Resoconto 2020: 4 grandi eventi di mercato

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Il 2020 è stato un anno scandito da quattro grandi eventi che hanno condizionato pesantemente le scelte degli operatori finanziari:

  • lo scoppio della pandemia di Covid-19
  • le elezioni presidenziali USA
  • la scoperta del vaccino contro SARS-CoV-2
  • la sottoscrizione dell’accordo per l’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea.

Lo scopo di questo articolo è proprio quello di stimare l’impatto di questi eventi sulla redditività e sulla rischiosità del mercato azionario statunitense.
Più in particolare, l’analisi verte sui rendimenti di due importanti indici azionari americani: il Dow Jones ed il Wilshire 5000.

Il primo è l’indice più ristretto e contiene le azioni di 30 imprese quotate ad altissima capitalizzazione (blue chips), mentre il secondo è l’indice azionario più vasto e considera attualmente 3451 aziende.

È importante precisare che questo post ha natura puramente divulgativa e, come tale, non è rivolto ad un pubblico di esperti e non è assolutamente finalizzato a fornire informazioni utili per fini di investimento.

Cos’è il rendimento di un titolo azionario?

Il rendimento di un’azione in un certo istante temporale dipende, intuitivamente, da due grandezze: il dividendo che l’impresa paga al suo possessore ed il prezzo al quale essa può essere venduta sul mercato.

Il dividendo ed il prezzo possono però essere definiti in maniera differente e, conseguentemente, esiste più di una espressione del rendimento.
Gli operatori di mercato calcolano spesso il rendimento di un titolo azionario rispetto al “prezzo aggiustato alla chiusura”.

Per ottenere il suddetto valore è sufficiente sottrarre dal prezzo che si registra alla fine della giornata di contrattazione (prezzo di chiusura) il cash dividend, cioè quella eventuale frazione di utile corrente che il Consiglio di amministrazione dell’impresa può decidere di versare quello stesso giorno.

Se quindi in un certo giorno l’azienda non corrisponde nessun cash dividend agli azionisti, il prezzo aggiustato alla chiusura ed il prezzo di chiusura coincidono.

Scelte di investimento: informazioni ed aspettative

Gli investitori valutano la convenienza di un titolo confrontando il suo prezzo, il suo rendimento atteso (in pratica il rendimento medio) e la sua varianza (un indice che esprime la variabilità del rendimento).

Tuttavia prezzo, rendimento atteso e varianza di un titolo non sono costanti, ma cambiano nel corso del tempo e questo è vero a maggior ragione per quei titoli rischiosi che vengono scambiati su mercati organizzati come le azioni.

Gli operatori finanziari formulano le loro personali aspettative sull’andamento futuro di questi valori sulla base delle informazioni di cui dispongono oggi.
Ma qual è il processo tramite il quale le informazioni e le aspettative vengono incorporate nei prezzi (e quindi nei rendimenti) dei titoli?

All’inizio degli anni ’80 l’economista Robert Engle, vincitore del Premio Nobel per l’Economia nel 2003, ha introdotto un particolare modello teorico per i rendimenti di un attivo finanziario che cattura appunto informazioni ed aspettative.

Engle assume che il rendimento sia dato dalla somma di due termini il cui valore cambia in ogni istante di tempo: un “segnale”, che esprime la media dei rendimenti, ed un “rumore”, ossia una componente puramente casuale. Inoltre egli ipotizza che il segnale e la varianza dei rendimenti in ciascun periodo (volatilità) dipendano dalle aspettative che gli investitori formulano sulla base delle informazioni in loro possesso in quell’istante.

Agli operatori interessa conoscere, in generale, sia il segnale che la volatilità. Tuttavia, poiché secondo evidenze empiriche molto frequenti (fatti stilizzati) il rendimento medio degli indici azionari è prossimo allo zero, il primo è trascurabile e ci si può concentrare solo sulla seconda.

Studiare la volatilità è importante perché, come già accennato, essa è indicativa della rischiosità del titolo:

Quando gli investitori apprendono una notizia che valutano positivamente (nel senso che ritengono che comporti un miglioramento della redditività del titolo medesimo e/o una riduzione della sua rischiosità), gli acquisti di tale titolo al netto delle vendite aumentano e la volatilità di riduce.
D’altra parte, quando gli investitori ricevono una notizia negativa le vendite del titolo al netto degli acquisti aumentano e la volatilità si innalza.

