguivano a rotta di collo. Tra occupazioni e striscioni, vedevo la mia vita come immersa in una palla di vetro, e quantunque l’agitassi sottosopra, essa restava lì immobile, a coprirsi lentamente di neve.
Mi iscrissi al sindacato, cominciai a frequentare le assemblee, e nonostante la timidezza feci breccia nel cuore di Arnaldo, che mi prese sotto la sua tutela e mi avviò nel movimento sindacale. Un momento determinante del mio percorso fu quando partecipai ad un corteo al quale si unì quello degli studenti universitari. Tra questi ce n’era uno che perse il suo quaderno nel mentre lo sventolava; non feci in tempo a raccoglierlo per restituirglielo che lui scomparì tra i manifestanti.

Misi in tasca quel quaderno e proseguii la marcia. Più tardi sul tram lo aprii, ed incuriosito cominciai a leggere:

Odio gli indifferenti anche per ciò che mi dà noia il loro piagnisteo di eterni innocenti. Domando conto ad ognuno di essi del come ha svolto il compito che la vita gli ha posto e gli pone quotidianamente, di ciò che ha fatto e specialmente di ciò che non ha fatto. E sento di poter essere inesorabile, di non dover sprecare la mia pietà, di non dover spartire con loro le mie lacrime. Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze virili della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo

Fu uno schiaffo in piena faccia. Cosa stavo facendo di concreto per il mio sindacato, dove erano le idee, i programmi, le azioni concrete? Capii subito che studiare era prioritario e così mi iscrissi all’università. Fu un periodo difficile, fabbrica e studio, studio e fabbrica, mia madre sempre più stanca, casa invasa da pile di volantini, manifesti, bandiere rosse e tomi di economia politica.

Tano D'Amico
Autunno 1967. Gli studenti universitari occupano gli atenei di tutte le principali città del centro-nord © Tano D’Amico

Quando consegui la laurea, vennero i compagni a fare festa, e tra le lacrime ed un cordiale, mi elessero rappresentante di fabbrica. L’ascesa politica era avviata ma mancava ancora un tassello alla mia formazione, il più difficile da conquistare: il coraggio di testimoniare

Negli anni di piombo, il coraggio non era unirsi alla lotta armata ma partecipare pacificamente ed attivamente alla costruzione di un futuro migliore, comprendere le ragioni del disagio sociale e trasferirle al mondo politico ed istituzionale mettendoci il cuore e la faccia.

Beppe De Nardin, Gian Maria Volontè interviene in un'assemblea nell'Aula Magna dell'Università Statale  (1972)
© Beppe De Nardin, Gian Maria Volontè interviene in un’assemblea nell’Aula Magna dell’Università Statale (1972)

E fu allora che conobbi Paola, brillante esponente del Movimento Studentesco durante l’occupazione, in quel memorabile concerto all’ateneo.

Beppe De Nardin, Concerto della Commissione Musicale del Movimento Studentesco alla Caterina da Siena (1972)
© Beppe De Nardin, Concerto della Commissione Musicale del Movimento Studentesco alla Caterina da Siena (1972)

Mi innamorai perdutamente. Le dissi Ti amo quel giorno di maggio di tanti anni fa che lei correva correva ed ancora corre insieme a me

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Pubblicato da Daniela Pepe

Anima migrante, laureata in economia. Lasciò tutto per l'America viaggiando in Transiberiana. Vive a Roma ma il suo cuore è a Tel Aviv

Una risposta a “Quaderni dalla fabbrica”

  1. “E’ una bella giornata di maggio, e persino Milano profuma di
    primavera e promette estate.
    Il corteo si snoda con moto serpentino lungo via Dante, confluirà
    in Piazza Stefano, alla Statale.
    In testa Mario Capanna con qualche fedelissimo.
    Dietro, noi studenti, e lo slogan contro il Ministro della
    Pubblica Istruzione che campeggia sugli striscioni viene scandito come un
    mantra:
    “MISASI, PIRLA, E’ORA DI FINIRLA!”.
    Le finestre dell’ufficio dove lavora la mamma si affacciano
    proprio su via Dante, io dovrei essere a scuola e spero che non mi veda.
    Lei probabilmente osserva con apprensione quella moltitudine
    variopinta e vitale e spera, come sempre, che la polizia non sfoderi i
    manganelli.
    Il corteo è autorizzato e composto, ma capita spesso che i
    poliziotti (chissà se più per paura o per cattiveria gratuita) malmenino qualche
    studente solo un poco più chiassoso
    degli altri.
    Ma noi camminiamo con passo sicuro, ci sentiamo uniti dagli
    ideali, siamo parte di un tutto, siamo quelli che hanno le tasche piene di verità
    e vogliamo cambiare il mondo”.
    Il mondo, beffardo, ci aspetta paziente dietro qualche
    angolo: sarà lui a cambiare tutti noi.

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