TPP – un breve “bignami”

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La realizzazione della Trans-Pacific Partnership (TPP) sembra essere oggi uno scenario più probabile. Lo scorso 5 Ottobre si sono concluse le interminabili negoziazioni tra i rappresentanti delle dodici nazioni che saranno parti costituenti dello storico patto commerciale sulle coste del Pacifico. Un mese dopo è stata poi pubblicata per la prima volta la versione integrale dell’accordo, che negli anni della sua formazione è stato tenuto segreto per dar maggior autonomia ai negoziatori. Il trattato è stato pubblicato online i primi giorni di Novembre, ed è costituito da trenta capitoli che si articolano su oltre cinquemila pagine.

Le Origini

Le origini del TPP risalgono all’anno 2006, quando Singapore, il Sultanato del Brunei, il Cile e la Nuova Zelanda avevano posto in essere una partnership economica e strategica. Solamente due anni dopo, nel 2008, gli USA, l’Australia e il Perù avevano fatto richiesta esplicita per iniziare una negoziazione sul libero scambio con i suddetti paesi.

I paesi che si sono poi aggiunti alla formazione del TPP sono stati la Malesia ed il Vietnam, nel 2010, seguiti dal Messico e dal Canada nel 2012. Ultimo ad aderire nel 2013 è stato il Giappone.

Per formare il corpo dell’accordo sono stati necessari oltre cinque anni di negoziazioni e dibattiti. Vista la complessità e l’elevata mole di temi da trattare ci sono stati ben 19 incontri istituzionali che si sono tenuti nelle maggiori città delle coste pacifiche.

Terminate le negoziazioni, e pubblicato a sua volta il corpo definitivo dell’accordo, rimangono tuttavia ostacoli non indifferenti da oltrepassare prima di vedere il TPP trasformarsi in realtà. Ciascuno dei dodici Stati interessati dovrà infatti procedere con una revisione legale dell’ampio documento, per poi procedere alla sua approvazione e successiva ratifica.

Tra le minacce maggiori alla realizzazione del TPP vi sono indubbiamente gli intricati interessi politici e strategici in ballo. La valenza geopolitica del patto è incommensurabile.

Il TPP andrà ad interessare dodici nazioni che rappresentano circa il 40% del PIL globale.

L’immagine sotto permette di comprendere la magnitudo del TPP, focalizzandosi sui volumi di beni commerciati tra gli USA e le altre undici nazioni dell’accordo.

A Cosa Serve?

Con la sua entrata in vigore, il TPP darebbe luogo all’eliminazione di migliaia di tariffe d’importazione e altri tipi di barriere commerciali, e allo stesso tempo favorirebbe e tutelerebbe le attività di investimento tra gli Stati interessati. Ma oltre a questo avrebbe una valenza più ampia e determinante per gli equilibri politici e commerciali mondiali. Oggigiorno, i trattati commerciali non si limitano infatti a favorire i flussi commerciali tra paesi, ma sono in compenso diventati il modo ed il mezzo principale per negoziare l’andamento dell’economia globale, stabilendo regole e standard comuni per i paesi aderenti.

Il TPP infatti stabilirebbe un insieme di regole uniformi su temi molto delicati. Tra questi, il capitolo sulla proprietà intellettuale è il più controverso del trattato, a causa dei suoi effetti a largo raggio sui numerosi settori dell’economia. Gli standard ambientali costituiscono un altro tema caldo, dalla difficile risoluzione effettiva. Così come la regolamentazione del lavoro.

Si tratta di una sfida complessa, soprattutto se consideriamo che al TPP aderiranno paesi che continuano oggi ad avere un impianto normativo differente sui temi in questione.

La moltitudine di aspetti trattati, in ambiti di business spesso profondamente diversi gli uni dagli altri, crea ampi margini di dibattito, sia tra le parti politiche che tra privati cittadini, che si vedono via via sempre più al centro dell’accordo.