È comunque importante chiarire che la volatilità, essendo un valore teorico, non è direttamente osservabile e, pertanto, è necessario stimarla con i dati relativi ai rendimenti.

Un buon modo per verificare la qualità della stima eseguita è confrontare la volatilità stimata con una proxy, ovvero con una variabile che approssima la volatilità teorica.

Dati e metodo di stima

Le stime sono state effettuate su dati in serie storica relativi ai rendimenti dell’indice Dow Jones e dell’indice Wilshire 5000 rilevati con cadenza giornaliera tra il 30 Dicembre 2019 ed il 30 Dicembre 2020.

Il modello impiegato è un ARCH(1) ed appartiene ad un’ampia classe di modelli definiti “modelli ad eteroschedasticità condizionata” che sfrutta proprio le assunzioni di Engle sulla struttura dei rendimenti descritta in precedenza.

Altri modelli proposti in letteratura di recente consentono di stimare la volatilità anche rispetto ad un set di variabili finanziarie e macroeconomiche. Tuttavia, per ragioni tecniche difficili da trattare qui, essi spesso non producono previsioni migliori rispetto a quelli di base (che proprio per questo continuano, almeno per ora, ad essere preferiti dagli analisti).

Come proxy della volatilità sono stati impiegati i rendimenti al quadrato per entrambi gli indici.

Sono state inoltre calcolate la media e la varianza dei rendimenti nel periodo 30 Dicembre 2019 – 30 Dicembre 2020 e nel periodo 30 Dicembre 2018 – 30 Dicembre 2019 con il fine di confrontare la redditività media e la rischiosità dei due indici tra il 2019 ed il 2020.[sociallocker].[/sociallocker]

Medie, varianze e stime di volatilità

La media e la varianza dei rendimenti dell’indice Dow Jones tra il 30 Dicembre 2019 ed il 30 Dicembre 2020 sono state pari, rispettivamente a 0,00025 ed a 0,00054.

Tra il 30 Dicembre 2018 ed il 30 Dicembre 2019 la media dello stesso indice è stata invece 0,00082 e la varianza 0,000060.

Nel 2020, quindi, si è verificato un pesante calo del rendimento medio ed un altrettanto impressionante incremento della varianza.

La media e la varianza dei rendimenti dell’indice Wilshire 5000 tra il 30 Dicembre 2019 ed il 30 Dicembre 2020 sono state pari, rispettivamente a 0,00072 ed a 0,00048.

Tra il 30 Dicembre 2018 ed il 30 Dicembre 2019 la media dello stesso indice è stata invece 0,00098 e la varianza 0,000064.

Nel 2020, quindi, si è verificato un pesante calo del rendimento medio (- 69,5% per il Dow Jones e – 26,5% per il Wilshire 5000) ed un altrettanto impressionante incremento della varianza (+ 800% per il Dow Jones e + 650% per il Wilshire 5000) per entrambi gli indici.

Il grafico sottostante riporta la volatilità stimata del Dow Jones (curva verde) e la relativa proxy (curva gialla). Quanto più la curva gialla si sovrappone a quella verde, tanto più la stima è accurata.

Il secondo grafico sotto rappresenta invece la volatilità stimata del Wilshire 5000 (curva blu) e la relativa proxy (curva viola). Anche in questo caso, quanto più la curva blu si sovrappone a quella viola, tanto più la stima è precisa.

È interessante notare come le volatilità dei due indici abbiano un andamento molto simile.

Entrambe, infatti, hanno cominciato ad innalzarsi nella seconda metà di Febbraio ed hanno raggiunto i rispettivi picchi a metà Marzo. Questo andamento riflette perfettamente quello della curva epidemiologica USA.

Il 26 Febbraio è proprio il giorno in cui è stato confermato il primo caso positivo nel Paese ed a metà Marzo la Food and Drug Administration e l’Ente Federale per la gestione delle emergenze (FEMA) hanno adottato le principali misure per il tracing ed il trattamento degli infetti e per arginare il contagio. Questo però è anche il periodo in cui le principali organizzazioni sovranazionali rendono note al pubblico le loro previsioni sull’impatto della pandemia sul PIL mondiale (si veda ad es. l’Interim Economic Outlook dell’OCSE).

Tra la seconda metà di Marzo e Maggio la volatilità si è gradualmente ridotta a fronte di un calo del numero giornaliero di nuovi casi positivi e di un aumento del numero giornaliero di guarigioni. Anche l’inizio del programma di acquisto per l’emergenza pandemica della BCE (PEPP) annunciato il 18 Marzo potrebbe aver apportato un contributo importante in tal senso. Il 27 Maggio, giorno in cui viene presentato alla stampa il Recovery Fund, le due volatilità calano.

