Di eccezioni, ringhiere ed inevitabili cadute

Viviamo tempi eccezionali, tempi in cui quella che era considerata la norma apparentemente non lo è più. Tempi di tassi di interesse negativi, tempi in cui le banche centrali fanno

“tutto il possibile per salvare l’euro”

(Mario Draghi, 26 luglio 2012, Global Investment Conference, Londra);

tempi in cui colossi come Lehman Brothers spariscono dal mercato in un battito di ciglia, tempi in cui rinunciamo a fondamentali libertà personali, alla nostra privacy, per difenderci dal pericolo terrorista.

Come osservato da Giorgio Agamben (Stato di Eccezione, Bollati Boringhieri, 2003) viviamo in un perenne “stato di eccezione”, in un Ausnahmezustand per usare il termine coniato dal filosofo politico Carl Schmitt (Le categorie del politico, il Mulino, 1972). Circostanze eccezionali, o apparentemente tali, spingono il potere politico, normativo e legislativo a sospendere, abrogare, emendare le leggi vigenti, proponendone di nuove, spesso più limitanti, col fine utile di imbrigliare il problema, di superarlo. Di fronte a certi eventi, il cittadino si sente smarrito, impaurito, perde i suoi tradizionali punti di riferimento, e la Politica (nel senso più ampio del termine) non può che cogliere l’occasione per elargire nuova sicurezza, per riportare l’ordine. Per espandersi.
Gli esempi non mancano, in vari campi del nostro vivere sociale. Pensiamo al Patriot Act negli Stati Uniti, dopo gli attentati del 2001, ora parzialmente superato dal Freedom Act, cui hanno fatto eco le varie leggi approvate in Europa nel corso degli ultimi anni, fino allo stato di emergenza dichiarato recentemente in Francia. O, in seguito alle crisi del 2008 e 2012, alla lunga interminabile sequela di regole partorite dal Basel Committee on Banking Supervision (BCBS), sotto il nome di Basilea II e III, col fine di regolare la vita di banche e istituzioni finanziarie, così da ridurne il rischio idiosincratico (al livello della singola banca) e sistemico (sull’intero sistema economico).
Proprio le numerose e arzigogolate regole di Basilea, il cui numero di pagine ha largamente superato quello di Bibbia e Corano combinati, danno un’idea dell’eccesso di regolamentazione cui stiamo assistendo negli ultimi anni. Regolamentazione il cui scopo sarebbe quello di ridurre il rischio, di regalarci sicurezza e mercati efficienti, ma che invece si sta rivelando per quello che è: un enorme, problematico fardello. Un coperchio troppo pesante su una pentola di acqua che bolle, col vapore che si accumula fino allo scoppio. Un volano per il rischio sistemico.

Ma come possono delle regole pensate per darci sicurezza aumentare il rischio?

Personalmente credo che la risposta migliore stia in quello che amo definire il paradosso della ringhiera (the fence paradox, in inglese), che ci mostra come certe protezioni, certe regole, diano solo un falso senso di sicurezza, mentre il rischio in realtà aumenta, e aumenta per tutti, poiché modifichiamo la nostra percezione dello stesso.

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Due amici si trovano sul bordo di un dirupo, di un canyon, e guardano in basso, verso il fondo del precipizio. Immaginiamo di essere in Arizona, dove alla fine dell’orrido scorre pacifico un bellissimo fiume, carico di terra rossa, uno spettacolo per gli occhi. Per ammirare una simile bellezza occorre però sporgersi, rischiare.
I due amici sono profondamente diversi. Lehman è un intrepido, ama il rischio e mai si sognerebbe di sporcarsi la maglietta nuova. Per ammirare il fiume si sporge baldanzoso dal bordo del canyon. Ha gambe solide, non ha paura, cosa mai potrebbe succedere? John non si definirebbe un pauroso, ma certo non ama assumersi rischi eccessivi. Per lui è più sicuro sdraiarsi per terra, e far sporgere soltanto la testa, il tanto che basta per gustarsi il panorama.
Purtroppo, non si sa bene per quale motivo – un giramento di testa, una distrazione – Lehman perde l’equilibrio e cade.