I paesi aderenti e le principali implicazioni del TPP

Negli Stati Uniti, il Presidente Obama si trova a portare avanti con determinazione il processo di approvazione del TPP, volendo lasciare in eredità al paese un panorama politico e commerciale rivoluzionato, da cui ripartire, sia per rafforzarsi commercialmente sia, e soprattutto, per limitare l’irrefrenabile espansione economica e politica della Cina.

Negli USA il dibattito è ad oggi particolarmente acceso. In vista delle presidenziali, il terreno di gioco su cui Obama dovrà giocare una delle partite più rilevanti del suo mandato è ostile. Democratici e Repubblicani, in primis la Clinton e Trump, stanno ostacolando il TPP con dure critiche, e questo certo non renderà facile l’iter di approvazione dell’accordo da parte del Congresso.

I contrari al TPP stanno concentrando il proprio disappunto su quelli che sarebbero i plausibili effetti negativi dell’accordo sul mercato del lavoro, sia per quanto riguarda il livello occupazionale che il livello dei salari, entrambi aspetti cari al bacino elettorale.

A livello di business, il settore del tabacco è uno dei campi su cui Obama rischia di perdere voti importanti. Questo perché ai produttori di tabacco è stato vietato di intentare causa, ossia di servirsi dello strumento di diritto pubblico noto come investment-state dispute settlement (ISDS). L’ISDS è uno strumento presente in un gran numero di trattati di libero scambio e d’investimento, che prevede l’istituzione di un tribunale commerciale ad hoc, per proteggere gli investimenti internazionali delle imprese straniere da ingiuste espropriazioni o da un trattamento discriminatorio del paese di accoglienza.

La facoltà di far ricorso all’ ISDS sarà invece permessa alle società operanti in tuti gli altri settori coinvolti nel trattato. Così, come detto lo scorso 3 dicembre da Dave Reichert, politico americano, circa quindici Repubblicani con buone probabilità si opporranno al passaggio del TPP poiché contrari alla discriminazione nei confronti dell’industria del tabacco. I Repubblicani si sono pronunciati contrari anche su altre questioni: nel settore farmaceutico si schierano infatti contro le modalità e le tempistiche di protezione dei farmaci e dei loro brevetti.

In particolar modo si è molto discusso sull’estensione temporale dei brevetti di una specifica categoria di farmaci: i farmaci di origine biologica.

Pochi altri argomenti nel corso delle lunghe negoziazioni per la formulazione del TPP hanno generato tante polemiche. Neanche il difficile capitolo sulla proprietà intellettuale è stato così tanto dibattuto.

La posta in gioco è altissima nel settore dei prodotti farmaceutici. Per questa ragione, l’industria farmaceutica è oggetto di forti pressioni da parte delle lobby che vorrebbero limitare la competizione nel mercato, sostenendo che una maggiore protezione sia necessaria per consentire alle società farmaceutiche di finanziare le attività di ricerca e sviluppo. A queste considerazioni si sono opposti duramente i gruppi per la salute pubblica, sostenendo che tutto ciò causerebbe un innalzamento di prezzi tale da privare l’accesso a medicinali vitali per milioni di persone.

Il TPP renderebbe i farmaci più costosi e inaccessibili in due modi. In primo luogo consentendo alle aziende l’estensione dei brevetti per i farmaci. Infatti, il TPP lascia libertà ai governi di estendere i termini di brevetto al di là dell’usuale termine di 20 anni. In secondo luogo, attraverso la protezione dell’esclusività dei dati per quanto riguarda i farmaci biologici.

Rispetto a questa tipologia di farmaci, la questione di quanto tempo le aziende possono mantenere i dati segreti, è stato uno dei principali punti di scontro nei negoziati.

I farmaci biologici sono più difficili e costosi da realizzare e costano in media 22 volte di più rispetto a farmaci di tipo standard. A causa degli elevati prezzi dei farmaci biologici, le aziende sono molto interessate a riprodurli, affidandosi ai dati provenienti dagli studi clinici presentati dal produttore originale del processo biologico.

Per evitare questo, negli USA la legge conferisce un periodo di esclusività dei dati di dodici anni. Per contro, in altri paesi ci sono regole più lasche, o addirittura l’esclusività può non essere contemplata. Ad esempio, il Giappone offre otto anni di protezione, mentre il Sultanato del Brunei ne offre zero.

