A tutto vapore verso il TTIP

Imperversa in tutta Europa – decisamente meno in Italia – il dibattito sui negoziati per il trattato transatlantico UE-USA per il commercio e gli investimenti, da cui l’acronimo inglese TTIP.

Tale trattato, modellato sulla base di quelli (BIT) già stipulati dagli Stati Uniti con vari paesi del mondo creerebbe, attraverso la riduzione o l’eliminazione di barriere regolatorie e tariffarie, un’area di libero scambio – con NAFTA e ALEE – rappresentante circa il 50% del PIL mondiale ed un terzo del commercio internazionale.

Va preliminarmente osservato che alcuni commentatori, lo stesso Alberto Forchielli di questo sito, ritengono che l’accordo, per varie motivazioni, non si farà. Altri invece condizionano la sua approvazione alla chiusura delle trattative nel periodo compreso tra le elezioni di midterm di novembre 2014 e le elezioni presidenziali del 2016, così che il Congresso USA possa approvare il trattato senza essere distolto da problematiche politico/elettorali.

Per parte mia, ritengo che l’accordo, a prescindere dall’esatta scadenza, si farà e determinerà un momento irreversibile per l’unione europea e per i paesi aderenti.

Se si farà, cioè, sarà ancora possibile ipotizzare la disgregazione (a meno di tragici eventi) dell’unione europea e della moneta unica? E’ razionale che le maggiori industrie e i maggiori investitori del mondo prendano attivamente parte ad un progetto per poi esserne espulsi per effetto del ripudio unilaterale del trattato da parte degli Stati e del ritorno alle monete nazionali? Ed è razionale che singoli paesi possano autoescludersi da un’area di scambio così vasta condannandosi all’isolamento?

Sia la geopolitica sia l’economia lasciano invece presumere che il mondo occidentale cercherà di far blocco, lasciando fuori dai confini (con costi regolatori/tariffari) i paesi emergenti o non allineati politicamente, i quali si troveranno costretti a negoziare successivamente accordi più gravosi per non perdere contatto con i mercati occidentali e comunque ad allinearsi agli standard produttivi occidentali. Non appare un caso che la Cina abbia, per rientrare dalla finestra prima di essere cacciata dalla porta, strategicamente iniziato ad acquisire partecipazioni societarie italiane, le meno costose e quelle con minor resistenza politica all’ingresso di soci così “scomodi”.

Quanto sopra rafforza, quindi, l’idea che sia l’unione europea sia l’euro siano destinati a sopravvivere a prescindere dalle difficoltà economiche dei singoli paesi. Tale risultato, però, non sarà ottenuto né mediante un’unione politica di tipo federale, per ora del tutto esclusa dai paesi nordici e che comunque richiederebbe decenni, né mediante la garanzia perpetua della BCE sui titoli sovrani, al momento attiva unicamente perché il fallimento di un paese travolgerebbe anche gli altri.

Tale perpetua garanzia presuppone, infatti, che tutti i paesi rispettino sempre e rigorosamente i vincoli all’ulteriore indebitamento, così da non vanificare automaticamente l’efficacia della minaccia della banca centrale di farsi acquirente del debito riversato sul mercato.

E’ sempre più evidente, però, che tali vincoli vengono mal compresi e digeriti dall’opinione pubblica europea, che li vede come ostacoli alla crescita e come imposizione di una tecnocrazia insensibile alle esigenze economiche.

Quando, quindi, sarà completata l’unione bancaria, con l’irrigidimento di Basilea III e la rottura del legame banche/debiti sovrani, non ci sarà più – o sarà molto più limitata – l’esigenza di contenere l’indebitamento dei singoli paesi e gli stessi potranno essere lasciati liberi di fallire/ristrutturare il debito senza che quello comporti la fine dell’unione europea o della moneta unica.

Sino a che non si determineranno tali condizioni, l’applicazione delle regole europee sui bilanci – almeno di quelle fondamentali – continuerà ad essere rigorosa ma i singoli paesi godranno della protezione della BCE e della Commissione, che farà di tutto per impedire la speculazione sui titoli sovrani e il fallimento di banche e paesi. Quando tale protezione non ci sarà più, il rispetto dei vincoli di bilancio sarà sostituito dal ben più gravoso e pericoloso, per i paesi con alto debito e bassa crescita, verdetto dei mercati.