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Quando si assumono rischi, l’evento negativo è sempre dietro l’angolo, è inevitabile. Non esiste attività umana che sia immune dal rischio. Ci possiamo chiudere in casa, non fare nulla, ma il tetto potrebbe sempre crollare. Il rischio è il concetto più umano che esista: senza l’umanità non esisterebbe il rischio, come un testo sacro dell’induismo, il Bhagavadgītā, ci spiega. Quale sarebbe il rischio di un terremoto se nessun uomo potesse subirlo? E come cambia per noi il rischio dello stesso terremoto se ci colpisce in prima persona, o se succede dall’altra parte del globo?
Ma nonostante sia un aspetto intrinseco del nostro essere, il rischio non piace: vorremmo vivere senza rischio. Le autorità lo sanno e, per evitare nuovi drammi, e ancor più per rassicurare la cittadinanza sulla sicurezza del canyon, e scongiurare così un calo delle visite (e dei voti?!), decidono di costruire una ringhiera.

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Forse il lettore non lo sa, ma il triste caso di Lehman è stata la prima morte su quel canyon. Una morte tristissima, come tutte le morti, ma inutile negare che Lehman avesse assunto troppi rischi. Nessuno fino a quel momento si era sporto in modo così estremo.
Comunque, va detto, la ringhiera si dimostra un successo. Turisti prima restii a visitare il canyon e il suo meraviglioso fiume rosso si sentono ora sicuri, possono appoggiarsi alla ringhiera e guardare tranquillamente di sotto. Le autorità sono elogiate per questa protezione e garantiscono che, se mai servisse, faranno di tutto per preservare la sicurezza del canyon. Costruiranno ringhiere più forti, ma anche più belle. Si sa, l’estetica conta.
La voce della nuova ringhiera si diffonde, il numero di turisti s’impenna. Arrivano scolaresche, bus carichi di visitatori.
Un giorno, il successo è tale che tantissime persone si ammassano sul bordo del canyon, protette dalla ringhiera. Certo, si sta un po’ scomodi, non spingete!, ma c’è per tutti la possibilità di guardare il fiume rosso. Che spettacolo! Se volete, c’è un po’ di posto anche per voi.

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È bello poter ammirare un simile panorama, sentendosi sicuri. La ringhiera ci protegge. Tutti si sentono a proprio agio, la percezione del rischio è finalmente cambiata. Non è poi così pericoloso. Basta appoggiarsi saldamente a quel tubo d’acciaio, inspirare, e guardare in basso.[sociallocker].[/sociallocker]
Ma poi succede l’inimmaginabile. Troppe persone stanno facendo pressione sulla ringhiera che si rompe, lasciando cadere oltre 23 persone.

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Una tragedia assoluta. Un dramma mai visto prima. Un cigno nero?!
Ma com’è possibile? C’era la ringhiera!
È colpa delle autorità.
No, è colpa degli imprudenti.
Costruiamo una ringhiera più resistente.
No! Chiudiamo il canyon.
Si sentivano, ci sentivamo, tanto sicuri. Non lo eravamo.
Molte, troppe regole sono esattamente come la ringhiera di questa triste storiella. Ci danno solo un falso senso di sicurezza.
Vogliamo evitare il rischio, anche quando è inevitabile, e costruiamo barriere, ringhiere, muri, steccati. Ovunque ergiamo protezioni.
E quando abbiamo le nostre ringhiere ci sentiamo sicuri. Troppo sicuri. E così tendiamo a dimenticarci i rischi dai quali volevamo proteggerci, assumendo comportamenti irrazionali, temerari. Tanto non può succedere nulla di male!
Ma è proprio quando creiamo troppe regole per proteggerci dall’evento eccezionale, senza accettare che chi rischia troppo possa pagare, anche se è spiacevole, che stiamo preparando la prossima tragedia, la prossima crisi, il prossimo stato d’eccezione. Le regole servono, è indubbio, ma l’abuso è pericoloso. Il modo migliore di proteggersi dal rischio è conoscerlo, accettarlo, e comportarsi con la dovuta cautela, perché se no si paga, spesso caro. Non servono regole per questo.
Il prossimo cigno nero, che poi nero non era, è sempre stato lì. Siamo noi che gli abbiamo passato sopra una mano di vernice.

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Pubblicato da Pasquale Cirillo

Un estremista, in senso probabilistico. Specializzato nella ricerca di cigni neri, è spesso circondato da comunissimi polli. Insegna sotto il livello del mare (MOOC Professor of Risk Management at @TuDelft and @edXonline), perché non si studia il rischio senza assumerne in prima persona.

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