Gli Stati Uniti (e le grandi compagnie farmaceutiche) hanno così spinto per accordarsi su 12 anni di protezione dei dati. L’accordo finale non è andato molto lontano: questa categoria di farmaci godrà di una protezione sui dati di almeno cinque anni, e in alcuni casi di almeno otto anni. Tuttavia, non soddisfatta, la fazione Repubblicana lamenta fortemente l’accordo in questione prendendo le difese delle case farmaceutiche.

Ritornando all’ISDS come strumento di risoluzione di dispute internazionali tra società e Stati, va aggiunto che si tratta di uno strumento che se da una parte certifica la sua efficacia nel proteggere gli investimenti, dall’altra però implica un rischio non indifferente per ogni Stato nella difesa della propria sovranità. Nel caso degli USA, la senatrice Elizabeth Warren, una delle maggiori voci critiche nei confronti del TPP, ha a più riprese ribadito il rischio per la sovranità americana, oltre anche ad una maggiore difficoltà nell’implementazione di un sistema di regole che tuteli i settori economici, come ad esempio quello bancario. Tuttavia la Casa Bianca rassicura che l’implementazione dell’ISDS sarà attentamente seguita dalle autorità per evitare futuri abusi su questo meccanismo risolutorio di dispute tra società e Stati.

Un’altra questione calda riguarda lo scambio ed i flussi di big-data, che acquisiscono sempre più valore in diversi campi, dalle telecomunicazioni ai servizi finanziari.

Per finire, il TPP è aspramente criticato poiché finirebbe inesorabilmente per favorire i maggiori attori dell’economia americana. Tra questi: le multinazionali, le società della Silicon Valley, le banche e Wall Street.

Per questa lunga serie di ragioni, se lo scorso giugno Obama è riuscito ad ottenere l’autorità (nota come fast track authority) di far votare il Congresso sul TPP con voto favorevole o contrario, escludendo emendamenti del testo, resta da vedere se sarà altrettanto capace di far passare il tortuoso testo dell’accordo finale sul TPP.

L’esclusione della Cina dal TPP aprirebbe grosse opportunità per i paesi limitrofi che fino ad oggi sono stati soffocati dalla leadership industriale cinese. È parere comune che il Vietnam sia uno dei paesi potenzialmente più favoriti dalla futura entrata in vigore del TPP. L’economia vietnamita si basa principalmente sulle esportazioni, e proprio per questa ragione, il Vietnam con buone probabilità ne uscirà vincitore.

È stato stimato che il TPP andrà ad eliminare circa 18.000 tariffe tra le dodici nazioni che prenderanno parte al suo atteso avvio. Una riduzione tariffaria di questa portata, nel caso del Vietnam, andrà ad impattare positivamente su molti settori, tra i più rilevanti quello del fashion e quello delle calzature, in un paese in cui il costo del lavoro rimane molto competitivo ed attrae oggi molti player mondiali attivi nel settore dell’abbigliamento.

Su tutt’altro versante, c’è il settore dell’agricoltura a preoccupare non poco Hanoi. In Vietnam, circa la metà della popolazione lavora nell’agricoltura. Il livello delle esportazioni di tipo alimentare ha raggiunto dimensioni elevate (oltre trenta miliardi di dollari nel 2014) e la domanda da parte dei partner commerciali del resto del mondo è in continua crescita. Il TPP, imponendo il rispetto di standard ambientali e lavorativi, pone allo stesso tempo minacce ed opportunità per il comparto dell’agricoltura. Gli esperti più ottimisti sostengono però che i benefici dovuti ad un miglioramento delle tecnologie agricole, grazie ai maggiori investimenti, supereranno i costi che il paese dovrà pagare.

