Shanghai, il listino più “rosso” che c’è

shenzen
Il 2016 è iniziato come peggio non poteva per la borsa cinese: al primo giorno di contrattazioni -7% e mercati sospesi per evitare che peggiorassero, nei giorni seguenti la sospensione viene attuata ancora prima: questa mattina i mercati sono stati stoppati dopo meno di mezz’ora di contrattazione di fronte ad un nuovo -7%.

Il mercato è bello, ma solo se sale

C’è una preoccupante immaturità ed inesperienza di mercato in chi amministra il listino del Paese con il secondo (primo?) PIL del mondo. Le vendite sono state avviate da un brutto dato sul PMI manifatturiero, che peggiora ininterrottamente da 10 mesi, e hanno trovato un inatteso “via libera” dalla scadenza del “blocco alle vendite” che Pechino aveva imposto in estate, quando l’accusammo di dirigismo

l’atteggiamento di vietare al mercato di esprimere la propria negatività trasmette un’immagine da pentola a pressione. Finché la valvola viene tenuta tutto sembra in quiete, quando per distrazione o per necessità si lascia aperta un attimo la valvola ecco che il fumo prorompe con irruenza riempiendo la cucina in pochi -spaventosi- attimi. E’ un comportamento molto preoccupante: quest’ansia di celare la situazione autorizza ciascuno di noi a pensare al peggio. Per esempio: sappiamo bene che il prezzo del petrolio dipende dalla crescita mondiale, e per questo la frenata dell’economia cinese ha contribuito notevolmente alla discesa dei prezzi dell’oro nero, ma è altrettanto vero che la “crescita mondiale” è stata negativa (-2%) solo nel 2009 , mentre ha registrato una variazione più o meno positiva in tutti gli ultimi dieci tormentati anni

Data from World Bank

Quindi il prezzo del petrolio non deriva dalla crescita mondiale (perché è evidente che questa ci sia stata negli ultimi anni), ma dalle aspettative di crescita. Anche per questo 2016 le aspettative, appena riviste in discesa, passano da +3,3% a +2,9%. Se il mercato delle materie prime si basasse sull’andamento puntuale dell’economia mondiale registrerebbe una crescita meno forte, invece scende così pesantemente e da così tanto tempo da far pensare che l’attività economica si stia fermando.

Tutto questo avviene anche a causa della finanziarizzazione di ogni variabile economica, tuttavia proprio perché tutto dipende dalle aspettative, l’atteggiamento dirigista esprime tutta la sua pericolosità. Questa signorina vestita di rosso, che tanto si affanna a “tenere le mani sulla gonna ad ogni folata di vento” genera delle aspettative:

cosa ci sarà mai sotto la gonna? Forse delle cosce non depilate? Mancheranno gli slip? O forse -no, non ci posso credere- ci sono sorprese insospettabili?

Sulla scorta di ragionamenti di questa foggia, potremmo vedere il prezzo del petrolio andare a 20$, le borse occidentali scontare gli scenari più cupi di avvitamento economico globale, le valute e le economie di paesi fragili andare pesantemente sotto pressione… eccetera

Purtroppo da questo genere di situazione un intervento monetario della BCE o della BoJ poco potrebbe fare. E’ possibile che la revisione delle basi di calcolo per il coefficiente di inflazione -visto che siamo entrati nell’anno nuovo- possa costituire la “notizia” che risolleva un po’ gli animi. Ma quello che più di tutto ci serve è una Glasnost cinese. La mancata trasparenza di Pechino grava come un handicap su tutta l’economia mondiale, e per la stessa ragione per la quale potremmo contribuire ad incentivi anti-inquinamento (o comunque sentirlo come un problema anche nostro), non possiamo fare spallucce e pensare “problemi loro“.

I mezzi di informazione si stanno affannando a spiegare che la Cina sta svalutando la propria moneta, in realtà accade quasi il contrario: a Pechino stanno dando fondo a tutte le loro energie per contenere la svalutazione dello yuan che seguirebbe il massiccio sell-off che sta avvenendo sui mercati da parte di quasi tutti gli investitori istituzionali e fondi sovrani. La Cina è infatti dilaniata da un dilemma: andare avanti a consumare le proprie riserve  per proteggere la propria moneta – danneggiando anche la propria competitività sul fronte delle esportazioni- o lasciare che si svaluti, dando così ulteriore vigore alla fuga dei capitali in corso.

La domanda interna ed il potere d’acquisto dei cittadini cinesi non sono ancora in grado di sostenere la transizione in corso da economia di trasformazione ad economia di consumo. Per ovviare a questo problema occorrerebbe una politica di innalzamento dei salari che minerebbe alla base la forza competitiva del paese.

Gestire una transizione di strategia economica strutturale non può essere esente da una certa dose di volatilità di mercato. Il governo cinese dovrebbe quindi preoccuparsi di impostare per il mercato regole chiare e provvedere al loro rispetto, anziché “inseguire” le bizze dei listini azionari. Perché è proprio quando si lascia che la volatilità dei mercati determini anche una volatilità nelle norme che può proliferare il panico.

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Pubblicato da L'Alieno Gentile

Precedentemente conosciuto con il nickname Bimbo Alieno, L'Alieno Gentile è un operatore finanziario dal 1998; ha collaborato con diverse banche italiane ed estere. Contributor OCSE nel 2012, oggi è Global Strategist per l'asset management di una banca italiana.

3 Risposte a “Shanghai, il listino più “rosso” che c’è”

  1. Ma di cosa state parlando? Ma pensate che tabelle e grafici rispondano a tutto? Ma dove vivete? Il prezzo del petrolio oltre ad essere un mezzo di ricatto politico tra gli stessi produttori è sceso (precipitato) a causa del combinato disposto dell’avanzare di nuove tecnologie
    1) (fracking) che oltre ad immettere un mare di olio sul mercato (calo prezzo per effetto concorrenza) hanno spinto i produttori classici a far crollare ulteriormente il prezzo per rendere tale tecnologia fuori mercato.
    2) Calo esponenziale dei costi di produzione da solare. Anche qui la sola possibilità per i produttori classici di ritardare la propria scomparsa (una volta che apparisse chiaro che il petrolio non è più la fonte più conveniente) è stata quella di cercare di mettere economicamente fuori gioco le fonti alternative ( i cui costi erano ormai assimilabili ai costi del petrolio) per ritardarne la definitiva esplosione.
    Tra costo petrolio e aspettative di crescita, attualmente non ci azzecca nulla (come direbbe DiPietro…)

    1. Gentile sig. Ghini, le componenti che lei cita nella determinazione del prezzo del petrolio ci sono tutte, sono parte del discorso, ma è altrettanto vero che se incappiamo in giornate in cui il petrolio perde il 4% o il 5% in poche ore non è certo per l’introduzione di qualche tecnologia.
      In ogni caso l’articolo verte sul tema del dirigismo e della trasparenza, la digressione sul prezzo del petrolio serviva solo a titolo di esempio per parlare dell’importanza delle aspettative per i mercati finanziari.

  2. A-SAN,

    /sai/ la People’s Bank of China Mi ricorda (aSSai) la Swiss National Bank (SNB) di quel buon tempone di Hildebrand (“Solo allora”? EHEHEH!).

    “Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde”.

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