Ritorni sul capitale. Alzo gli occhi al cielo e…

In giornate di slavina finanziaria come quelle di oggi (FTSEMIB oltre il -4% e siamo ormai a  -20% rispetto ai massimi di giugno scorso) vale la pena far luce sullo scenario in cui ci troviamo.

Uno dei criteri più utilizzati per valutare se le azioni siano care o “a sconto” è il rapporto prezzo/utili (p/u), o meglio price/earnings (p/e).

La secolare esperienza di mercato che gli operatori applicano ha portato convenzionalmente a sancire che un rapporto p/e vicino a 16 sia “equo”. Quando è inferiore indica che la propensione al rischio del mercato è molto bassa e che le azioni sono a prezzi convenienti, viceversa quando è superiore indica una propensione del mercato a prendere più rischi (troppi?) valutando le azioni a prezzi eccessivi.

Quel valore di 16 deriva però da un confronto con il contesto: il rapporto è fra il prezzo dell’azione e gli utili annui della società rappresentata, dunque comprando una azione a prezzi “equi” dopo 16 anni, nell’ipotesi di utili costanti, avrò in tasca le azioni che ho comprato e nel frattempo tutto l’investimento mi sarà ritornato in tasca sotto forma di utili (o come dividendi o reinvestiti a rivalutare il mio asset).

Con le obbligazioni, che funzionano in altra maniera, il ragionamento potrebbe avere un approccio simile: nel mondo da cui veniamo le obbligazioni pagavano rendimenti medi del 4 o 5% (mettendo insieme governativi, corporate, high yield, ecc) se non di più: in pratica dopo 20-25 anni l’investitore si ritrovava il suo investimento iniziale ripagato in profitti ed il suo asset in mano. Brutalizzando il concetto è come se i bond avessero un rapporto prezzo/utili di 25.

Pertanto, considerata la maggior volatilità delle azioni è comprensibile che il mercato valutasse su di esse un valore inferiore (16) come “equo”.

Tuttavia, se siamo all’interno di una stagnazione secolare, come suggerisce l’ex capo della Fed Larry Summers, dove il nuovo paradigma sono tassi bassi, inflazione bassa e crescita anemica, allora dobbiamo rivedere tutto: i bond restituiranno il capitale in molto più tempo, ed il rapporto prezzo/utili delle azioni troverà un punto di equità su valori più alti.

Insomma, se arrivassero conferme a questo nuovo rallentamento globale, di cui la produzione industriale tedesca e le attese sul PIL americano sembrano ottimi (e nefasti) precursori, forse -passata una prima fase di fisiologica e tipica tensione sui mercati azionari- l’attenzione del mercato si sposterà altrove: le azioni di aziende patrimonializzate e con business solidi non verranno viste come portatrici di rischio, il mercato potrebbe imparare a sintonizzarsi sul discorso esposto poc’anzi facendo semmai tornare di moda gli spread sui titoli governativi perché a questo punto, nella stagnazione globale e pluriennale, il peso di certi debiti potrebbe indurre a ritenere inevitabile una dolorosa ristrutturazione: il debito italiano, per esempio, nei piani del governo Monti, quando introdusse le misure di austerity, avrebbe dovuto portarci al 115% del PIL a fine 2014, mentre siamo proiettati ad un inquietante 140%.

La tiritera è sempre la stessa: servirebbero tagli alla spesa per liberare risorse verso spesa produttiva, investimenti e riduzioni fiscali. Ma non si riesce a fare quanto si dovrebbe (vorrebbe?) mentre il carico di servizi, previdenza, welfare e interessi sul debito rimane integro nella sua pesantezza. Il risultato finisce per essere sempre una compressione del tenore di vita della larga maggioranza dei cittadini: che sia la TASI in un caso, o il ticket sanitario in un altro, la riforma delle pensioni o la revisione dei diritti sul Lavoro. Se davvero questa è l’unica destinazione dei problemi la presa di coscienza, anche degli investitori, è che lo spazio per ulteriori compressioni del tenore di vita è sempre più ridotto, un po’ come lo spazio di capacità concreta di intervento delle Banche Centrali…

E da lì a tirare severe conclusioni potrebbe non correrci molto.

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Pubblicato da L'Alieno Gentile

Precedentemente conosciuto con il nickname Bimbo Alieno, L'Alieno Gentile è un operatore finanziario dal 1998; ha collaborato con diverse banche italiane ed estere. Contributor OCSE nel 2012, oggi è Global Strategist per l'asset management di una banca italiana.

2 Risposte a “Ritorni sul capitale. Alzo gli occhi al cielo e…”

  1. Articolo molto interessante.da ignorante mi sorgono spontanee alcune domande;
    1. Se l’italia dovesse ristrutturare il debito l’impatto sull’intero sistema sarebbe disastroso. Forse non converrebbe tentare tutte le altre sttrade disponibili (mi sembra che qualche altra carta da giocare ci sia).
    2. Due ristrutturazioni del debito in 3 anni.a nessuno viene il dubito che questa politica sia fallace?
    3. Tutte le aziende italiane cosa farebbero? Abbiamo una potenza industriale non paraginabile a quella della grecia…si crede davvero che tutti starebbero calmi e tranquilli? Siamo 60 milioni di individui…qualcuno in piu della Grecia
    Un’altra cosa che mi lascia perplesso è che ho sentito dire che la troika sulla spagna ha fatto il miracolo…sembra a me oppure la disoccupazione in Spagna si aggira sul 25%? È da considerarsi un successo?

  2. Le domande sono considerate, su questo sito, una risorsa e quindi sempre benvenute.
    1. L’impatto di una ristrutturazione sarebbe disastroso, sì. Ed esistono altre opzioni, che però per un motivo o per l’altro finiamo per non concretizzare. L’allusione alla ristrutturazione l’ho fatto con l’amarezza di chi osserva gli eventi e si ritrova atterrito davanti ad un atteggiamento di eterna dilazione, quasi ad attendere nel medio termine che siano gli eventi a decidere, per poterci definire vittime -appunto- degli eventi.

    2. Non capisco quali sarebbero le due ristrutturazioni in tre anni

    3. La Trojka in Spagna ci ha messo poco il naso, è stata introdotta una riforma del lavoro che ha garantito il rilancio. Per costruire è stato necessario distruggere. Con buona pace del fatto che stiamo parlando di persone, non di mattoni o di buoi.

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