Sotto il profilo del contenuto del trattato, il negoziato ha riguardato e riguarda quali settori e beni e servizi includere o escludere (energia, agricoltura, telecomunicazioni, industria automobilistica, servizi finanziari, prodotti chimici, diritti di proprietà intellettuale, ecc), sia sotto il profilo della riduzione/eliminazione di barriere tariffarie, sia sotto il profilo delle barriere regolatorie, relativamente alle quali l’accordo dovrebbe prevedere:

  • il mutuo riconoscimento, per effetto del quale un prodotto UE dovrà essere accettato in USA anche se non risponde agli standard richiesti dalla legislazione USA. Parallelamente, un prodotto USA dovrà comunque essere accettato in UE. UE ed USA non perderanno la “sovranità” di fissare e far rispettare regole per i prodotti realizzati nei relativi paesi, ma avranno sovranità limitata sui prodotti consumati entro i propri confini, qualora ovviamente gli stessi siano stati realizzati nel paese partner;
  • armonizzazione e cooperazione regolatoria: appare chiaro che stante il mutuo riconoscimento, per i contraenti diventa ben più semplice pervenire ad una regolazione comune sugli standard costruttivi/ambientali/igienico sanitari, ecc. Il trattato ovviamente non esclude, ed anzi incoraggia, tale possibilità;
  • accesso appalti/forniture pubbliche: in molti settori, sia in USA (“buy american act” e “buy america provision”) sia in UE, le norme chiudono o limitano l’accesso a concorrenti stranieri. Il trattato, pur non rimuovendo tutte le barriere, dovrebbe ampliare l’accesso ad appalti/forniture di enti federali, statali e locali;
  • clausole di risoluzione delle vertenze (Investor to State Dispute Settlement mechanism -ISDS): che succede se uno Stato di UE/US adotta provvedimenti che possano ostacolare, impedire o rendere più gravoso economicamente gli investimenti o il commercio di cui al parteniarato? Al riguardo, il trattato non esclude tale possibilità – né sarebbe stato possibile – ma prevede che in tal caso le vertenze vengano risolte da un collegio arbitrale – fuori, quindi, dalle tradizionali aule giudiziarie – che può anche comminare sanzioni, a titolo di risarcimento danni, agli Stati ritenuti responsabili di aver adottato provvedimenti “arbitrari” e lesivi.

Naturalmente, tutti gli elementi di cui sopra, nonostante le assicurazioni sulla loro portata, sono stati oggetto di un aspro dibattito nell’opinione pubblica europea.

E’ chiaro, infatti, che i primi due elementi potrebbero portare a dover accettare nei propri mercati prodotti realizzati non in conformità alle vigenti norme in materia di protezione dell’ambiente, della sicurezza alimentare, della salute in generale ed il terzo potrebbe essere usato come arma economica per costituire una sorta di legislazione parallela.

E’ poi del tutto evidente che nel momento in cui i produttori orientati unicamente al mercato domestico si trovassero costretti a rispettare normative più stringenti di quelle – meno costose – applicabili ai produttori stranieri, gli stessi non potrebbero che essere espulsi dal mercato oppure fare pressione per ridurre il peso della normativa loro applicabile.

Con riferimento a tali aspetti, rassicurazioni sono, a suo tempo, arrivate direttamente dal presidente Obama:

“I have fought my entire political career and as President to strengthen consumer protections. I have no intention of signing legislation that would weaken those protections”

e dall’ex Commissario Ue al commercio Karel de Gucht:

“We are not lowering standards in TTIP. Our standards on consumer protection, on the environment, on data protection and on food are not up for negotiation”

Con riferimento all’ISDS e alle sue implicazioni (il Guardian menziona i casi del Quebec, citato da una multinazionale per aver posto una moratoria sul fracking; dell’Australia, citata dalla Philip Morris per aver fissato limiti e condizioni al marketing delle sigarette; della Germania, citata dalla Vattenfall per il ripudio del nucleare), sembra che la posizione della Commissione europea sia ora mutata.

In più occasioni, infatti, il nuovo presidente della Commissione, Jean Claude Juncker, ha dichiarato, evidentemente accedendo alle richieste tedesche (contraria all’inserimento della clausola, nonostante essa stessa l’abbia inserita in altri trattati bilaterali stipulati con paesi satelliti), di voler rimuovere la clausola ISDS dal trattato.