Nel complesso, dal sito web della Banca Mondiale si leggono, per il Vietnam, previsioni di aumento del prodotto interno lordo di circa l’8% ed un atteso aumento delle esportazioni reali del 17%. Il graduale e notevole innalzamento del costo del lavoro nella vicina Cina sta concedendo spazio vitale all’industria vietnamita. Tuttavia, tra le maggiori sfide per il Vietnam ci sarà la regolamentazione del mondo del lavoro che dovrà rispettare i rigidi termini pattuiti dalle parti nel corso delle negoziazioni.

Oltre al Vietnam, anche i paesi latini come il Messico, il Cile ed il Perù faranno leva sul TPP. Cile e Perù potrebbero ottenere un più agile accesso al mercato americano e sfruttare il loro status di grandi produttori di commodities. Il Messico in misura ancora maggiore potrebbe beneficiare dall’accordo commerciale. La sua già intensa integrazione con Canada e USA, membri chiave del TPP, e le prospettive di una maggiore apertura commerciale con gli altri paesi membri come l’Australia, la Nuova Zelanda, il Brunei ed il Vietnam, aprono enormi opportunità commerciali al paese.

Resta delicato il tema del mercato del lavoro. Alcuni critici del TPP sostengono che con buone probabilità il trattato andrà a ribassare il livello dei salari medi data la maggiore competizione che si innescherebbe tra gli Stati interessati, con fenomeni probabili di offshoring verso altri paesi membri, dove il costo del lavoro è inferiore. Tuttavia, secondo le parole del Presidente messicano Nieto, il TPP stimolerà sia gli investimenti, che una maggiore presenza di lavori ben retribuiti per il suo popolo. Per queste ragioni il Messico ha adottato una linea propositiva nel processo di redazione del TPP, fiducioso del futuro sviluppo e dello sfruttamento di settori chiavi dell’economia su cui già ora sta lavorando, come ad esempio nell’ambito dell’industria aerospaziale. Una espansione messicana in Asia allargherebbe notevolmente lo scenario commerciale del paese. Ad oggi solamente uno degli oltre quaranta accordi di libero scambio posti in essere dal Messico è con un paese asiatico: il Giappone.

A proposito di Giappone, il Premier Abe cerca di riacquisire i punti di popolarità persi con il riavvicinamento militare agli USA, promuovendo la necessità per il paese di svolgere il proprio ruolo nelle dinamiche geopolitiche innescate dal TPP. Abe sta tornando quindi a concentrarsi sull’economia, desideroso di accelerare le riforme sistemiche avviate ma ancora lente nel loro processo di avanzamento. L’obiettivo primario sarebbe concedere al Giappone ed ai suoi settori economici un maggior accesso e sbocco nei mercati esteri. Il calo dei consumi domestici ed in generale un’economia in declino spingono l’Abenomics ad una apertura dei confini nazionali per espandere i rapporti commerciali con paesi esteri. Fatte queste considerazioni, sebbene il Giappone incontrerà svariati ostacoli e difficoltà, come nell’ambito dell’agricoltura, il primo ministro porterà fino in fondo il processo di ratifica del TPP. D’altronde per Abe il TPP è senza dubbio una vittoria politica necessaria.

Altro player rilevante nell’ambito del trattato è il Canada. Con l’entrata in vigore del TPP la maggior parte delle tariffe esistenti su un ampio raggio di prodotti esportati verrebbe meno. Un vantaggio deriverebbe anche dalla liberalizzazione sugli investimenti promossa dal TPP, che assicurerebbe agli investimenti canadesi nei paesi membri della Trans-Pacific Partnership un trattamento equo e non discriminatorio.

Così come il Canada, anche i rimanenti Stati costituenti il TPP godrebbero in linea generale di un maggior accesso ai mercati dei paesi membri e della possibilità di lanciare piani di investimento tutelati e non discriminati nei territori del Pacifico. Questo cambierebbe così il panorama mondiale commerciale e la distribuzione geografica degli investimenti.

Il dilemma della Cina

Nei paragrafi precedenti è già stato affermato che il TPP è un trattato di tipo aperto. Questo significa che, anche successivamente alla sua approvazione, potranno aderire altri paesi.

