Reazione a catena

Nel 2009, un programmatore anonimo con lo pseudonimo di Satoshi Nakamoto ha rilasciato al pubblico l’idea di Bitcoin corredata di tutto il supporto matematico per farla funzionare dando così il via alla creazione di una rete peer-to-peer per consentire alle persone di comprare e vendere bitcoin all’interno di un sistema sicuro e replicabile. Ogni dieci minuti, programmatori di tutto il mondo (i miners – minatori) competono con i loro sistemi hardware e software in una sorta di gara di velocità di calcolo per essere i primi a risolvere equazioni matematiche e registrare le transazioni effettuate da tutti i partecipanti a questa rete P2P come voci, o blocchi (block), su un registro digitale (ledger). In cambio di questo lavoro, che richiede un’enorme e sempre crescente potenza di calcolo, il programma premia i minatori con bitcoin, motivandoli ad elaborare sempre più transazioni, sempre più velocemente.

C’è un aspetto fondamentale di questa tecnologia: ogni nuovo blocco è collegato a tutti i precedenti altri in una catena digitale (chain). Così, il record di ogni transazione bitcoin risiede sui computer di tutti i minatori ed è automaticamente aggiornato ogniqualvolta si verifichi l’input e/o la variazione di un block. E’ per questo che quando si parla di blockchain si parla della gestione di un libro mastro decentralizzato e distribuito (distributed, decentralized ledger) ed è proprio questo meccanismo di replica a rendere sicura la blockchain. Per manomettere il sistema, infatti, sarebbe necessario prendere il controllo della maggior parte dei computer che prendono parte alla catena, quello che viene chiamato il “51% attack”.

Quello che emerge è l’enorme valore non solo pratico ma anche simbolico di questa tecnologia. A essere distribuita tra tutti i partecipanti non è solo la base dati ma la fiducia (trust). Non esiste un banco, qualcuno che esercita il governo delle regole ma è il “semplice” essere parte del sistema che garantisce il fatto che le regole siano rispettate e uguali per tutti. La blockchain, in sostanza, è l’automatizzazione della fiducia o, per dirla con le parole di @carloalberto, la fine del monopolio della certificazione e quindi della sanzione. Le autorità di vigilanza non hanno più il monopolio dell’applicazione della regola: gli standard “de facto” sono la nuova legislazione (qui la fonte).

reazione a catena

In questo senso la blockchain è l’essenza stessa della disintermediazione: è possibile trasmettere asset senza bisogno di intermediari (i bitcoin sono l’esempio che però rischia di essere davvero riduttivo). Questo è atipico in un qualsiasi sistema di scambio minimamente organizzato. Acquirenti e venditori normalmente necessitano di uno o più intermediari perché: a) non possono compiere autonomamente tutti gli step necessari alla chiusura della transazione e b) non si fidano l’uno dell’altro e quindi fanno intervenire un arbitro terzo nel ruolo di garante.

In realtà tutte queste informazioni possono essere incorporate in uno smart contract, un “contratto digitale intelligente” all’interno di una blockchain (qui un approfondimento sulla nozione di smart contract)

Questo contratto digitale non contiene solo i dati necessari al compimento della transazione ma permette, al raggiungimento di determinate condizioni, l’esecuzione degli effetti della transazione stessa, ad esempio il trasferimento di proprietà del “bene”. Una transazione quindi ha un tempo di settlement pari a poco più di zero chiudendosi in pochi minuti invece di giorni o settimane. I termini del contract, peraltro, sono disponibili a chiunque abbia accesso alla chain. Ciò significa che le autorità di regolamentazione possono molto facilmente verificare l’autodisciplina dei partecipanti al mercato.

Fantascienza? No, realtà. NASDAQ, insieme alla startup Chain – realtà fintech specializzata nell’architettura blockchain, già oggetto di investimenti per oltre 30 milioni di dollari da parte di soggetti come Visa e Citi, oltre alla stessa NASDAQ, ha creato un sistema di clearing e settlement in grado di processare gli scambi su mercati privati in dieci minuti. La società americana oltre ad utilizzarlo già su alcuni mercati domestici sta compiendo i passi necessari per portarlo anche in Europa, con conseguenze per piattaforme come DTCC, Euroclear, TARGET2 facilmente intuibili.

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© Santander InnoVentures

Ancora: un report di giugno 2015 commissionato da Santander InnoVentures, il fondo per gli investimenti in fintech della banca spagnola, stima in 20 miliardi di dollari il risparmio possibile nel solo settore credito come conseguenza di minori costi di settlement, spese legali e pagamenti. In effetti, basta pensare a quanto  denaro un intermediario potrebbe impiegare più proficuamente se anche solo il processo di valutazione del merito creditizio fosse espletato in dieci minuti invece che in venti giorni…

Tutto semplice? Al contrario. Gli ostacoli all’adozione sono molti. Non si tratta solo di istanze tecnologiche; è necessario, al solito, che anche i regolatori partecipino attivamente alla discussione. La blockchain è in grado di stravolgere i meccanismi di governance e, conseguentemente, anche i modelli di business: resta da vedere quanto tempo ci vorrà perché il settore finanziario si renda conto che la vera innovazione dirompente non è la tecnologia blockchain in sé ma piuttosto questa nuova forma di inclusione nel sistema, con nessuno che abbia il monopolio nella concessione della fiducia, nel poter dire cosa e chi è corretto o meno.

Forse però, il sistema si è già accorto del potenziale cambio di paradigma che sottende all’adozione della blockchain e allora, alla fine, la domanda è sempre la stessa: il settore è #TRTBD perché i problemi sono davvero complicati e le soluzioni di difficile implementazione o perché gli operatori del settore cercano di conservare gelosamente il numero di accessi alla loro VIP Room?

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Pubblicato da Simone Calamai

Da quindici anni si occupa di innovazione nel campo della distribuzione dei servizi finanziari. Appassionato di tecnologia, utilizza un Mac in attesa che esca il nuovo modello di ZX Spectrum. CEO @Fundstore ma su Piano Inclinato le opinioni sono tutte sue.

2 Risposte a “Reazione a catena”

  1. Grazie x i tuoi articoli sul fintech, altrimenti non capirei che diirezione sta prendendo il banking (almeno quello europeo e transoceanico), data la mia ignoranza di tutto ciò che è tecnologia e internet.
    C’è solo un punto dove non capisco l’utilizzo di un termine.
    dove dici “basti pensare a quanto capitale di rischio in meno sarebbe necessario accantonare se tutto l’iter per la concessione di un prestito fosse espletato in dieci minuti invece che in venti giorni” penso intendersi scrivere “quanti costi x capitale fisso in meno eccetera”. Giusto?
    Grazie e arrivederci al tuo prossimo articolo.

    1. Grazie a te per i complimenti che vanno diretti ai curatori di Piano Inclinato che ospitano, apertamente, tante voci diverse.
      Rileggendomi, in effetti, non mi sono espresso correttamente. Quello che intendo è che un processo più efficiente, fosse anche solo più rapido, di valutazione del merito creditizio avrebbe come conseguenza – per l’intermediario – la possibilità di allocare su attività più redditizie denaro che altrimenti rimane “in attesa di essere impiegato”. Si perdono potenziali ricavi marginali, insomma.
      Colgo il suggerimento e appena possibile riformulo meglio la frase del post. A rileggerci 🙂

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