Analoga posizione sembra sia stata presa, nonostante diversi e inspiegabili cambi di opinione, dalla neo Commissaria al commercio Cecilia Malmström.

L’Italia, tramite il delegato del Governo, il vice ministro all’economia Carlo Calenda, ha cercato di superare l’impasse sulla questione proponendo un accordo “leggero”, un interim agreement, in quanto tale non soggetto alla ratifica dei parlamenti nazionali.

Tuttavia, la proposta è stata immediatamente bocciata dall’Ambasciatore americano all’unione europea, Anthony Gardner, il quale ha precisato

“There are many geopolitical and economic reasons to conclude an ambitious agreement, and I say ambitious because we continue to believe, like our Commission colleagues, that only a comprehensive agreement would yield the significant results our leaders want”

Di fatto, l’Ambasciatore americano sottintende – oltre la naturale predisposizione a tutelare gli interessi del suo paese – che qualora l’accorso non fosse ampio e tale clausola non fosse inserita, non ne potrebbe essere reclamato l’inserimento in un futuro trattato UE/USA con la Cina o con altri paesi emergenti, vanificando gli sforzi per rendere più competitive le economie occidentali.

Sul trattato nel suo complesso, il governo italiano, dopo un lungo silenzio, si è dichiarato, con una dichiarazione acritica e non supportata da alcun dibattito interno sul testo dell’accordo né da alcuna analisi pubblica sulle ricadute e sui problemi da affrontare, totalmente a favore dell’accordo (Renzi: “Il TTIP ha l’appoggio totale e incondizionato del governo Italiano”).

Peraltro, dichiarazioni favorevoli sono arrivate anche da ambienti lontanissimi dalla Commissione europea, come nel caso di Roger Helmer, membro dell’UKIP al Parlamento europeo:

“We have no alternative but to support the deal”

Vi sono, quindi, buoni motivi per ritenere che l’accordo si farà e comprenderà una qualche forma di clausola ISDS.

Per quanto riguarda l’impatto del trattato sull’economia italiana, si rinvia al rapporto Prometeia e alle considerazioni di sintesi dell’ICE.

Entrambi gli istituti sottolineano le positive ricadute del trattato sull’economia italiana. Bisogna, però, ricordare che il Trattato costituisce un ulteriore tassello dell’inarrestabile processo di globalizzazione, la quale, come si è visto, è tanto più positiva quanto più si è in grado di affrontarla con gli strumenti adeguati. E viceversa, naturalmente, con tutte le conseguenze del caso.

Prenderne atto, trasformando integralmente l’organizzazione del paese e la sua struttura politico-amministrativa, rimane l’unica scelta possibile.

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Grazie per aver votato!

Pubblicato da roundmidnight

Occupa da anni, in modo semiserio, un posto in un consiglio di amministrazione all'interno di un "gruppo" internazionale.

Una risposta a “A tutto vapore verso il TTIP”

  1. Europa, tertium non datur.

    Il mondo si polarizza nel binomio US-China. Un binomio fatto di contrapposizioni per la supremazia mondiale. Mancando l’Europa, per i paesi europei la scelta di campo è naturale. Meglio la pentola US che la brace China.

    Il TTIP è una buona idea ma è un trattato per grandi, negoziato tra un gigante e dei nani. Per la famiglia di nome Europa, fatta di avidi e litigiosi e nani politici, sarà una nemesi.

    Europa? Euro? Parole vuote. Il TTIP è il colpo di grazia al mondo da noi sinora conosciuto e forse solo sognato, il trionfo delle companies.

    Ne usciranno ridimensionati lo stato di diritto e dopo una prima fase caotica, la libertà e la diversità economica.

    L’Italia, paese con poche grandi aziende di respiro internazionale, ne sarà particolarmente danneggiata. La strategia agro-alimentare made in Italy, fatta di qualità e distinzione, se non adeguatamente protetta subirà un duro colpo.

    I processi di accumulazione e concentrazione di potere sui mercati avranno un nuovo slancio. Piketty potrà scrivere un altro inutile best seller. Il processo, salvo cigni neri, è inarrestabile.

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