A quanto si dice la Cina è stata invitata dagli USA ad aderire al trattato. Il tema però è molto caldo e sensibile. Infatti, i rapporti tra le prime due potenze mondiali sono tesi, dati i grandi interessi strategici e geopolitici in ballo. L’invito dunque rivolto dagli Usa alla Cina a prendere parte al TPP, anche entrando a trattato concluso e già operativo, non è un invito di cortesia. Dietro si celano ragioni di tipo strategico attentamente pensate.

Dato che il TPP, oltre a favorire i flussi commerciali, impone ai paesi aderenti il rispetto di determinati standard, sembra che Washington, chiamando Pechino ad entrare a far parte dell’accordo, voglia nel lungo termine relegare la Cina in un sistema economico basato sulla legge.

La Cina parte però riluttante nella valutazione della proposta.

Il solo fatto che il Giappone sarà uno degli attori più influenti del TPP ha disturbato non poco politici ed esperti in commercio cinesi. Il Giappone è ancora oggi il maggior rivale politico e militare dalla Cina. Il TPP garantirebbe al Giappone l’accesso al mercato americano, soprattutto in settori ad alto tasso tecnologico, come il settore automobilistico e quello delle telecomunicazioni. Proprio dove la Cina sta cercando negli anni di raggiungere una posizione di leadership.

Qualora la Cina confermasse la sua intenzione a rimanere fuori dal TPP, allora il suo PIL finirebbe con ottime probabilità per indebolirsi, peggiorando all’aumentare del numero di Stati aderenti al trattato. Infatti, un trattato commerciale di questa portata aiuterebbe i paesi membri a dipendere meno dalla Cina e a dipendere maggiormente dai commerci tra loro stessi.

Fatte queste considerazioni, va però enfatizzato il fatto che la contemplazione della Cina su una sua eventuale entrata nel TPP è già di per sé un enorme successo, perché il TPP andrebbe a toccare delle tematiche, non necessariamente commerciali, che sono punti dolenti per Pechino. Il TPP, infatti, è il primo accordo commerciale in tutto il mondo a trattare il tema della protezione ambientale e degli standard di salute, sollevandoli e affrontandoli come problemi globali. Il TPP contiene anche specifiche disposizioni in tema di norme del lavoro, e incoraggia la cooperazione nel trattare temi delicati come la parità di genere.

Inoltre, nel valutare le sue prospettive di entrata, la Cina indica al mondo che è pronta ad affrontare le sfide poste rispetto alle imprese statali, ree di intralciare la concorrenza. Questo, genererebbe indubbiamente grandi cambiamenti vista la centralità in Cina ancora oggi occupata dalle imprese statali nei diversi ambiti di business.

Dalla Cina arrivano in questo senso richieste di maggiori chiarificazioni rispetto ai requisiti da soddisfare per entrare a far parte del trattato.

Contemplando l’entrata nel TPP la Cina segnala, più o meno direttamente, di essere pronta ad affrontare tali questioni politicamente sensibili, per scongiurare la perdita di peso politico e commerciale nell’eventualità dell’entrata in vigore dell’accordo trans-pacifico.

Quali sono gli altri paesi che valutano l’adesione al TPP?

Il futuro riserverà sorprese e stravolgimenti, come l’entrata molto probabile nel TPP di nuovi paesi, che potrebbero così accrescere esponenzialmente la portata economica del trattato.

L’Indonesia è tra i paesi che potrebbero in un secondo momento prendere parte al TTP, e questo andrebbe ad aumentare il peso del trattato, con l’aggiunta di una nazione con un PIL stimato intorno al trilione di dollari. Qualora entrasse effettivamente a far parte del pool di nazioni che costituiscono il trattato, sarebbe la quarta più grande economia ad aderire.

L’Indonesia ha estesi rapporti commerciali con la Cina, e questo ha fatto si che negli anni camminasse sul filo dell’equilibrio tra Pechino e Washington. Detto questo, una sua partecipazione alla stipula del trattato sarebbe un segnale molto importante, visto che il TTP ha come attore principale gli USA e come maggior escluso la Cina. L’appoggio del presidente indonesiano Widodo è già di partenza una vittoria politica per Obama.

