Non pagare il lavoro, o pagare anche chi non lavora?

Ogni volta che dobbiamo fare qualcosa, o dobbiamo andare in un luogo, interagiamo con un software.  Ogni cosa che ordiniamo, sia prodotto sia servizio, l’abbiamo vista prima attraverso un software.
Quindi ogni nostra iterazione è pre-programmata via software. (Anche tutto il passato in questo modo è evidentemente memorizzato.)
Questo strato immateriale d’informazione che c’è intorno agli oggetti è invisibile, dobbiamo riflettere bene per immaginare gli impatti – su di noi.

Il lavoro e gli algoritmi
Le macchine comunicano tra loro, tecnicamente la comunicazione è M2M (machine to machine). Questo chiacchiericcio, con tassi di crescita tra i più alti, serve per svolgere il lavoro per le quali sono programmate. È un lavoro che si aggiunge al lavoro umano, ciò apre due mondi futuristici:
. Distopico, ossia il lavoro umano si riduce, disoccupazione e conflitti sociali
. Utopico, non abbiamo più bisogno di lavorare.

Il primo scenario è dato da chi considera il monte lavoro come un gioco a somma zero. Per costoro il futuro sarà una guerra tra noi e le macchine; vince chi costa meno.
Gli altri, invece, a maggior ragione, pensano di non lottare per avere una quota più grande di una risorsa scarsa come il lavoro, ma per cercare di avere nuove idee al momento non replicabili con l’automazione.

Non riusciamo a immaginare come vivere se non abbiamo il lavoro, o come scollegarlo da questo ciclo e vivere dignitosamente. O come progredire tutti insieme senza l’obbligo del lavoro.
Più efficienza raggiungiamo sulle cose che conosciamo e più posti di lavoro togliamo. E non possiamo esimerci dal farlo.
Però più innovazione mettiamo in campo e più lavori creiamo. E non dobbiamo esimerci dal farlo.

Il lavoro e la società
C’è uno iato che si allarga sempre più tra l’estrema efficienza del lavoro automatico e i lavori inutili che ancora affibbiamo a molte persone, pur di tenerle occupate.
Questa contraddizione arriva velocemente a un livello di rottura se:
– non cambiamo le basi della nostra società
oppure
– non ci inventano nuovi modi per essere produttivi, adesso.

La prima richiede innanzitutto una distruzione del contratto sociale, conflitti, miserie e tanto tempo. La seconda ipotesi è fattibile nel breve, ma dobbiamo far presto per non cadere nella prima ipotesi.
Il capitalismo moderno rappresenta un problema esistenziale per chi non riesce a lavorare.
Gli assiomi sono i seguenti e da secoli restano in rigorosa sequenza:
. Lavorare per produrre
. Produrre per guadagnare
. Guadagnare per vivere.

È da rimarcare il fatto che nessuno è riuscito a creare una società dove una parte consistente è libera dal lavoro. Non ci sono riusciti in nessun luogo, neanche per piccoli periodi. Il problema ora è che c’è una doppia tenaglia: da un lato, la lama del M2M e dall’altra la vita media che aumenta.
Accoppiato con il fatto che creiamo pochi lavori relativamente a quelli che vengono svolti dalle macchine, che sono più produttive nelle mansioni ripetitive, tutto ciò impone una sperimentazione su un nuovo contratto sociale.

La formazione del lavoro, poi il reddito
Non si può concludere una riflessione su questo argomento senza mettere in campo la questione delle risorse, ossia, come faranno a vivere coloro che non hanno il lavoro?
Occorre una forma di reddito.
Il reddito minimo è un tentativo di disaccoppiare la disoccupazione forzosa derivante dai cambiamenti tecnologici dalla mancanza di reddito per sopravvivere.

È un tema all’ordine del giorno, non è possibile che solo chi ha un reddito ha una dignità, ha un diritto di sopravvivenza. Ma c’è un enorme bisogno di risorse (la provvista da spendere) che purtroppo mancano.
Un reddito minimo è necessario, ma solo dopo aver fatto delle azioni:

  • La prima, sulla formazione. Sulla formazione bisogna essere più specifici e prendere posizione. Molti ritengono che ci sarà spazio per chi ha competenze nelle STEM (acronimo per Scienza, Tecnologia, Ingegneria e Matematica) altri nelle discipline umanistiche. Non c’è una risposta giusta, bisogna lasciarsi guidare dalle proprie capacità, però si deve difendere coloro che appaiono in minoranza in questi tempi tecnologici: i letterati. Essi sono bravi a imparare, a fare problem solving, hanno competenze organizzative e sanno comunicare bene. Anche loro vedono la prossima opportunità di business, talvolta anche prima dei tecnici (tra i quali mi annovero).
    I risultati ci saranno nei tempi lunghi, ma bisogna spiegare a tutti che moltissimi lavori si perderanno e troveranno online, con un click.
  • Seconda azione, investire.
    Dobbiamo investire moltissimo su settori innovativi e aumentare la domanda di tecnici, manager, venditori, etc. Ogni occupazione di questo tipo, cioè cognitiva, crea cinque posti di lavoro manuali (es. meccanico, muratore, estetista) cfr. il libro “La geografia del lavoro” del prof. Enrico Moretti.

Per tutti i restanti lavoratori che per varie ragioni cadono fuori dal mondo del lavoro c’è da prevedere un reddito a supporto.

Il lavoro e la politica
Se però partiamo dal reddito non avremo mai la volontà politica e, a mio parere, neanche la sostenibilità economica. Non è solo un tema economico, ma etico, che riguarda l’esistenza di milioni di persone e l’equità di ridistribuzione delle risorse a coloro che non hanno potuto o voluto contribuire a produrre.
Quello che non dobbiamo fare è aspettare la crescita, perché:
È la crescita che crea occupazione o è l’occupazione che crea la crescita?
La seconda, a mio parere.

Dobbiamo risolvere il problema dal punto di vista politico: oggi consideriamo la nostra società basata fondamentalmente sul lavoro, che ci dà benessere e ricchezza; d’altro canto, il capitalismo da secoli cerca di limitarlo al minimo, ora con la tecnologia digitale ci sta riuscendo.
Però vendiamo sempre meno prodotti in favore di servizi, quindi il corollario è che i clienti acquistano più soluzioni, ossia persone che mettono a disposizione le loro esperienze.

Le persone si portano dietro la loro inefficienza, variabilità e problemi, certo, ma solo da loro nascono le nuove idee, quelle necessarie all’innovazione.
Nonostante il terrore diffuso dai media, non viviamo (ancora) in un mondo solo adatto ai computer, quello statico e deterministico.
Per tutte queste ragioni il lavoro creativo deve essere sempre pagato.

Twitter: @massimochi 
l’immagine di testata è © Shutterstock
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Pubblicato da massimochi

Massimo Chiriatti è un tecnologo con Master nella gestione dell’ICT, descrive l’economia digitale e osserva le conseguenze sulle persone, in particolare sull’occupazione. Collabora con il Sole24Ore-Nòva100.

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