Nel mese di Giugno il trend crescente del numero di nuovi casi positivi ha fatto nuovamente innalzare la volatilità. In tale periodo, tuttavia, questo effetto negativo è stato più contenuto rispetto al mese di Marzo sia perché, contemporaneamente, era stato registrato anche un robusto aumento del numero di pazienti guariti giornalmente, sia perché in Europa la prima ondata si stava esaurendo.

Si noti comunque che la volatilità in corrispondenza del massimo di Marzo ed in corrispondenza del massimo di Giugno è sovrastimata per entrambi gli indici, come si evince confrontando le due curve delle volatilità stimate con le rispettive proxy.

Per il Wilshire 5000 si osserva un terzo picco nella seconda metà di Settembre, che, in ogni caso, è molto inferiore rispetto ai due precedenti ed è sovrastimato.

Un ennesimo aumento della volatilità si verifica nel mese di Ottobre, lasso temporale in cui pesano sia l’inizio della seconda ondata in Europa che l’incertezza relativa agli esiti delle elezioni presidenziali, con l’ipotesi concreta che Trump possa contestare i risultati del voto e che possano verificarsi episodi di disordini e violenze nel Paese. Le previsioni rassicuranti sul tasso di crescita del PIL cinese nella seconda metà dello stesso mese vengono accolte con indifferenza, presumibilmente perché ritenute poco credibili dal mercato.

I primi dieci giorni di Novembre sono caratterizzati da una crescita della volatilità proprio a causa del fatto che il risultato elettorale del 3 Novembre è poco chiaro ed il presidente uscente minaccia ricorsi legali contro il suo avversario.

Il consolidarsi della vittoria di Biden e le sconfitte del suo sfidante nelle sedi giudiziarie nei giorni seguenti sembra rassicurare gli investitori comportando una discesa delle volatilità.

A Dicembre, l’annuncio di Pfizer sull’efficacia al 90% del suo vaccino, l’inizio della campagna di immunizzazione in molti Paesi e la sottoscrizione dell’accordo sulla Brexit parrebbero avere effetti positivi ma comunque marginali.

Conclusioni

Dalle medie e dalle varianze si evince che rispetto al 2019 la media dei rendimenti di entrambi gli indici si è incredibilmente ridotta a fronte di un aumento della varianza.

Ciò ha avuto un impatto negativo sui fondi di investimento che operano seguendo una strategia di gestione passiva, ovvero quelli che si limitano a costruire un portafoglio che replica un certo indice e si pongono l’obiettivo di conseguire un rendimento uguale a quello dell’indice medesimo alla fine dell’anno.
Le stime di volatilità indicano che sia per il Dow Jones che per il Wilshire 5000 la pandemia è l’evento che nell’anno 2020 ha avuto le ripercussioni negative maggiori sulla rischiosità dei titoli azionari.

Le elezioni presidenziali hanno avuto un impatto assai meno forte, mentre l’annuncio dell’efficacia del vaccino con il conseguente inizio della campagna di distribuzione e l’accordo per la Brexit sono stati (quasi) insignificanti.

È altrettanto interessante constatare che la volatilità dei rendimenti ha avuto pressoché sempre un trend simile per entrambi gli indici, nonostante la loro profonda differenza di composizione e di modalità di calcolo.

Probabilmente i fattori di rischio principali per i corsi azionari nel 2021 saranno, oltre ovviamente al quadro macroeconomico ed alle iniziative di politica economica, la capacità dei governi di garantire che i programmi di immunizzazione di massa procedano secondo i piani prestabiliti e la possibilità che una qualche forma mutata del virus possa prolungare la pandemia.

Come ha scritto recentemente Gita Gopinath, Chief economist del Fondo Monetario Internationale (FMI):

“Le misure restrittive imposte per fronteggiare la pandemia hanno condotto ad una crisi globale peggiore di quella del 2008-2010. Entriamo nel 2021 con una speranza: che i vari vaccini siano efficaci, che siano implementate politiche adeguate e che il rimbalzo del PIL nel terzo trimestre del 2020 sia superiore rispetto alle attese.”

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Pubblicato da Luca Vota

Dottorando in Economia del Settore Pubblico presso l'Università di Salerno.

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