Per garantirsi l’ingresso però l’Indonesia è chiamata a liberare il settore privato, rimuovendo innumerevoli barriere che nel tempo, perseguendo una politica basata sul protezionismo, sono state erette. La burocrazia interna dovrebbe essere sfoltita e quindi riorganizzata secondo logiche più snelle. Altro tema caldo è la corruzione che negli anni ha ostacolato l’economia domestica. Per l’Indonesia si parla di un tempo minimo di due anni prima di poter pensare di far parte dell’insieme di paesi del TPP. A complicare le cose, c’è il fatto che il presidente Widodo gode di una ristretta base parlamentare che ostacolerebbe non poco il processo di adesione al trattato.

Oltre all’Indonesia, anche le Filippine e, in modo meno deciso, la Tailandia, avrebbero dichiarato la loro intenzione a partecipare al trattato. Il TPP, come stabilito dagli USA, rimarrà anche dopo la sua approvazione un trattato aperto, a cui potranno aderire nuove nazioni, a condizione che gli standard concordati vengano rispettati.

Rispetto al potenziale ingresso della Tailandia, alcuni studi hanno dimostrato che il paese potrebbe beneficiare enormemente dall’adesione, e risultare addirittura come uno dei maggiori beneficiari, secondo solo al Vietnam. Ovviamente queste considerazioni hanno una valenza generale, e non varrebbero perciò per specifici settori come già sottolineato dalle forze politiche. In particolare, i temi dei brevetti farmaceutici e delle biodiversità sono particolarmente sensibili nel caso della Tailandia. Sembrerebbe quindi che i politici tailandesi abbiano presente l’importanza strategica dell’entrata nel patto, che permetterebbe alla nazione di affiancare le altre quattro potenze asiatiche (Brunei, Singapore, Malesia e Vietnam). Resta però da capire se vi sia margine d’azione per cambiare il paese a tal punto da renderlo idoneo al suo ingresso nel TPP.

Per quanto riguarda le Filippine vi è stata una pubblica dichiarazione di interesse ad aderire al TPP. Anche in questo caso però notevoli complicazioni potrebbero rallentare non poco il suo ingresso. Ad esempio, la presenza ancora oggi di aziende statali, piuttosto che le presenti limitazioni per le società estere relativamente a certi settori, si scontrano con le linee guida da rispettare per prendere parte al trattato. Vi sono anche altri ambiti in cui le Filippine devono intervenire in modo sostanziale, cambiando laddove necessario alcune parti della Costituzione. Per fare questo sembrano però non esserci i voti necessari. Tutto sommato, la Tailandia, rispetto alle Filippine, è equipaggiata meglio per aderire al TPP. Da oltre tre anni, Bangkok sta conducendo un’analisi dettagliata di costi e benefici. Il punto è che il dissesto politico nazionale interno al paese è troppo pronunciato oggi giorno perché le forze politiche si focalizzino sul TPP.

In una posizione ancora più solida per un eventuale ingresso c’è la Corea del Sud. La gran parte delle aziende sud coreane sembrerebbe spingere Seoul ad entrare nel trattato. Tuttavia la Corea risulta essere un partner strategico desiderato da più potenze mondiali, in primis Usa, Russia e Cina. Gli Usa trovano quindi ostacoli nella loro opera di convincimento volta a far entrare la Sud Corea nel TPP. L’interesse americano è un interesse di tipo sia strategico che commerciale.

La Cina è per la Corea del Sud il principale partner commerciale. Mentre per la Cina, oltre al peso dei rapporti commerciali, vi è un interesse di tipo geopolitico nella Corea del Sud, visto il posizionamento geografico, che permette a Pechino di tenere sotto controllo la Corea del Nord.

Il leader supremo nord coreano Kim Jong-Un costituisce sempre più una minaccia nel sud est asiatico, e per questo la Cina punta a monitorare con costanza le sue azioni.

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Pubblicato da Edoardo Maria Nofri

Dopo qualche anno di esperienza in Cina, si dedica alla ricerca e all'analisi di mercato per Mandarin Capital Partners sui mercati cinese ed italiano.

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