Quando la ripresa è nelle previsioni e la recessione nei fatti

Fino a quando durerà la litania delle “revisioni al ribasso”? Per quanto tempo ancora dovremmo rispettare chi fa previsioni economiche, poi regolarmente smentite? L’ultima doccia fredda è arrivata d’estate, ma non per questo è meno spiacevole: nell’ultimo trimestre il Pil italiano è diminuito dello 0,2%, peggio – appunto – del previsto. Degli ultimi 12 trimestri, uno solo ha registrato un aumento; gli altri sono stati tutti negativi. Il tempo lavora contro di noi; le lancette dell’orologio scandiscono l’aumentata povertà.

L’Italia è il paese che cresce meno di tutti al mondo. Eppure questa tragedia sbiadisce di fronte all’involontaria comicità delle previsioni. Chi aveva previsto il segno + nella variazione trimestrale? Chi lo aveva inserito nei documenti di governo? Chi lo aveva inviato a Bruxelles? Colpisce la regolarità degli sbagli. Ogni previsione viene smentita dai fatti, certificata dagli stessi cervelli che l’avevano illustrata. È concepibile che ogni traiettoria di crescita sia cestinata dopo soli 3 mesi? Reiterare l’errore è grave non solo nei confronti degli euroburocrati, ma verso l’opinione pubblica, i risparmiatori, chi esita a inviare i figli all’estero, chi ancora coltiva la speranza. Non è immaginabile che chi prevede non conosca la statistica, l’econometria, le insidie degli indici, le difficoltà interpretative. Chi produce documenti ha studiato, ha una rispettabilità accademica, viene retribuito per il suo lavoro. Eppure sbaglia spesso e smentisce il suo stesso acume. Si compiace della sofisticazione delle analisi, si esalta nella spiegazione di 1/10 percentuale, ma non azzecca mai le previsioni. È un idraulico che non calcola la pressione dell’acqua. Produce solo guasti molto più gravi.

L’Italia non è sola in queste figuracce. La Banca Mondiale, l’UE, le agenzie di rating hanno un impressionante record di errori. “Quest’anno il Pil mondiale crescerà del 3%, invece di quanto previsto del 4%”; come se fosse uno scherzo. Contrordine, economisti! Rivedono – sempre al ribasso – le loro previsioni precedenti. Il loro mestiere è diventato illustrare l’avvenuta imprevedibilità, quella che ha reso sbagliate le loro anticipazioni. Eppure nelle Università dove hanno studiato, insegnano a prevenire il rischio, a simulare gli scenari, a costruire modelli matematici. Sono tuttavia circondati da un’aura di rispettabilità: i loro comunicati stampa fanno muovere capitali ingenti, stimolano dibattiti, spostano voti. Forse chi prevede l’ottimismo si allinea alla propaganda, forse tra vantaggio personale. Sicuramente alimenta un circuito di previsioni e smentite che lo vede sempre al centro dell’attenzione. Perpetua il suo ruolo di esperto, competente anche nella manipolazione dei numeri. Gli sbagli sono degli altri; è colpevole l’ostinazione della realtà. Probabilmente non ha letto Hegel, ma ne ha appreso il messaggio ideologico: “Se i fatti non si accordano alle teorie, tanto peggio per i fatti”.

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Pubblicato da Romeo Orlandi

Presidente del Comitato Scientifico di Osservatorio Asia. Professore di Economia della Cina e dell'Asia. Esperto di globalizzazione. Autore, editorialista, relatore a convegni.

2 Risposte a “Quando la ripresa è nelle previsioni e la recessione nei fatti”

  1. Se rinasco faccio l’economista. Mi faccio il culo a studiare e a pubblicare un paio di articoli. Mi faccio un po di amici politici e via. Posso passare il resto della vita a fare un cazzo, a predicare cosi’ cosi’ e razzolare malissimo, a fare palate di soldi. Tutto senza nessuna ripercussione negativa. Il mio lavoro e’ una merda? Tutto cio’ che dico viene smentito? Le mie previsioni sono piu’ sballate di quelle di Bagatta? Amen, fatevene una ragione. Pagatemi e veneratemi, io sono l’economista.
    L’ignoranza ormai e’ cosi’ straripante che la si trova, pesantemente, a ogni livello. E quando le cose le ignori…se applaudono tutti, applaudi anche te.

    Visione semplicistica? Populista? Sara’, non me ne vergogno e non mi pesa. Preferisco che mi si dica che sono populista piuttosto che avere la certezza di essere finito dalla parte dei coglioni.

    Il paracadute per la gente normale, AKA informazione e giornalismo, si e’ squarciato parecchio tempo fa e non funziona piu’. Di questo passo il mondo sara’ sempre piu’ in mano a chi la spara piu’ grossa con maggiore convinzione. E tutti ad applaudire. Coglioni.

  2. Lorenzo (“Cojo”) [Welcome to]

    a leggerTi, Mi sembri sulla stessa lunghezza d’onda di uno dei “MASSIMI BECCHINI della MONNEZZA QUOTIDIANA di CARTA (IGIENICA) e MEDIATICA ITALICA”, meglio noto come Nicola PORRO (il Suo cO-gn-O-me, come la Sua fa-CC-ia, dice tutto; Lombroso, docet).

    -[ “Perché il Pil scende. Non solo numeri” – Agosto 7, 2014

    http://blog.ilgiornale.it/porro/2014/08/07/perche-il-pil-scende-non-solo-numeri/ ]-

    Concordo con Te – NON CON QUEL BECCHINO – quando scriVi e Ti riferisCi che il trenino molti pseudo-“economisti” se Lo fanno per/con gli “Amici Politici” – che quel BECCHINO conosce e frequenta, tra l’altro, ASSIDUAMENTE! -, MA Ti faccio notare “sommessamente” che Ci sono ANCHE ECONOMISTI SERI, PREPARATI, ONESTI che NON FREQUENTANO trenini – in tutti i sensi -, che Ci azzeccano SEMPRE nelle previsioni – non solo per la fa”CC”ia – e che hanno i famosi “coglioni” – al posto giusto: in alto prima e nella mediana poi.

    Spiace per Te che non hai la fortuna di conoscerLi e di leggerLi, soprattutto.

    Ps: studiare è importante, a prescindere da chi sei e da cosa diventerai o vuoi diventare – nella Vita -; se non vuoi restare un coglione.

    Saluti non populisti.

    ✍✓_s-U-r-f-E-r_ ✍✓

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